Negli anni ‘60, la Francia ha scelto il nucleare come fonte principale per la produzione di elettricità. Due le ragioni chiave alla base di questa decisione: l’indipendenza energetica e l’assenza di consistenti emissioni in atmosfera. L’implementazione di questa scelta ha fatto sì che, a partire dagli anni ‘90, la nazione si posizionasse ai primi posti in Europa, se non nel mondo, in termini di contenimento delle emissioni di CO2: considerando tutte le fonti di produzione, queste risultavano inferiori a 6 tonnellate l’anno per abitante. Un risultato che ha portato la Francia ad essere citata come esempio da seguire durante la stesura del Protocollo di Kyoto nel 1997, in occasione della III Conferenza delle Parti (COP3).
L’elettricità di origine nucleare rappresenta oggi il 78% della produzione totale mentre l’insieme delle fonti di generazione che non emettono gas serra supera il 90% del totale. Grazie a questo mix, la Francia emette 63 g di CO2 per kWh, a fronte di una media europea pari a 472, di un livello negli USA di 638 e di una media mondiale di 539. Una simile politica energetica si concilia perfettamente con la grande attenzione dedicata negli ultimi anni al cambiamento climatico e che ha raggiunto il suo apogeo a fine 2015 con l’Accordi di Parigi (COP21).
I minori costi e il più contenuto impatto ambientale giustificano il consistente ricorso al nucleare rispetto ad altre opzioni energetiche low-carbon. Di fatto, per produrre tanti kWh quanti ne produce un reattore EPR di nuova generazione (11,5 miliardi di KWh l’anno per un investimento di 10,5 miliardi di euro e una superficie occupata di 51 ettari), un parco eolico onshore richiederebbe la disponibilità di 6.000 ettari per un costo di 14 mld. euro; le cifre aumentano se si considerano l’eolico offshore - 47.000 ettari a fonte di un investimento da 19 mld. euro - e il solare con 22.400 ettari occupati per 27,5 mld.euro! Questi raffronti non tengono inoltre in considerazione l’esaurimento delle riserve mondiali di metalli rari cui contribuiscono eolico e fotovoltaico, in opposizione al principio dello sviluppo sostenibile.
Ovviamente, le considerazioni esposte valgono solo in assenza di incidenti rilevanti alle centrali nucleari. Ed è proprio questo il motivo per cui la Francia si è dotata di due strumenti unici al mondo: un’Autorità per la sicurezza Nucleare (ASN) indipendente e una vigilanza cittadina attraverso le Commissioni Locali di Informazione, anch’esse indipendenti. Il budget allocato a questi enti permette loro di adempiere al mandato per cui sono state concepiti: l’informazione pubblica e il controllo dell’ambiente1.
Ma qual è la situazione in Francia oggi?
1 – Il Presidente Hollande, in campagna elettorale, aveva promesso di chiudere la centrale nucleare di Fessenheim – la più vecchia di Francia - se fosse stato eletto, ma così non è stato. Al contrario, in vista delle elezioni del 2017, i suoi più probabili successori promettono di lasciarla funzionare, sempre in accordo con l’ASN e sotto il suo stretto controllo così come accade per tutte le centrali.
2 – È emerso che l’acciaio di alcune componenti dei reattori presenta un contenuto di carbonio pari al doppio del limite consentito: 0,4% invece di 0,2%. Tuttavia, questo limite è stato definito solo recentemente e tenori superiori come quelli riscontrati non hanno mai preoccupato gli esperti in metallurgia. Inoltre, già da diverso tempo sono stati condotti test su questi tipi di acciaio fino a pressioni di 450 atmosfere (mentre nei reattori si lavora a 150 atmosfere) senza che sia stata riscontrata alcuna anomalia. Questo spiega la tranquillità di EDF che ha proseguito il suo piano di lavoro sull’EPR senza deviare di una virgola. Stessa cosa per il controllo di altre parti fondamentali quali i generatori di vapore. Sei reattori sono stati controllati e sono tornati in funzione; altri sette hanno ricevuto l’autorizzazione a riprendere la loro attività, quel che dovrebbe avvenire a fine dicembre; gli ultimi 5 coinvolti nella questione relativa alla composizione dell’acciaio verranno fermati prossimamente in modo da eseguire gli stessi controlli condotti sugli altri. Nel verificare la buona tenuta degli acciai, che costituiscono un elemento essenziale nei reattori nucleari, l’ASN si limita semplicemente a fare il suo lavoro. Al momento, tutto ciò sta avvenendo senza causare problemi alle forniture elettriche della Francia anche se le importazioni hanno segnato un forte aumento.
3 – Per ciò che riguarda i dossier indicati come «falsificati» relativi a pratiche di fabbricazione, occorre risalire al 1965! Sono documenti scritti 51 anni fa all’interno di una fucina che si chiamava «Creusot-Loire» e che non esiste più da tempo. Inoltre il programma elettronucleare francese è stato avviato nel 1974: ciò significa che la documentazione di cui si parla afferisce a reattori fuori servizio da tempo e appartenenti alla filiera grafite-gas (reattori moderati a grafite e con un gas come fluido termovettore). L’ultimo reattore di questo tipo è stato chiuso 20 anni fa (Bugey-1). In questo ambito quindi, ci si può legittimamente interrogare sulla pertinenza di questi controlli.
