Quando il Presidente Xi Jinping, dinanzi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2020, annunciò i dual carbon goals della Cina (picco di emissioni intorno al 2030 e neutralità climatica entro il 2060), ben pochi sembravano pronti a scommettere sulla fattibilità dei target della transizione energetica cinese. Oggi, sebbene la strada da percorrere sia ancora lunga e densa d’insidie, alcuni importanti risultati sono stati raggiunti e, soprattutto, la capacità industriale e tecnologica del Paese è stata largamente messa al servizio di questo obiettivo. Una crescita che, tuttavia, potrebbe trovare ostacoli nelle barriere tariffarie poste dall’Amministrazione Biden e, tra pochi giorni, da nuove misure della nuova Presidenza Trump, cui si aggiungono analoghe misure sui veicoli elettrici posti in essere dall’UE.
L’espressione concreta di questo slancio verso la transizione energetica del Paese è data innanzitutto dall’esponenziale aumento della capacità installata di rinnovabili nel Paese, che a luglio 2024 ha raggiunto i 1.200 GW installati complessivi di fotovoltaico ed eolico. Si tratta di un target che era stato fissato per il 2030, raggiunto quindi con oltre cinque anni di anticipo. E la corsa continua: la IEA stima che nel 2030 il Paese sarà in grado di installare 500 GW di rinnovabili l’anno.
Scenari relativi alla capacità addizionale di energia rinnovabile cinese suddivise per tecnologia
Fonte: © OECD/IEA 2024 Renewables 2024, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c
Risultati che sono a valle dell’ingente mole di investimenti messa in campo: nel solo 2023, il Paese avrebbe messo sul piatto più di 670 miliardi di dollari in investimenti per le rinnovabili. Ciò si traduce in una quota cinese di capacità installata sul totale globale pari al 40%, con la prospettiva di arrivare al 50% entro il 2030. Non solo: nel 2023, le “new three industries” (solare, eolico, batterie) hanno contribuito per il 40% della crescita del PIL del Paese. Ora, la nuova legge sull’energia (varata a novembre 2024) e i nuovi Nationally Determined Contributions (NDCs) che verranno comunicati a febbraio dal governo cinese, renderanno più chiare le ambizioni del Paese in materia di riduzione delle emissioni carboniche per i prossimi cinque anni e i conseguenti impegni in termini di installazione delle rinnovabili.
In questo quadro, che configura un’accelerazione della transizione, permangono alcuni problemi di fondo. La Cina è ancora il maggiore Paese responsabile delle emissioni globali, con una quota pari al 30%. In un contesto di aumento dei consumi energetici complessivi e pro-capite, l’aumento delle rinnovabili è stato in grado (finora) di stabilizzare le emissioni complessive, ma non ancora diminuirle.
Quota della Cina nella crescita globale della capacità di energia rinnovabile e additions annuali indicizzate al 2015
Fonte: © OECD/IEA 2024 Renewables 2024, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c
Inoltre, il mix energetico cinese è ancora fortemente dominato dalle fonti fossili. Circa il 60% dei consumi energetici del Paese sono coperti dal carbone, il 18% dal petrolio, 8% dal gas naturale e ancora solo il 5% dalle rinnovabili (quasi il 10% se si considera anche l’idroelettrico).
Il Governo cinese, d’altronde, persegue un approccio cauto verso la transizione e soprattutto verso la riduzione delle fonti fossili, un’attitudine che potrebbe essere riassunta nel motto “first set up the new, then remove the old”, indicando come il progressivo decommissioning delle fonti fossili avverrà solo quando le rinnovabili saranno in grado di garantire una stabilità del sistema energetico.
In questo quadro si inseriscono le difficoltà nel porre un limite alle nuove installazioni di centrali a carbone. La Cina è responsabile della metà dei consumi mondiali di carbone, e nel corso del 2023 ha contato per oltre il 95% delle autorizzazioni globali di nuove centrali a carbone. Situazione dovuta in particolare alle amministrazioni locali, che spesso hanno disatteso le direttive del Governo centrale sulla riduzione delle autorizzazioni per nuove centrali. Nel 2024, tuttavia alcuni risultati si son registrati: le autorizzazioni si son ridotte dell’80% rispetto al 2023.
Per quanto riguarda le rinnovabili si pone un ulteriore problema, in particolare per quanto riguarda i picchi di produzione, in cui gran parte dell’energia viene sprecata a causa della scarsa integrazione tra le infrastrutture di trasporto dell’energia elettrica. Il Governo sta progressivamente richiedendo sistemi di accumulo da costruire accanto a grandi impianti fotovoltaici o eolici. Inoltre, sono previsti 800 miliardi di dollari di investimenti nelle reti nel corso dei prossimi 6 anni, che includono più di 500.000 km di linee per connettere le province occidentali e settentrionali, ricche di risorse energetiche, con i grandi centri di domanda a est. In questa prospettiva, anche il nucleare dovrebbe contribuire alla stabilizzazione del sistema e agli impegni di transizione energetica: 56 reattori sono attivi e altri 30 sono in fase di costruzione (sebbene il contributo rispettivamente al mix energetico e elettrico sia ancora modesto). Inoltre, anche l’idroelettrico sembra vedere una nuova rinascita. La Cina già possiede il 30% della potenza idroelettrica installata a livello mondiale, ospita la più grande diga del mondo (Diga delle Tre Gole), e ha approvato a dicembre la costruzione di una nuova diga nell’altopiano del Tibet (con una potenza di tre volte quella della Diga delle Tre Gole), decisione che potrà determinare nuove tensioni con l’India.
