La rivoluzione nel mercato del Gas naturale liquefatto (Gnl) accelera il passo, con il lancio – anticipato a maggio – del future sul combustibile da parte dell’InterContinental Exchange (Ice) e con un patto di ferro fra i tre maggiori acquirenti mondiali del combustibile, per strappare condizioni di fornitura più favorevoli.
Protagonisti di quella che sembra quasi un’«Opec dei consumatori» sono la sudcoreana Korea Gas Corp (Kogas), la giapponese Jera (joint venture tra le mega utilities Chubu Electric Power e Tokyo Electric Power) e la cinese China National Offshore Oil Corp (Cnooc), che insieme assorbono circa un terzo della produzione mondiale di Gnl. Le tre società hanno siglato un Memorandum d’intesa che getta le basi per una stretta collaborazione nelle trattative con i fornitori, in particolare per convincerli a rimuovere dai contratti le cosiddette clausole di destinazione, che impediscono di rivendere a terzi il gas.
Tali clausole non sono presenti nei contratti di Cheniere Energy, che ha inaugurato le esportazioni di Gnl dagli Stati Uniti. Ma sono la norma nei contratti di altri fornitori, dal Qatar all’Australia.
I grandi acquirenti asiatici, che hanno “prenotato” in passato quantità eccessive di Gnl rispetto alle attuali esigenze, premono da tempo per una modifica in questo senso dei contratti e l’Antitrust giapponese di recente ha aperto un’indagine sulla legittimità delle clausole di destinazione. Anche il Governo di Tokyo si è esposto a sostegno delle richieste delle utilities. In passato tuttavia molti tentativi di unire le forze con altri grandi importatori erano falliti.
Stavolta l’alleanza è ben strutturata ed essendo stabilita da società – anziché da Governi – è più difficile da contrastare: un ricorso alla Wto ad esempio potrebbe non essere ammissibile.
Ma soprattutto il momento è maturo per cercare di scardinare le pratiche di un tempo. L’arrivo sul mercato del Gnl «made in Usa» non ha soltanto creato un precedente, ma sta contribuendo a ingrossare un eccesso di offerta che nei prossimi anni – con ulteriori impianti di liquefazione negli Usa e l’avvio di enormi giacimenti in Australia – è destinato a crescere a dismisura: a fronte di una domanda intorno a 260 milioni di tonnellate l’anno (mtpa), la capacità di produzione di Gnl supera già 300 mtpa ed è proiettata a crescere ad almeno 450 mtpa alla fine di questo decennio.
Sulla spinta dei fondamentali il prezzo spot del Gnl è crollato di oltre il 70% rispetto ai picchi del 2014, a 5,65 dollari per MBtu in Asia. E sempre più spesso è proprio sul mercato spot, super-rifornito e conveniente, che le utilities fanno i loro acquisti.
Le borse hanno fiutato l’affare: dopo diversi tentativi falliti in passato, stavolta i future sul Gnl potrebbero davvero riuscire a decollare, rispondendo alle crescenti esigenze di copertura dal rischio prezzo, espresse sia dai consumatori che dai produttori, quanto meno quelli americani che si preparano a un ingresso sempre più massiccio sui mercati internazionali. Lo scorso novembre, per la prima volta da 60 anni, gli Usa sono stati esportatori netti di gas e la previsione è che dal 2018, se non prima, possano diventarlo anche su base annua.
L’Ice ha bruciato sul tempo il Cme Group, annunciando che il suo future, realizzato in collaborazione con S&P Global Platts, sarà quotato già a maggio. Il contratto – che potrebbe interessare anche agli speculatori – sarà regolato per contanti e riferito ai prezzi spot sulla Gulf Coast degli Usa.
L’ambizione dichiarata è di ripetere quello che è accaduto col petrolio negli anni ‘80, quando l’affermazione dei future su Wti e Brent trasformò completamente (e per sempre) il mercato.
L’articolo è stato pubblicato sul Sole 24 Ore del 24 marzo 2017