Ho sempre ritenuto che un’eventuale esclusione del gas naturale e del nucleare dalla tassonomia UE che definisce le regole per la finanza cosiddetta sostenibile, sarebbe stato un madornale errore che avrebbe finito per impattare negativamente proprio sulla transizione energetica che si vorrebbe implementare. Un involontario effetto boomerang come sempre accade quando le decisioni sono offuscate dall’ideologia.

Due le ragioni simili e insieme differenti. Simili: perché senza queste fonti non vi sarà transizione, per la perdurante necessità di fornire supplenza alle intermittenti fonti rinnovabili. Differenti: perché diverso è il loro ruolo nel nostro mix energetico: nullo per il nucleare, consistente per il metano. Impedirne lo sviluppo facendo mancare le necessarie risorse finanziarie aggraverebbe le prospettive di penetrazione delle rinnovabili, perché non vi sarebbero fonti in grado di bilanciarne l’intermittenza.

Altro aspetto da cui non si dovrebbe prescindere – e che ritengo la Commissione vada assurdamente sottovalutando – è la grave crisi energetica che l’intera Europa sta attraversando proprio a causa di una scarsità di metano, con un’esplosione dei suoi prezzi da livelli, sulla piattaforma negoziale italiana (PSV), inferiori ai 2,0 doll/Mil.Btu alla metà del 2020 a livelli nei giorni scorsi prossimi ai 60 dollari.

Una crisi assolutamente non di breve periodo, come a Bruxelles illusoriamente ritengono, ma inevitabilmente di lungo periodo. Per ragioni di domanda e di offerta. Di domanda: per il suo forte incremento a seguito della ripresa economica, della fame di gas in Asia, della ridotta disponibilità di risorse rinnovabili (bassa ventosità). Di offerta: per aver evidenziato l’incapacità di soddisfare interamente la domanda nelle attuali condizioni. Un gap che è destinato ad aggravarsi nel tempo, a causa del crollo degli investimenti minerari nell’industria Oil&Gas. Crollo che ha azzerato la capacità produttiva disponibile. Per ricostituirla necessitano molti denari e un tempo non breve.

Quella che stiamo vivendo è una crisi che ha cambiato, volenti o non volenti, le carte in tavola. La crisi ha evidenziato aspetti totalmente trascurati nella narrazione dominante sulla transizione energetica che, vale evidenziare, sta presentando il suo salato costo. Su tutti ne sottolineiamo due. Primo: il mondo ha assoluta necessità del gas naturale. Se sia come ponte lungo la via della transizione o duraturo fabbisogno è aspetto secondario. Il fatto è che ne ha bisogno. La domanda di metano della Cina, per esempio, sta crescendo in maniera esponenziale. È stato stimato che se la Cina vorrà interrompere il trend di crescita delle sue emissioni nel 2030 dovrà necessariamente raggiungere un picco nei suoi consumi di carbone nel giro di pochi anni, sostituendolo quasi interamente con il gas naturale. Doppia la morale. Primo: la domanda di gas della Cina da qui a metà secolo aumenterà di un quantitativo pari all’intero consumo attuale dell’intera Europa. Secondo: non riconoscerne la sostenibilità, non inserendola nella tassonomia, ridurrebbe la finanziabilità degli investimenti da parte del sistema bancario creando uno strutturale stato di scarsità fisica.  Se i prezzi del gas hanno raggiunto livello astronomici con una scarsità abbastanza limitata, vi è da immaginarsi cosa accadrebbe sui mercati se essa dovesse divenire patologica e fisicamente ancor più rilevante.  Sostenere che di gas se ne possa fare a meno è l’esito combinato di ignoranza, ideologia, interessi.

Secondo: il nucleare è tornato al centro del dibattito energetico. Perché è senza dubbio solo una parte della soluzione alla lotta ai cambiamenti climatici, ma senza nucleare essa non avrà proprio soluzione. Il Presidente francese Emmanuel Macron nel presentare il Piano “France 2030” ha sostenuto con forza l’intenzione della Francia di continuare a far conto sul nucleare, che garantisce ai nostri cugini il 70% dell’energia elettrica, e di voler puntare, finanziandolo, sullo sviluppo della nuova generazione di centrali nucleari. Una simile presa di posizione sarebbe stata impensabile e impossibile solo pochi mesi fa, sotto la pressione dei movimenti toute renuovable.

La diversità di opinioni sull’inserire o meno il gas e il nucleare nella tassonomia è riconducibile quindi, in estrema sintesi, alla dicotomia tra l’osservazione di quel che accade realmente nei sistemi energetici, nelle dinamiche di mercato, nelle strategie delle imprese e quel che si vorrebbe accadesse. Tra l’evidenziare quel sarebbe necessario fare per risolvere le attuali criticità e il pretendere che non lo si facesse per coerenza con gli obiettivi teorici della neutralità carbonica a metà secolo. Un caso emblematico è quello degli investimenti negli idrocarburi. Secondo l’IEA di Parigi, nelle parole del suo direttore, Faith Birol non bisognerebbe investire un solo dollaro in più nella capacità produttiva di gas e petrolio perché quella esistente è più che sufficiente alla bisogna. Per contro se la domanda di petrolio – ormai tornata a fine 2021 ai livelli pre-pandemia – continuerà a crescere nei prossimi anni, come sostenuto paradossalmente dalla stessa IEA, a metà decennio potrebbe osservarsi un deficit di offerta tale, a dire delle maggiori banche d’affari, da far schizzare i prezzi a livelli tra i 150 e i 200 dollari al barile. Impedire gli investimenti, sostenuti da operatori privati che impiegano loro denari senza gravare sulle tasche dei consumatori o dei contribuenti (come accade invece per le rinnovabili) è d’altronde assurdo: perché se vi sarà domanda essa verrà soddisfatta, se non vi sarà il costo lo pagheranno chi ha incautamente investito.

È chiaro quindi che le carte sono cambiate. La crisi energetica che sta facendo soffrire le tasche delle famiglie e la competitività delle imprese, sta facendo vedere, a chi non è cieco a prescindere, una realtà lontanissima da quella narrata nella retorica ambientalista. Sarebbe opportuno aprire gli occhi ed agire di conseguenza, se non vogliamo andare a sbattere come, ahimè, va accadendo da alcuni mesi e per molti altri continuerà ad accadere se non cambiamo le nostre scelte.