Energia dall’idrogeno: come mai se ne parla sempre più spesso? La spinta verso questa soluzione è motivata principalmente da due ragioni: in primo luogo, gli obiettivi europei di decarbonizzazione al 2030 rendono necessaria la ricerca di soluzioni alternative ai gas fossili e a fonti considerate inquinanti. In secondo luogo, non meno importante, gli avvenimenti geopolitici degli ultimi due anni hanno riportato in risalto i temi dell’indipendenza e della sicurezza energetica, rendendo di fatto indispensabile l’adozione di nuove soluzioni che possano rendere il continente europeo (o almeno una parte) maggiormente indipendente e autonomo da forniture esterne.

Negli ultimi anni, è stato compreso che la risposta a queste esigenze è la costruzione di un mix energetico basato sulla complementarità di diverse soluzioni tecnologiche. Tra le varie soluzioni, ha riacquistato particolare importanza l’idrogeno rinnovabile come vettore energetico capace di rispondere a queste esigenze.

Confindustria, con la collaborazione primaria di Anima Confindustria e di altre associazioni di categoria, oltre che di gestori energetici ed enti privati e statali, ha condotto uno studio dal titolo “Modelli di Business per l’utilizzo dell’H2 e lo sviluppo della Filiera in Italia” pubblicato a gennaio di quest’anno. Tale studio ha ripreso e affrontato il tema dell’idrogeno con un approccio metodologico pratico, così da evidenziarne criticità e benefici, e avanzare proposte di policy alle istituzioni italiane ed europee. Lo studio è stato presentato in sede Confindustria a Roma e nell’Hydrogen Hub durante la fiera MCE – Mostra Convegno Expocomfort.

All’interno dello studio, scaricabile gratuitamente dai siti di Confindustria e di Anima Confindustria, vengono presentate diverse sperimentazioni e modelli di business provenienti da vari settori, dalla ceramica al vetro, dalla meccanica alla bioraffinazione fino alla logistica, per concludere con il settore residenziale e le sperimentazioni effettuate sulla rete gas. Lo scopo è quello di dare un contributo forte e concreto allo sviluppo della “filiera idrogeno” in Italia, non solo in ottemperanza agli obiettivi di decarbonizzazione, ma anche per favorire grandi opportunità di investimento, innovazione tecnologica e di adeguamento del sistema industriale e al sistema energetico nazionale. Nella ricerca vengono quindi presentati diversi scenari, con analisi dei costi e dei benefici per tutti i settori coinvolti.

L’idrogeno utilizzato come materia prima (feedstock) nei processi produttivi di settori hard-to-abate come la chimica, la raffinazione e la bioraffinazione, è ancora oggi quasi totalmente rappresentato dall’idrogeno grigio, prodotto principalmente attraverso Steam Reforming del metano (gas naturale) - SMR, processo che comporta l’emissione di CO2 in atmosfera.

Nei processi produttivi della chimica, della raffinazione e della bioraffinazione, l’idrogeno è un elemento indispensabile per garantire le reazioni chimiche in atto (idrodesolforazione, idrotrattamento, ecc.) e non può essere sostituito da altri elementi, molecole o composti chimici. Proprio per questo motivo, la penetrazione dell’idrogeno rinnovabile nel settore feedstock risulta estremamente importante da raggiungere, in quanto, se questo non accadrà si continuerà ad utilizzare l’idrogeno grigio e non si riusciranno a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione prefissati dalla Direttiva europea RED.

L'accordo raggiunto (Direttiva RED) stabilisce che l'uso di energia rinnovabile nell'industria aumenti dell'1,6% all'anno. Inoltre, sono definiti anche degli obiettivi specifici per il settore dell’industria e dei trasporti:

• nel settore dell’industria entro il 2030 il 42% dell'idrogeno utilizzato nell'industria dovrà essere rinnovabile, ai sensi degli Atti Delegati, percentuale che sale al 60% entro il 2035;

• nel settore dei trasporti si introduce un obiettivo minimo vincolante per l’utilizzo dell’idrogeno rinnovabile dell’1% (rispetto al totale di energia consumata nel settore dei trasporti) al 2030.

Gli accordi attuali fissano anche limiti superiori alla produzione di idrogeno da fonti fossili (23% al 2030 e 20% al 2035), incompatibili con la produzione attuale di idrogeno da SMR.

Le produzioni del vetro e della ceramica sono considerati processi energivori e gasivori, rientrando quindi nella categoria dei settori “Hard-to-Abate”.  Il vettore energetico attualmente più utilizzato è il gas naturale, seguito dall’energia elettrica. Analizzando il settore del vetro, in tutto il processo produttivo, la fusione di questo materiale rappresenta in media oltre il 70% del consumo di energia primaria. Per fondere la miscela vetrificabile è necessario raggiungere temperature intorno ai 1.500 °C. Il gas naturale viene utilizzato principalmente per il processo di fusione e per il successivo raffreddamento controllato del fuso (detto condizionamento) fino alle condizioni necessarie per la fase di formatura.

Considerando che l’elettrificazione della fase di fusione del vetro pone dei problemi tecnologici attualmente in fase di studio, l’idrogeno può rappresentare un’interessante alternativa per la decarbonizzazione di un settore ad elevata intensità energetica. Nel processo di lavorazione del vetro, il gas naturale viene utilizzato principalmente per la fase di fusione, ed è proprio in questa fase che, allo stato attuale, si potrebbe ipotizzare l’utilizzo del blending H2/GN fino al 20%. Fino a tale percentuale, la componente impiantistica non richiede adeguamenti tecnologici.

