Nel 1995, io e mio marito Massimo Bottura abbiamo aperto un ristorante, Osteria Francescana. Massimo aveva alle spalle diversi anni di esperienza nella ristorazione, ma il mio background non apparteneva né al mondo della cucina né a quello del business. Ho studiato arte e negli anni l’arte è diventata per noi uno strumento essenziale, aiutandoci a creare la narrativa che mancava, in quel momento, nella gastronomia. L’arte ha dato forma alle nostre idee e ci ha permesso di comunicarle con un linguaggio universale. Il nostro scopo era raggiungere le stelle nella storica Guida Michelin. Era il nostro purpose e, purtroppo, anche il nostro business plan. Non avremmo mai potuto immaginare le difficoltà e gli ostacoli a cui saremmo andati incontro.

Poco prima di aprire Osteria Francescana, io e Massimo abbiamo visto una mostra a Ferrara dell’artista Paul Gaugain. Siamo rimasti colpiti in particolare da una sua opera, intitolata Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Nel 1897 Gaugain si trovava a Tahiti e con i suoi quadri dipingeva la vita del popolo indigeno. Quando il quadro è stato esposto a Parigi il pubblico è rimasto profondamente toccato da quell’opera, perché nessuno aveva mai visto qualcosa di simile prima. In quel momento Gaugain stava cercando di comunicare l’identità di un popolo diverso da quello europeo ma voleva anche far riflettere lo spettatore sulla propria. Quest’opera ci ha fatto riflettere sulla nostra identità nazionale, locale e personale.

Massimo sentiva un forte bisogno di comunicare la nostra identità emiliana e italiana, ma con una chiave di lettura nuova. È così che è nato un piatto come il Cappuccino di porri e patate con Parmigiano e aceto balsamico, servito con una brioche di ciccioli frolli riempita con crema di mortadella. Un piatto che voleva provocare, voleva stupire, voleva dimostrare che si possono oltrepassare dei limiti anche senza muoversi affatto. In questo caso il nostro intento era quello di esaltare la tradizione, con un gusto eccezionale, ma all’interno di una forma inaspettata. Con questo piatto abbiamo aperto un dialogo, le nostre ricette hanno iniziato a porre delle domande e dare una direzione alla nostra narrativa, quella che avrebbe cambiato il nostro percorso per sempre.

Ogni piatto in Osteria Francescana è composto da tanti strati sovrapposti: identità, prospettiva, tecnica, provocazione e memoria. L’arte ha dato continuità alle nostre trasformazioni, ha dato una direzione alla nostra evoluzione. Anche i nostri ospiti sono cambiati con noi. Se all’inizio volevano ordinare un piatto di pasta, oggi vogliono emozioni. Si siedono al tavolo per ascoltare una storia e guardare il mondo dalla nostra prospettiva, per scoprire che il nostro racconto parla di noi ma anche di loro, cambia solo la forma.

Dopo anni di ricerca e duro lavoro, dopo la prima stella Michelin nel 2001, abbiamo capito che l’essenza del nostro approccio era riassumibile con il motto “tradizione in evoluzione”. Perché in Osteria Francescana guardiamo la cucina con occhi critici e mai nostalgici, per portare il meglio del passato nel futuro.

Così siamo diventati più di un ristorante: ci piace immaginarci come una bottega rinascimentale dove ogni giorno facciamo formazione, educazione, comunicazione, promuovendo il territorio e utilizzando la cultura come forza motrice. Da 5 persone siamo diventati oltre 50 e insieme, nel novembre 2011, abbiamo raggiunto la terza stella Michelin.

A quel punto non potevamo immaginare che ci sarebbero state altre sorprese nel nostro percorso. Eppure nel 2012 un violento terremoto ha scosso l’Emilia e ci ha colpito profondamente. Il nostro ristorante non ha subito danni ma i nostri produttori di Parmigiano Reggiano sono stati particolarmente coinvolti. Volevamo fare qualcosa di concreto per aiutarli, e la nostra forza era la comunicazione. Abbiamo dunque creato una nuova ricetta, un risotto fatto col brodo di parmigiano e profumo al pepe che in poco tempo è diventata virale ed ha aiutato i casari a vendere tutte le forme di Parmigiano danneggiate.

Questo gesto sociale ha avuto un riscontro sulla comunità e sui noi stessi molto più forte di quanto immaginassimo. Questa esperienza ha ampliato i nostri orizzonti, ha aperto una finestra su nuove possibilità. Ci siamo resi conto che potevamo fare tanto di più, che una ricetta poteva essere un atto di solidarietà e che un nostro gesto poteva avere un effetto forte su tutta la comunità.

Quando un anno dopo è arrivata la chiamata di Expo, ancora una volta abbiamo sentito di poter dimostrare che i cuochi sono molto di più della somma delle loro ricette. 

Nel maggio 2015 abbiamo avuto l’idea folle, ma giusta, di creare insieme a Caritas Ambrosiana una mensa per i più bisognosi cucinando ricette sane e buone con le eccedenze alimentari di Expo. Non avevamo mai lavorato prima di allora per una mensa di questo tipo, e ogni giorno la nostra sfida era confrontarci con materie prime nuove, da trasformare con creatività. Volevamo dimostrare che il mondo gastronomico è molto di più del fine dining: i nostri amici chef di tutto il mondo hanno risposto alla nostra chiamata e si sono uniti alla nostra missione.

Questa esperienza ci ha portato a fondare Food for Soul, la nostra organizzazione culturale non-profit grazie alla quale ci impegniamo ogni giorno per ridurre lo spreco alimentare e incoraggiare l'inclusione sociale.

In quattro anni Food for Soul ha aperto quattro Refettori in tutto mondo, a Milano, Rio de Janeiro, Londra e Parigi, e oggi abbiamo anche altri tre progetti a Modena, Bologna e Napoli. Abbiamo voluto creare insieme ad artisti, designer e cuochi un luogo di bellezza ed inclusione. Il nostro obiettivo non è servire unicamente un pasto caldo ma creare un momento di incontro e scambio, oltre a nuove opportunità di lavoro e volontariato.

Grazie a quello che abbiamo realizzato in questi anni siamo stati in grado di spostarci da attività esclusive a progetti inclusivi, che potessero fare del bene a noi come agli altri, creando una comunità più etica e sostenibile.

E come un effetto boomerang, questi progetti ci hanno aiutato a capire ancora di più chi siamo, da dove veniamo, e soprattutto dove stiamo andando. Mi piace pensare che in futuro non saremo ricordati per le nostre ricette, ma per quello che siamo riusciti a fare attraverso le nostre ricette. Combattere lo spreco alimentare e l’isolamento sociale, facendo diventare visibile l’invisibile.