Non è questo il luogo per discutere della limitata efficacia che l’ONU ha avuto ed ha nell’arbitraggio diplomatico dei conflitti internazionali ma è utile ricordare che l’altro strumento di cui dispone per fare la pace è quello della promozione dello sviluppo sociale e dei diritti umani. In questo campo rientra l’impegno preso dall’ONU nel 1992 di organizzare un’attività sistematica di studio e di promozione dell’acqua come un capitolo fondamentale dell’organizzazione sociale e del diritto alla vita nello sviluppo internazionale e il modo concreto di realizzare gli obiettivi ambientali della Conferenza di Rio. Un capitolo quello dell’acqua altrettanto importante quanto l’energia non solo perché ambedue essenziali alla vita, non solo perché sono tecnicamente interconnessi - l’acqua produce e consuma energia - ma perché ambedue sono forse l’occasione più frequente di conflitto internazionale e di guerra.
E nel 1993 l’ONU, per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale, ha istituito il 22 marzo di ogni anno la Giornata Mondiale dell’Acqua: il tema trattato è sempre diverso ed accompagnato dalla presentazione di un programma di studi, di progetti e di attività sociali da svolgersi nel corso dei dodici mesi seguenti. Un impegno organizzativo che nel 2003 è stato rafforzato dalla costituzione di UNWater con il doppio compito di agire come struttura di coordinamento (interagency mechanism and platform) delle altre Agenzie ONU che trattano il settore dell’acqua e di sviluppare un lavoro sistematico di osservatorio, di progettazione e di sostegno a specifiche iniziative delle comunità. Il loro sito è una fonte preziosa di informazioni accessibili a tutti, uno straordinario merito questo rispetto ai tanti sbarramenti di altre organizzazioni internazionali.
È anche interessante registrare che dal 2005 all’impegno dell’ONU e degli Stati si sono aggiunte molte organizzazioni non governative che hanno preso parte attiva alla Giornata Mondiale dell’Acqua presentando all’opinione pubblica i loro argomenti e i loro punti di vista; un fatto importante che offre a queste organizzazioni la possibilità di partecipare alle attività di UNWater se ne hanno i requisiti. A completare il quadro generale è importante scorrere l’elenco dei temi degli ultimi 24 anni (www.unwater.org) che nella loro varietà e specificità possono essere raggruppati essenzialmente in due grandi insiemi concettuali: l’acqua come fatto tecnico-economico (sviluppo,energia,business,scarsità e qualità) e l’acqua come fatto sociale (cooperazione, cultura, cibo, sanità, città, disastri ambientali ecc), con una netta prevalenza del secondo gruppo. Questo trova una giustificazione nella situazione drammatica di tante parti del mondo dove l’acqua manca e non è buona, anche se bisogna rilevare come i due argomenti rimangano comunque fortemente collegati, visto che gli strumenti della tecnica e dell’economia - purché usati nell’interesse pubblico - sono indispensabili alla soluzione dei problemi sociali di disponibilità e di uso dell’acqua.
Il tema di quest’anno riguarda le acque reflue (waste water) e richiama il pericolo per la salute umana e per la terra derivanti dall’inquinamento lungo il ciclo idrico: un inquinamento che nei paesi poveri dipende essenzialmente dalle modalità di prelievo, trasporto e distribuzione, visto che l’acqua viene “sporcata” lungo tutto il tragitto a causa dell’utilizzo di metodi e tecniche inadeguate; nelle zone ricche, invece, il problema riguarda soprattutto il trattamento e il riuso dell’acqua di scarico nelle fognature e nei depuratori. In ambedue i casi a questo tema può essere associato il problema drammatico delle perdite idriche che affligge non solo i paesi poveri, ma anche sviluppati. In questo campo l’Italia è un cattivo esempio: per la sola acqua potabile (il 20% del totale), Istat nel 2008 ha stimato che la perdita di questa risorsa è stata del 40% nel trasporto dalle fonti di prelievo alle città, mentre un altro 30% è stato perso nelle reti comunali. Si tratta di un aspetto che non rientra nella definizione letterale di waste water ma nella sostanza l’acqua perduta può essere assimilata all’acqua sporca in quanto ambedue producono un grave danno ambientale ed economico e ambedue richiedono investimenti e tecnologie avanzate per essere risanate e recuperate. Per fare questo ci vuole un’organizzazione efficiente come una vera e propria Fabbrica dell’acqua; un concetto che tuttavia fa fatica ad affermarsi in larga parte della pubblica opinione che associa la parola Acqua alla poesia, alla filosofia, al sacro senza rendersi conto della enorme complessità del lavoro di questa risorsa. L’acqua, infatti, fa un lungo viaggio prima di arrivare alle reti comunali: quantità e qualità dipendono dal clima, penetra nelle falde e fluisce in una stratificazione geologica complessa e tormentata dai terremoti, viene prelevata e trasportata attraversando zone antropizzate a forte rischio di inquinamento. E tutto questo si svolge in spazi di centinaia di chilometri quadrati in una situazione di grande difficoltà nella regolazione delle portate d’acqua e nel controllo chimico fisico. L’acqua arriva, infine, nella rete comunale dove un sistema molto articolato di distribuzione provvede alla consegna alle utenze; in questa fase il lavoro si svolge in uno spazio più piccolo, ma molto più antropizzato e quindi esposto a rischi maggiori di inquinamento e di perdite.
Queste condizioni di lavoro sono molto più difficili di un’azienda manifatturiera che riceve la materia prima da trasformare nei tempi, nella quantità e qualità necessarie, svolge il lavoro in ambienti controllati, misura le diverse fasi di lavorazione in tempi standard e perde quantità trascurabili di materia prima. È per tutto questo che la Fabbrica è il nome giusto per riconoscere le caratteristiche tipicamente industriali del lavoro dell’acqua fatto per ottenere insieme la massima economicità e la qualità migliore del servizio; è in questa combinazione che si realizza al meglio il Bene Comune.