4 – Nonostante una tassazione elevata, in parte imputabile al finanziamento delle energie rinnovabili, in condizioni di ottimale utilizzo del nucleare il kWh francese è uno dei meno cari d’Europa. Tuttavia, in caso di fermo di alcuni reattori per ragioni tecniche legate al rispetto della sicurezza, il ricorso ad altre fonti di generazione determina inevitabilmente un aumento consistente dei prezzi elettrici, quel che di fatto sta avvenendo ora: i prezzi all’ingrosso hanno raggiunto picchi di 123 €/MWh rispetto ad un livello che di norma si aggira sui 40 €/MWh.
Un esempio attuale: l’inquinamento in Francia
La transizione energetica tedesca poggia sulla totale chiusura delle sue centrali nucleari per sostituirle con impianti a fonti rinnovabili da una parte e carbone (essenzialmente lignite, il più sporco dei carboni) e gas dall’altra, questi ultimi necessari per compensare l’intermittenza - peraltro imprevedibile – dei primi.
In Francia, da fine novembre, sono stati registrati picchi di inquinamento rilevanti in tutta la metà nord del paese e fino alla regione lionese, passando per il bacino parigino. Curiosamente, questi livelli di inquinamento si verificano solo quando il vento soffia da est o da nord-est dell’Europa. Basta guardare una cartina dell’Europa occidentale per verificare che la causa principale risiede nelle emissioni delle centrali a lignite tedesche, in particolare di quelle prossime a Colonia e a Düsseldorf: non così distanti dal confine francese e in cui si concentra il 60% delle riserve di lignite della Germania.
Uno studio commissionato da Greenpeace nel 2013 - basato sull’attività delle 67 più grandi centrali a carbone della Germania nel 2010 - stima che, ogni anno, 3.100 persone muoiono prematuramente a causa delle emissioni di CO2 e di polveri fini emesse dalle centrali a carbone e tali da provocare malattie respiratorie, tumori ai polmoni e infarti del miocardio.
Per sostituire gli 8 reattori nucleari sui 17 chiusi nel 2011, le 140 centrali a carbone presenti in Germania sono tornate ad operare a pieno regime. Pertanto, tenendo conto di questa evoluzione, i ricercatori stimano che bisognerà aggiungere altre «2.155 morti premature l’anno». E anche in quel caso la nuvola non si ferma al confine: le conseguenze sanitarie sono pesanti a livello europeo. Secondo un altro studio citato da «Der Spiegel», l’inquinamento legato alla combustione del carbone costerebbe ogni anno 43 miliardi di euro di spese sanitarie all’Unione Europea.
In Francia, tenendo conto di tutte le fonti, l’inquinamento è causa di 40.000 morti l’anno. Ci viene anche detto che questo inquinamento atmosferico, considerando anche un solo picco in una sola giornata nella regione parigina, porta ad una perdita della speranza di vita di 6 mesi. A fronte di ciò, mentre sono state prese misure di restrizioni della circolazione a Parigi e a Lione, senza effetti notevoli tenendo conto che la responsabilità principale non risiede nel traffico, la popolazione de l’Ile de France non è stata evacuata e la stampa non si è mobilitata molto a riguardo.
Dall’altro capo del Pianeta, il governo giapponese, obbedendo alle norme emanate dalla CIPR (Commissione Internazionale di Protezione contro le Radiazioni) ha evacuato 110.000 persone attorno a Fukushima nelle zone caratterizzate da una radioattività dell’ordine di 20 mSv/anno susseguente alla catastrofe; questo fatto è stato rilanciato dai media di tutto il mondo e ancora di attualità dopo 5 anni!
Quindi, per raggiungere la stessa perdita della speranza di vita accettata dai Parigini, sarebbe necessario che una popolazione subisse per un anno una dose di radiazioni 18 volte più alta del limite di 20 mSv/anno, soglia presa a riferimento dalle autorità giapponesi2. Si misura così la differenza di trattamento dell’informazione da parte dei media tra l’inquinamento radioattivo del Giappone e quello atmosferico che riguarda una buona parte della Francia (e il Belgio, anch’esso coinvolto). E quest’anno, questi picchi di inquinamento durano da dieci giorni e non finisce qui!
Note
1 Si veda il capitolo XIX del mio libro tradotto in italiano «Si può uscire dal nucleare?» (ottobre 2012). Il volume, scritto insieme a Yves de Saint Jacob, è stato pubblicato a Parigi da Hermann nell’ottobre 2011 e ha ottenuto il Premio del Forum Atomique Français nel 2012.
2 Étude d’Hervé Nifenecker publiée sur lexpansion.com le 17/04/2014
Il testo originale dell’articolo dal titolo Le nucléaire est stratégique pour la France è disponibile al link