Da quando la raccolta differenziata dei rifiuti ha iniziato a coinvolgere in maniera più o meno diffusa anche i nuclei familiari o comunque i singoli cittadini, abbiamo tutti preso dimestichezza con termini quali frazione secca, frazione umida, indifferenziato o residuo, etc.
Ognuno di noi ha dunque imparato a riconoscere le principali tipologie di rifiuto dovendone fare una raccolta appunto, differenziata.
Ma cosa accade alle diverse tipologie di rifiuto dopo il conferimento al gestore del ciclo integrato dei rifiuti?
Se il sistema di raccolta, trattamento e smaltimento è inserito in un ciclo virtuoso, molti dei materiali - pensiamo alle plastiche, ai metalli, al vetro - prendono la strada degli impianti di recupero, diventando dunque a loro volta dei prodotti che possono essere riutilizzati.
La frazione cosiddetta “residuo indifferenziato” e quella umida prendono invece strade differenti. La prima, allo stato attuale delle politiche poste in atto nel nostro Paese, trova allocazione prevalentemente in discarica. Il rifiuto non differenziato proveniente da una raccolta differenziata - e che quindi rappresenta ciò che il privato cittadino o il Consorzio non può separare e raccogliere a parte (quindi non è riciclabile) - viene di norma mandato in discarica o ai termovalorizzatori. Tale frazione contiene almeno il 30 % di acqua (in taluni casi anche il 60%) e grandi quantità di inerti e metalli nonché diverse altre frazioni non idonee al recupero nei comparti energetici. Oggi più del 50% di tale tipologia di rifiuti finisce in una delle circa 2.000 discariche esistenti nel nostro Paese.
La frazione “umida”, invece, viene per lo più sottoposta a trattamenti che consentono, quando possibile, la produzione di compost. Il compost è ciò che si ottiene alla fine di un processo di degradazione aerobica (bio-ossidazione) della sostanza organica; si tratta di un terriccio (compost di qualità) che può trovare un utilizzo come ammendante (correttore naturale) del terreno arricchendolo di sostanze adatte alla nutrizione vegetale.
Più spesso però, la frazione umida può contenere sostanze che non consentono una produzione di compost qualitativamente idoneo agli usi citati o derivare dalla selezione del RSU (rifiuto solido urbano) indifferenziato attraverso un trattamento meccanico- biologico noto come TMB. In questo caso la frazione umida separata da quella “secca”, viene sottoposta ad un processo di ossidazione biologica in appositi “digestori” da cui, a ciclo di maturazione ultimato, si otterrà ciò che prende il nome di frazione organica stabilizzata (FOS), utilizzabile solo per le bonifiche ambientali di terreni e per la copertura in discarica del lotto coltivato.
Negli ultimi anni la gestione della FOS ha iniziato a presentare alcuni problemi riconducibili, soprattutto, ai tempi piuttosto lunghi richiesti dalla maturazione, ai valori di umidità residui, ai volumi considerevoli rispetto al peso unitario (bassa densità). Tutte caratteristiche che provocano costi di gestione e smaltimento non più accettabili anche in un’ottica di economia circolare, come si cerca di evocare di questi tempi.
Le principali criticità di questo processo sono ascrivibili, essenzialmente, agli sgradevoli odori che ne sono associati; a difficoltà di rispettare, per vari motivi, dopo i 21 giorni previsti dalla normativa, alcuni parametri (ad es. l’indice spirometrico); alla necessità di disporre di aree coperte di superficie adeguata; agli elevati consumi energetici richiesti dal processo.
Pertanto, la necessità di individuare, sviluppare e porre in essere processi alternativi o integrativi che consentano di superare, con costi sostenibili, le criticità di quelli seppur sinteticamente illustrati, è diventata sempre più pressante.
La cosiddetta “micronizzazione” applicata ai rifiuti e, in questo caso, alla frazione organica umida, nasce e si sviluppa da una tecnologia definibile “meccanochimica”. Nell’ultimo decennio, in particolare, dall’esperienza maturata su nuovi materiali metallici, utilizzando energia meccanica e trasferendola ai materiali organici da trattare attraverso quelli che potremmo definire dei “mulini”, si riesce a produrre una comminuzione (riduzione di un materiale in frammenti) assai spinta dei materiali stessi. Si riesce così a ottenere non solo una progressiva e rilevante riduzione dimensionale dei materiali, ma anche un sensibile miglioramento di alcuni parametri fisico-chimici-biologici.
Il vero e proprio “cuore del sistema”, in questo processo di micronizzazione, è costituito da una serie di “attritori” a secco che utilizzano masse macinanti in acciaio scagliate ad alta velocità. L’attrito e l’urto provocati da queste masse macinanti generano diversi fenomeni concomitanti: l’acqua contenuta nelle particelle viene espulsa per effetto “strizzamento”, sotto forma di vapore (effetto di “dewatering”); la particella secca, divenuta più fragile, si sbriciola in frammenti minuti (effetto di riduzione dimensionale), mentre la pressione elevatissima e le temperature medio–alte (circa 70-80°C) sulle particelle riducono progressivamente la carica batterica (effetto di sterilizzazione). Se all’interno delle frazioni organiche umide sono contenuti anche materie inerti, si determina un’ulteriore separazione di queste, che vanno ad occupare la porzione più sottile del prodotto di macinazione.
I vantaggi ottenuti dai test eseguiti in impianti sperimentali realizzati per tale processo sono così sintetizzabili: assenza di cattivi odori dopo il trattamento; una riduzione in volume anche del 70%, un crollo netto del contenuto in acqua (inferiore al 15%); il rispetto, solo dopo due giorni, dei parametri relativi all’indice spirometrico; la disponibilità di un prodotto finale recuperabile come compost o combustibile solido secondario (CSS).
La gestione dei RSU, dunque anche della frazione organica umida, è certamente una delle questioni che crea più problemi alle amministrazioni pubbliche. Ciò essenzialmente per due esigenze contrapposte: da una parte, contenere i costi di smaltimento e, dall’altra, ridurre le potenziali fonti di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo. Il panorama tecnico attualmente più diffuso vede essenzialmente due alternative alla messa a dimora in discarica, pura e semplice: la riduzione volumetrica meccanica per consentire un più vantaggioso conferimento in discarica; la termovalorizzazione del rifiuto tal quale o sottoposto a trattamento.
Se a questo punto si rende non solo necessaria ma forse indispensabile un’alternativa credibile, a basso costo e di impatto nullo, sia dal punto di vista ambientale che energetico, il processo di trattamento basato sulla micronizzazione può rappresentare una soluzione innovativa e di grande interesse, sia per i prodotti ottenibili, sia per l’economicità dell’intero processo rispetto a quelli attualmente utilizzati, sia per la grande versatilità e adattabilità a differenti tipologie di rifiuto.