Pochi giorni fa, aspettavo la metropolitana sulla banchina descrivendo una specie di camminata in cerchio per far passare il tempo, quando ho ricevuto la mail che mi chiedeva di scrivere questo articolo. Tema: economia circolare e tensione tra volontà e azione. “Perfetto”, mi sono detto, anche in virtù di questa curiosa coincidenza tra commissione intellettuale e movimento fisico nello spazio.
Di economia circolare parlano (giustamente) tutti ormai come di un nuovo modello di produzione, distribuzione e gestione delle risorse, come il tentativo che ogni business fa per riportare al centro dell’attenzione lo sviluppo ma in armonia con la sostenibilità. Come la visione di un mondo in cui il reddito cresce, l’occupazione pure e l’ambiente sta meglio.
La celeberrima soluzione win win che chiude la circonferenza dei sogni in un abbraccio, insomma. E allora dove sta il problema? Se è una soluzione win-win, perché ci sembra tutto così difficile?
Ogni tanto guardo i video di Greta Thunberg, la giovane donna svedese che porta avanti un’ammirevole campagna di sensibilizzazione sul cambiamento climatico. Cercate il suo video su Youtube, quando all’ultimo World Economic Forum, di fronte ai potenti della Terra, con la fermezza di una dea di Asgard e la fragilità bambina di uno sguardo che si volge a destra e a sinistra un po’ meccanicamente, libera con serenità un unico augurio agli industriali del pianeta: “I want you to panic”. Io voglio vedervi andare nel panico. Perché?
Perché tra il dire e il fare c’è di mezzo un bias cognitivo, quasi sempre.
Lo iato che separa il mondo delle decisioni individuali dal confine labile con ciò che poi chiamiamo società è irrisolvibile come le cifre del pi greco. Il cambiamento climatico, la riconversione verso un modello più sostenibile, implicano lo sforzo di un anti-Prometeo che, rubato il fuoco della comodità a Zeus, glielo restituisca perché sa come farne a meno a parità di benessere. Implica vincere la tentazione irresistibile dell’inerzia.
Gli esseri umani stanno comodamente sul divano a guardare un film, invece che correre e condurre una vita più sana: da lì a non impegnarsi per il rispetto degli accordi di Parigi, è un attimo.
Sono tante le distorsioni comportamentali che ci impediscono di agire: i benefici di un mondo più pulito, percepiti come ancora lontani e, quindi, poco evidenti. Il senso di impotenza dello sforzo quotidiano, fosse anche solo quello di cercare il raccoglitore di pile scariche più vicino a casa. L’agio, contrario e presentissimo, di un comportamento indifferente che si considera non rilevante per i destini del mondo. La necessità, infine, di doversi attivare.
In classe parlo spesso di decision points, le pietre miliari della decisione. Se ho un barattolo di Nutella da 600 g, il decision point è uno solo, mentre lo tengo in mano come il teschio di Yorick: aprirlo o non aprirlo? Fatta quella scelta, nulla mi separa dall’abisso e, come scriveva Nietzsche, a guardarci troppo dentro, in un abisso, si finisce la crema di nocciole.
Per cui, tornando al cerchio da cui siamo partiti e a Greta Thunberg, mi convince sempre più una frase che dice: non si aiuta una transizione con gentilezza, senza un bel tasto ON/OFF da cui partire.
Leggi: per il cambiamento climatico e l’economia circolare, forse serve un po’ di sana vecchia binarizzazione. Decidere, se vogliamo prepararci o meno a quel giorno in cui verrà premuto il tasto OFF sul vecchio modo di produrre.
Ho finito il giro di questa riflessione un po’ provocatoria e, allora, a proposito di poesia, viene in mente un passo di Thomas Stearns Eliot: “We shall not cease from exploration, and the end of all our exploring will be to arrive where we started and know the place for the first time”. Ovvero: “Non dovremmo mai smettere di esplorare, e la fine di ogni esplorazione sarà giungere lì dove siamo partiti e conoscere quel luogo per la prima volta”.
(Fine del primo giro, ripetere da capo)