Gli ultimi mesi sono stati ricchi di novità di policy per il settore della finanza sostenibile e gli investimenti ESG nel settore energetico. Proviamo a tracciare un quadro sintetico, ricordando che di molti di questi temi si parlerà durante i 15 eventi delle Settimane SRI promosse dal Forum (14-28 novembre, programma e iscrizioni qui). A inizio settembre sono stati pubblicati i risultati del secondo stress test climatico della Banca centrale europea (BCE), condotto per analizzare la resilienza di imprese, famiglie e banche in tre scenari di transizione. Dal test è emersa la necessità di anticipare e accelerare gli investimenti per la transizione verde e raggiungere la neutralità climatica al 2050.

 Nello specifico, il primo scenario prevede una transizione accelerata, con politiche e investimenti green immediati che portano a una riduzione delle emissioni allineata agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Questo implicherebbe una riduzione significativa dei costi energetici per imprese e famiglie e minori rischi finanziari nel medio-lungo periodo (aumento del rischio di credito per le banche del 60% entro il 2030 rispetto al 2022). Nel secondo scenario, invece, la transizione segue il percorso attuale fino a un’accelerazione nel 2026 con conseguente riduzione delle emissioni anch’essa in linea con l’Accordo di Parigi. Questo scenario comporterebbe maggiori costi energetici per le famiglie e minore redditività per le imprese che dovranno fronteggiare elevati rischi climatici e ambientali con un aumento di debito e utili netti in riduzione di circa il doppio della media. Per le banche, il rischio di credito supererebbe il 100% entro il 2030 rispetto al 2022. Infine, l’ultimo scenario è caratterizzato da una transizione ritardata che prevede misure limitate a partire dal 2026 senza raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

 Un’altra recente novità riguarda l’applicazione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), lo strumento utilizzato per tener conto delle emissioni di CO2 importate. È, infatti, prevista una fase transitoria per la sua entrata in vigore, tra il primo ottobre 2023 e il 31 dicembre 2025. Lo strumento non coinvolge direttamente le società finanziarie, ma avrà conseguenze dirette sulle scelte di investimento. In questa prima fase, le imprese sono chiamate a presentare una relazione trimestrale contenente informazioni sulle emissioni incorporate nei beni importati relativi ai settori altamente inquinanti (energia elettrica, cemento, concimi, prodotti di ghisa, ferro e acciaio, alluminio e alcune sostanze chimiche). La prima relazione, riguardante il periodo ottobre-dicembre 202,3 dovrà essere presentata entro la fine di gennaio 2024.

 Oltre alle novità di quest’anno, è altrettanto importante tenere a mente alcune tappe fondamentali per i prossimi anni. Una di queste riguarda i green bond, strumento utilizzato anche da diverse imprese del settore energetico per finanziare i propri progetti. Al momento ci sono varie linee guida a livello internazionale, ma non esistono standard europei, che dovrebbero arrivare entro la fine dell’anno. Lo scorso febbraio, il Parlamento e il Consiglio dell’UE hanno, infatti, raggiunto un accordo sulla proposta di regolamento per un EU Green Bond Standard presentata dalla Commissione. Il testo introduce un sistema di criteri condivisi a livello europeo per l’emissione di obbligazioni verdi. Secondo l'accordo, i proventi raccolti con questi strumenti dovranno essere allineati alla Tassonomia dell'UE, concedendo però un grado di flessibilità per le attività economiche che non sono ancora coperte dalla stessa (per le quali, cioè, non ci sono attualmente criteri tecnici di screening e che potrebbero essere incluse in futuro). Questa “flexibility pocket”, che corrisponde a un massimo del 15% dei proventi, si è resa necessaria per tener conto delle future evoluzioni della Tassonomia, in linea con gli obiettivi di neutralità climatica dell’UE. Sarà, inoltre, prevista una revisione esterna dei green bond europei.

 Un’altra data significativa è il 1° gennaio 2024: da quel momento, le società attualmente soggette alla Non-Financial Reporting Directive (NFRD) inizieranno a rendicontare secondo la nuova Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), divulgando quelli che considerano essere i rischi e le opportunità derivanti da questioni sociali e ambientali e sull'impatto delle loro attività su persone e ambiente. Le nuove regole, che ampliano la platea delle società sottoposte a obblighi di reporting rispetto alla precedente NFRD, si applicheranno gradualmente. A partire dal primo gennaio 2025, infatti, la CSRD si applicherà a tutte le grandi aziende che non erano soggette alla NFRD e dal 2026 interesserà anche tutte le piccole-medie imprese quotate sui mercati regolamentati e le istituzioni finanziarie piccole e non complesse, con opzione di rimandare la prima rendicontazione (opt-out) per due anni. Infine, dal primo gennaio 2028, la CSRD si applicherà a tutte le aziende non UE che intendono fare business nell’UE e che superano specifiche soglie dimensionali.

 A giugno 2025, inoltre, si prevede l’adozione degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) - specifici per settore - nell’ambito della CSRD. Questo set di standard andrà a integrare l’atto delegato contenente il primo set di ESRS pubblicato lo scorso agosto. Questo prevede che tutti gli ESRS e i data points contenuti in ognuno di essi saranno sottoposti a un'analisi di materialità, a eccezione degli obblighi di disclosure specificati nell'ESRS 2. Una specifica riguarda il cambiamento climatico: nel caso in cui questo non venisse ritenuto materiale da un’azienda, quest’ultima dovrà spiegare il perché, includendo un'analisi delle condizioni che potrebbero cambiare l’esito della valutazione in futuro. Inoltre, se i dati richiesti sono rilevanti per altre normative europee (SFDR, Regolamento Benchmark, informativa di III Pilastro) e sono ritenuti non materiali, l’azienda deve dichiararlo esplicitamente. Se ritenuti materiali, invece, dovrà indicare chiaramente dove si trovano all’interno del report di sostenibilità. Tra le altre disposizioni più rilevanti, l’atto prevede l’introduzione graduale di alcune informazioni, e in particolare le emissioni Scope 3, la biodiversità e quelle legate alla dimensione sociale, in alcuni casi per tutte le società interessate, in altri per le società con meno di 750 dipendenti.