“C’è una cosa chiamata carbone pulito. Il carbone durerà per mille anni in questo Paese”, ha detto Donald Trump durante il secondo dibattito elettorale con Hillary Clinton che proponeva, invece, di investire milioni di dollari in infrastrutture per favorire la transizione delle aree carbonifere verso un’economia pulita. In realtà, la crisi del carbone negli Stati Uniti - più che dalle energie alternative - era stata provocata dal boom del fracking: nel 2015 si è verificato lo storico sorpasso del gas che diventa quindi la prima fonte di generazione elettrica negli Usa soppiantando il primato del carbone, il cui peso sul mix di generazione passa dal 53% del 1997 al 33% del 2015 e al 25% del 2016, con la perdita tra 2008 e 2012 di 50.000 posti di lavoro. Il +8,99% che l’indice S&P500 Coal & Consumable Fuels ha registrato quando si è saputo che era stato Trump a vincere dimostra la diffusa convinzione che il nuovo Presidente eliminerà le regolamentazioni introdotte da Obama e reintrodurrà sussidi al settore. Ma nel contempo il fracking sarà ancora più favorito, il che porta molti analisti a ritenere che nella pratica il peso del carbone negli USA continuerà a diminuire.

Nel frattempo, al di fuori degli USA, sono diversi i fondi e le istituzioni che hanno deciso di uscire dal carbone. Dopo il fondo sovrano norvegese Government Pension Fund – Global e il Rockefeller Brothers Fund (di proprietà degli eredi del fondatore di quella Standard Oil che aveva dato avvio all’era del petrolio), hanno espressamente scelto la strada del disinvestimento sia il Parlamento irlandese che la Deutsche Bank. A Dublino, il 26 gennaio 2017 i deputati del Dáil Éireann hanno votato un Fossil Fuel Divestment Bill che vieta all’Ireland Strategic Investment Fund di sostenere ogni tipo di energia fossile: non solo il carbone, ma anche il petrolio e il gas. La decisione riguarda una somma da 8 mld di euro, ed è passata con 90 voti contro 53. Un punto di riferimento era stata la già citata decisione presa nel 2015 dal Fondo sovrano norvegese del valore di 900 mld doll. In quest’ultimo caso, tuttavia, il fondo viene essenzialmente finanziato dalle enormi riserve di petrolio che il Paese scandinavo sfrutta nel Mare del Nord, ed è questa la ragione per cui la decisione di Oslo ha riguardato il solo disinvestimento dal carbone. Indipendente di sinistra, Thomas Pringle - il promotore della legge in Irlanda- ha spiegato che “il principio di finanza etica è un segnale per queste società globali e significa che il loro continuo manipolare la scienza del clima, il negare i cambiamenti climatici e il modo controverso che usano nel fare lobby presso i governi del mondo non sarà più tollerato. Non possiamo più accettare che milioni di poveri nel mondo e in nazioni meno sviluppate soffrono le conseguenze delle loro azioni e dei cambiamenti climatici sotto forma di fame, migrazione di massa e malcontento civile”.

Quasi a ruota, il 1° febbraio è arrivata la notizia che anche Deutsche Bank disinvestirà dal carbone: il colosso bancario tedesco e le sue sussidiarie, ha spiegato la nota emessa, “non concederanno nuovi finanziamenti per l’attività di estrazione di carbone termico greenfield o per la costruzione di nuove centrali a carbone”. Inoltre, l’esposizione della banca sul settore “verrà gradualmente ridotta” a livello mondiale. La decisione è stata assunta in base ad un impegno preso alla Conferenza sul clima di Parigi del 2016 da 400 società pubbliche e private, tra cui appunto anche Deutsche Bank, per contrastare il cambiamento climatico. Ma non bisogna dimenticare che l’Istituto ha chiuso il 2016 con una perdita netta pari a 1,4 mld euro, ampiamente superiore alle attese, e dovuta sia al calo dei ricavi che a costi legali e sofferenze connesse alla crisi. Molti osservatori ritengono, dunque, questa scelta - più ancora che etica - di natura prettamente economica, nei confronti di un settore sempre più obsoleto che difficilmente potrà continuare a dare ritorni significativi.

Secondo le stime più aggiornate del movimento Fossil Free, sono quasi 700 le istituzioni nel mondo che hanno iniziato a disinvestire in tutto o in parte da gas, carbone e petrolio, per un valore complessivo che oltrepassa ormai i 5.000 mld doll. Tra queste:

- settembre 2015: il ritiro dei suoi capitali personali e di quelli della sua Fondazione da ogni tipo di energia fossile è stato annunciato da Leonardo Di Caprio;

-  novembre 2015: Allianz ha disinvestito 4 mld euro dal carbone a vantaggio soprattutto dell’eolico;

-  maggio 2016: la Bill and Melinda Gates Foundation ha ceduto la sua quota in BP pari a 187 mil. doll;

-  giugno 2016: la città di Stoccolma ha fatto sapere di aver tolto 30 mil. di corone svedesi da aziende legate ai combustibili fossili, seguendo l’esempio di Malmö, Uppsala, Copenaghen, Oslo e Parigi.

In tutta Europa, nel 2016, c’è stato un netto calo della generazione elettrica a carbone a tutto vantaggio del gas e le scelte dei governi sono sempre più verso una riduzione dell’utilizzo di questa fonte. Il Regno Unito, in particolare, ha deciso a fine 2015 che abbandonerà completamente il carbone entro il 2025, mentre la Finlandia ne vieterà del tutto l’utilizzo per la produzione di elettricità a partire dal 2030. Stessa dinamica anche fuori dal Vecchio Continente. Il Canada ha varato un piano per eliminare le centrali più inquinanti entro il 2030. La Cina ha di recente annunciato la sospensione di un centinaio di progetti per nuove centrali a carbone, per un totale di 150 GW complessivi di potenza installata in meno. Lo stesso governo indiano sta avendo qualche dubbio sulla necessità di costruire altri impianti termoelettrici, e starebbe orientandosi piuttosto sulle rinnovabili e sull’ampliamento delle linee di trasmissione.