Se guardiamo invece alla logistica, attualmente il settore è dominato dal gasolio e, in quota ridotta ma crescente, da alimentazioni alternative come GNL e bioGNL. Le poche stazioni di rifornimento a idrogeno attualmente eroganti in Europa hanno prestazioni insufficienti per sostenere uno sviluppo massivo del settore (in termini di tempi di erogazione e pressioni massime).

In Italia esistono vincoli estremamente stringenti sulle distanze di sicurezza che rendono molto complicata la realizzazione di punti di erogazione di idrogeno presso stazioni esistenti, nonché il reperimento di terreni sufficientemente ampi per la realizzazione di impianti nuovi, determinando un incremento dei costi e tempi di realizzazione. I pochi mezzi attualmente disponibili implementano bombole a 350 bar, ma per i veicoli di prossimo arrivo sul mercato ci si attende l’adozione delle tecnologie a 700 bar come standard, così da permettere prestazioni e tempistiche di rifornimento equiparabili al diesel.

Per abbattere le emissioni globali e ridurre l’impatto ambientale, è fondamentale agire sul settore edilizio. Il 43% circa dei consumi di gas naturale in Italia è, infatti, ascrivibile al settore domestico/residenziale (dati 2022) e, grazie a una infrastruttura capillare, diffusa per oltre 300 mila km di rete che collegano il 90% dei Comuni italiani.

Nel nostro paese, il percorso di decarbonizzazione del settore residenziale va calato in un contesto che vede un parco immobiliare datato e inefficiente, in cui le classi energetiche degli edifici risultano decisamente basse. Il 60% del parco edilizio è stato realizzato prima del 1977 e circa tre edifici su quatto appartengono a classi inquinanti (E, F, G). L’esperienza di questi anni evidenzia come la decarbonizzazione del settore del riscaldamento, per potersi dispiegare in concreto e raggiungere gli obiettivi attesi, debba avvalersi di un approccio pragmatico, che coinvolga i distributori, l’industria e i consumatori finali.

Come sottolinea Anima Confindustria, e in particolare Assotermica (Associazione produttori apparecchi e componenti per impianti termici federata Anima), oggi risulta necessario adottare politiche che tengano adeguatamente conto della realtà e in particolare della necessità di garantire la neutralità tecnologica, offrendo la possibilità di impiegare tutte le soluzioni tecnologiche esistenti a basso o nullo impatto ambientale in base alle loro prestazioni e modalità di funzionamento.

Alla luce di tali considerazioni, bisogna prevedere nel settore residenziale – in una logica di neutralità tecnologica – una progressiva immissione di gas rinnovabili in miscela, ed in particolare dell’idrogeno rinnovabile, un vettore energetico che può offrire soluzioni in grado di abbattere significativamente le emissioni utilizzando l’infrastruttura e i sistemi esistenti con mirati adeguamenti, offrendo al consumatore finale una soluzione accessibile che garantisca la stabilità, la sicurezza e la resilienza del sistema. Oggi le tecnologie sono pronte, con prodotti già immessi sul mercato che possono funzionare con miscele contenenti idrogeno al 20% e caldaie – prodotte da aziende italiane – realizzate per funzionare esclusivamente con il 100% di idrogeno.

Per accogliere i gas rinnovabili occorre investire nell’innovazione tecnologica delle reti: la trasformazione digitale di asset e processi e il reskilling delle persone, sono gli unici percorsi per promuovere attivamente l’evoluzione del settore e creare le condizioni per realizzare la nuova generazione di infrastrutture.

La digitalizzazione delle reti di distribuzione del gas, infatti, oltre ad essere necessaria per consentire il blending di gas rinnovabili e di idrogeno nella rete, aumenta l’efficienza, migliora la sicurezza, abilita la manutenzione predittiva, consente un migliore controllo dei parametri gestionali come odorizzazione e pressione, aiuta a garantire l’operatività della rete anche in caso di fenomeni estremi.

In conclusione, i risultati ottenuti nello studio mostrano come l’idrogeno rinnovabile sia un elemento fondamentale in grado di favorire e contribuire al percorso di transizione energetica ed ecologica. Allo stato attuale, tuttavia, l’idrogeno rinnovabile presenta ancora alcune criticità, prima di tutte l’elevato costo di produzione compreso nel range 8 - 20 €/kg (a seconda dei casi). Nel caso del settore trasporti, per esempio, per essere competitivo con il gasolio, l’idrogeno non dovrebbe costare più di 5,50 €/kg.

Oltre a questo, essendo il prezzo dell’energia italiano molto più alto di quello di altri paesi UE, la produzione di idrogeno rinnovabile in Italia risulta più costosa, creando un gap di competitività tra paesi come l’Italia e altri paesi europei, in particolare del Nord Europa.

Un’altra criticità è rappresentata dagli Atti Delegati (con particolare riferimento alla Produzione di RFNBO ai sensi dell’Art. 27(3) della RED), che causano serie limitazioni alla produzione di idrogeno. Tutti questi fattori penalizzano pesantemente l’idrogeno rinnovabile in termini di competitività e rendono estremamente difficile la sua diffusione.

Confindustria ritiene che per superare tutte queste problematiche sia necessario intervenire tempestivamente su questi fattori, pensando a soluzioni efficienti e concrete. Per la creazione di una vera Filiera e un vero Mercato dell’idrogeno risulta indispensabile favorire uno scale-up commerciale degli impianti, quale unica soluzione per favorire la riduzione dei costi Capex. Un’ulteriore leva di riduzione dei costi sarà rappresentata nel tempo dall’avanzamento tecnologico degli elettrolizzatori, attraverso il quale sarà possibile aumentare efficienza del processo in atto (attualmente al 60%).