La partita industriale green segna, invece, un punto di consolidata leadership per Pechino. Un successo che è dovuto a importanti fattori. In particolar modo, ad una catena del valore integrata verticalmente, con la Cina che possiede un vantaggio competitivo dai minerali critici (con quote del 90% sulla capacità di raffinazione globale di terre rare e del 60% per il litio delle batterie), alle batterie (75-80% produzione globale) e quindi è in grado di produrre i veicoli elettrici, turbine eoliche e pannelli fotovoltaici a prezzi più competitivi rispetto ai competitor occidentali. A ciò si aggiunge una continua innovazione a livello di prodotto e di processo.
Come conseguenza, a luglio 2024 per la prima volta le vendite nel mercato cinese di auto elettriche hanno superato quelle di auto a motore endotermico e BYD ha superato lo scorso anno Tesla per il numero di auto elettriche vendute a livello globale, con la Cina che ha immatricolato il 64% delle nuove auto elettriche a livello mondiale nel 2024.
Andamento vendita auto elettriche, 2010-2023
Fonte: © OECD/IEA 2024, Global EV Outlook 2024, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c
Nel complesso, il settore del clean tech cinese sta attraversando una fase di sovrapproduzione. Se nel recente passato parte della risposta è stata l’esportazione verso i mercati occidentali e, in particolare europeo, i recenti dazi americani ed europei potranno rallentare i volumi esportati. A maggio 2024 il Presidente Biden annunciò nuove tariffe anche sui settori del clean tech, in vigore a partire da settembre. I dazi per le importazioni di veicoli elettrici cinesi sono aumentati dal 25% al 100%, sulle batterie al litio per i veicoli elettrici dal 7,5% al 25% e sulle celle solari dal 25% al 50%. A ciò si aggiungono le restrizioni già previste dall’Inflation Reduction Act, con benefici fiscali per l’acquisto di veicoli elettrici condizionati dall’origine dei minerali critici e delle batterie utilizzati per la loro fabbricazione. In particolare, nessun credito fiscale verrà erogato se l’origine dei minerali critici o batterie sia riconducibile ad una Foreign Entity of Concern (lista che include anche la Cina). Come ultimo atto della Presidenza, inoltre, Biden ha annunciato un ban complessivo alla commercializzazione sul territorio statunitense di auto che installino hardware e software di auto cinesi, ban che tuttavia si applicherebbe su modelli non ancora in circolazione.
Tariffe che potrebbero aumentare dopo l’insediamento del Presidente Trump, che in campagna elettorale ha prefigurato nuovi dazi del 60% su tutte le merci provenienti dalla Cina. E la stessa UE ha alzato nuove barriere ai veicoli elettrici cinesi a partire da ottobre 2024, come risultato di un’indagine anti-sussidi lanciata nel 2023. Dazi del 17% alle auto provenienti dalla Cina della compagnia automobilista cinese BYD, 18,8% a Geely, 35,3% a SAIC, del 7,8% per le auto prodotte in Cina dall’americana Tesla e del 35,3% ad altre case automobilistiche non cooperanti (in aggiunta al 10% di dazi ordinari già presenti sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina). E le misure non sono unidirezionali: Pechino a dicembre 2024 ha annunciato il divieto all’export verso gli Stati Uniti di minerali critici quali germanio, gallio e antimonio, mentre ha rafforzato le restrizioni per la grafite. Misure che seguono il divieto di dicembre 2023 all’esportazione di tecnologie per la raffinazione di terre rare, misura intesa a prevenire la costituzione di filiere dei minerali critici alternative e in competizione con quelle cinesi.
A fronte di tensioni e ostacoli crescenti, e per mantenere una presenza stabile nei mercati esteri, soprattutto in quello europeo, Pechino sta adottando una strategia di produzione nei mercati locali di destinazione anche attraverso joint ventures, come dimostra il recente accordo tra Stellantis e CATL per una nuova gigafactory per la produzione di batterie in Spagna, dal valore di 4 miliardi di euro. Una strategia che potrebbe essere compatibile anche con gli indirizzi della nuova Amministrazione Trump, che non ha mai chiuso a investimenti produttivi cinesi negli USA. Un quadro globale complesso che, soprattutto a causa di barriere crescenti e l’utilizzo sempre più diffuso di misure e contromisure di sicurezza economica, impongono a Pechino un ripensamento della complessiva strategia industriale del clean tech. Ma proprio le barriere esterne potrebbero, paradossalmente, accelerare gli sforzi interni di transizione energetica, incrementando le installazioni di rinnovabili e di storage per assorbire la sovrapproduzione nei settori delle energie verdi. E rendere, di conseguenza, più conseguibili gli obiettivi di neutralità climatica.