Le quotazioni dei permessi di emissione, oltre che dai fondamentali di mercato e dall’andamento delle altre commodity energetiche, sono da sempre state soggette alle influenze esterne provenienti dagli avanzamenti in materia di policy e dalle variazioni degli assetti politici europei e non. Tali oscillazioni di prezzo, tuttavia, non sempre coincidono puntualmente con determinati avvenimenti: le cause spesso sono da ricercare nelle aspettative del mercato.

Ricordiamo che all’inizio dello scorso novembre i legislatori europei hanno raggiunto un importante accordo riguardante la riforma di mercato post 2020. La conclusione della triplice negoziazione di Consiglio, Parlamento e Commissione EU, dopo 9 ore di discussione a porte chiuse, ha segnato una significativa svolta per il processo riformatore iniziato la scorsa primavera. Diversi i punti accordati, tra cui un aggiustamento del cross sectoral factor, che vedrà il 3% delle quote di emissione di CO2 (EUA) destinate alle aste governative venire allocate nella Riserva di Stabilità. Importanti rinnovamenti anche per il fondo per la modernizzazione, la cui entità non è stata aumentata a 600 milioni di EUA (come proposto dal Parlamento) ma fissata a 450 milioni e solo per l’utilizzo dei crediti internazionali in fase IV (possibilità che verrà rimossa). A metà febbraio, poi, il Parlamento Europeo ha approvato il draft di riforma post 2020, dando un ulteriore segnale positivo al mercato e avvicinando il traguardo di questo processo lungo più di 2 anni.

Nonostante questi importanti passi avanti, l’effetto positivo sui prezzi non si è manifestato in maniera così eclatante. Tali risoluzioni avrebbero dovuto rappresentare un forte segnale positivo per il mercato il quale, in sintesi, ha visto ufficializzato un taglio dell’offerta di quote. I movimenti bullish, infatti, si erano già verificati prima dell’inizio di novembre, antecedentemente alla conclusione delle negoziazioni. Il mercato ha quindi prezzato largamente in anticipo questo avanzamento in materia di policy perché, come precedentemente detto, si trattava di un processo in atto da diverso tempo (tanto che il trend primario è stato rialzista da maggio 2017). Non si è trattato, quindi, di una decisione inaspettata che ha spiazzato le aspettative degli operatori di borsa.

Durante il mese di novembre, le quotazioni del contratto front-year attuale (il DEC8) sono oscillate tra i 7,33 €/ton e gli 8,02 €/ton muovendosi in un corridoio di prezzo ampio quindi poco meno di 70 centesimi. In prima battuta, tale trading range può apparire significativo, ma ricordiamo che la borsa negli ultimi anni ha subito degli shock di prezzo ben più ingenti. Avvenimenti inaspettati o ritenuti poco probabili hanno fortemente sbilanciato il mercato, proprio perché gli operatori di borsa non hanno avuto modo di prezzarli anticipatamente.

Partiamo dal caso più recente: le presidenziali USA del 2016. La vittoria di Donald Trump veniva ritenuta dai più, compresa la stampa internazionale, un’eventualità piuttosto remota. Le esternazioni dell’allora futuro presidente riguardo il cambiamento climatico e le sue opinioni riguardo il riscaldamento globale hanno generato irrequietezza sui mercati nel momento in cui è stato effettivamente eletto. Ciò si è tradotto in un fortissimo segnale ribassista per la borsa (ed in generale per diversi mercati finanziari mondiali) e, instauratosi il panic selling da parte degli operatori, le quotazioni EUA nella prima settimana successiva al voto hanno perso il 12%. A novembre 2016 le quotazioni DEC8 sono passate da 6,62 €/ton a 4,35 €/ton, con uno scarto di oltre 2,00 €/ton in un solo mese.

Altro caso emblematico è stato quello della Brexit. Il risultato del referendum, ufficializzato venerdì 24 giugno, ha creato scenari ancora peggiori per via della loro repentinità. I mercati sono collassati in apertura, aprendo in gap down di 32 centesimi (fattispecie che si verifica quando l’apertura di giornata è inferiore al minimo del giorno precedente) e perdendo quindi il 17% in apertura. In sole 5 sessioni i prezzi sono capitolati fino a 4,28 €/ton, quando il giorno del voto avevano toccato massimi a 5,77 €/ton.

Gli esempi sopracitati evidenziano l’importanza delle aspettative di mercato. Gli importanti traguardi raggiunti in materia di policy da parte del Parlamento Europeo lo scorso novembre (che, a grandi linee, diventeranno legge entro un paio di mesi dopo la ratifica del Consiglio) non hanno fondamentalmente ‘stupito’ il mercato, che li aveva ampiamente anticipati, a differenza di altri recenti avvenimenti politici, che invece lo hanno lasciato completamente spiazzato proprio a causa della ‘sorpresa’ con cui si sono verificati.

Tuttavia, al momento, sul lungo periodo il trend di mercato rimane bullish. A dare forza ai prezzi sono da un lato le aspettative sull’entrata in funzione della Riserva di Stabilità, che dal prossimo anno taglierà ulteriormente l’offerta di quote rimuovendole dal mercato (per un taglio complessivo del 24% dell’eccesso di domanda in 5 anni); dall’altro, gli occhi rimangono puntati sulle sorti del Regno Unito relativamente alla sua partecipazione all’ETS, perché, nonostante sembri assodato che ne farà parte almeno fino al 2020, eventuali novità inaspettate (con i conseguenti vuoti di domanda derivanti), potrebbero mettere nuovamente il mercato in allerta.