La strategia di decarbonizzazione dell’UE si regge su tre pilastri fondamentali: la riduzione dei consumi energetici; l’elettrificazione dei consumi “efficienti” con elettricità rinnovabile; l’impiego di molecole a bassa intensità carbonica in quei settori, cosiddetti hard-to-abate, ovvero alcuni comparti dell’industria pesante e trasporto pesante su strada a cui è imputabile il 25% circa delle emissioni complessive dell’Unione, in cui ad oggi l’elettrificazione non è possibile per motivi tecnici e/o economici.

Tra queste ultime il biometano sarebbe destinato ad avere un ruolo di primo piano così come evidenziato nel Piano REPowerEU che ha aumentato il target di produzione al 2030 dai 18 mld mc previsti dal Pacchetto Fit-for-55 a 35 mld mc. Si tratta di una quantità pari a circa l’8% del consumo complessivo dell’Unione (stimato da Eurostat in 412 mld mc nel 2021) in cui il mercato appare in rapida evoluzione. Tra il 2011 e il 2022 sono entrati in operatività oltre 1.000 impianti e la produzione complessiva è aumentata di 8 volte raggiungendo i 4 mld mc annui. Tale quantità è, però, ancora lontana da quella obiettivo e pari a poco più dell’1% del gas naturale annualmente consumato dagli Stati Membri.

Impianti e produzione di biometano: evoluzione storica in Europa tra il 2011 e il 2022

Fonte: elaborazioni Osservatorio Gas Rinnovabili (OGR) – Università Bocconi su dati EBA

In Italia, secondo il Consorzio Italiano Biogas, la produzione di biometano potrebbe raggiungere gli 8 mld mc annui, un ammontare pari a circa il 12% dei consumi totali di gas naturale nel 2021. La produzione, tuttavia, così come risulta dal Contatore del GSE, è stata pari nel 2022 solo a 200 mil mc.

Al fine di accelerare lo sviluppo del mercato risulteranno determinanti, sia a livello nazionale che europeo, i sistemi di incentivazione.

A settembre 2022 il MITE ha emanato un Decreto recante un nuovo sistema di incentivazione che prevede due obiettivi produttivi pari a 600 mil. mc e 2,3 mld mc annui rispettivamente entro il 2023 e il 2026. L’incentivo, da assegnarsi attraverso aste pubbliche, è articolato in due componenti:

 Feed-in-tariff (FIT) (o Feed-in-premium-FIP per impianti > 250 Smc/h) garantita per 15 anni;

- contributo in conto capitale del 40% dell’investimento entro soglie predeterminate.

 Entrambe le componenti sono differenziate in base alla tipologia dell’impianto e variano per quello agricolo, anche se non significativamente, a seconda della capacità installata. Per gli impianti a rifiuti gli incentivi non sono funzione della potenza dell’impianto e non internalizzano dunque le consistenti economie di scala che caratterizzano invece i costi di produzione.

Tariffa omnicompensiva prevista dal Decreto biometano 2022

Tipo di impianto

Capacità di produzione di biometano in Smc/h

Tariffa di riferimento €/MWh

Impianto agricolo di piccole dimensioni

≤ 100 Smc/h

115

Altri impianti agricoli

>100 Smc/h

110

Impianto a rifiuti organici

-

62

Fonte: Decreto Biometano 2022

Contributo in conto capitale previsto dal Decreto biometano 2022

Tipo di impianto

Capacità di produzione di biometano in Smc/h

Massimo costo di investimento – impianti nuovi €/Smc/h

Massimo costo di investimento – riconversioni €/Smc/h

Impianto agricolo

≤ 100 Smc/h

33.000

12.600

 

100 Smc/h

29.000

12.600

 

>500 Smc/h

13.000

11.600

Impianto a rifiuti organici

-

50.000

-

 Fonte: Decreto Biometano 2022

 L’Osservatorio Gas Rinnovabili dell’Università Bocconi (OGR), per gli impianti greenfield*ha stimato incentivi compresi tra 109 e 104 €/MWh a fronte di costi di solo impianto (a cui vanno aggiunti i costi delle diete al fine di valutare l’economicità della produzione) compresi tra 75 e 200 €/MWh per gli agricoli, e incentivi pari a 75 €/MWh a fronte di costi di produzione compresi tra 3 e 165 €/MWh per gli impianti a rifiuti (prezzo di ritiro della FORSU assunto pari a 120 €/t e portato in detrazione dei costi di produzione), rivelando perciò come i costi di produzione possano essere significativamente più elevati degli incentivi riconosciuti, in particolare per gli impianti di piccole dimensioni alimentati con diete diverse da materie prime a costi negativi come la Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano o i fanghi di depurazione.

Ciò è ascrivibile sia al livello degli incentivi riconosciuti, sia al computo dei consumi energetici dei Servizi Ausiliari non autoalimentati (compresi tra il 25,5/configurazione A – immissione in rete di distribuzione e il 41,5%/configurazione E – liquefazione della produzione lorda) in detrazione della produzione lorda (al fine di determinare quella netta incentivata), i quali determinano nei fatti una sostanziale discrepanza tra l’incentivo «nominale» e quello «reale» riconosciuto sul MWh prodotto. Giova anche considerare che i costi di allacciamento alla rete non sono stati presi in considerazione nell’analisi e che, in caso di produzione di bio-GNL, a quelli considerati andrebbero aggiunti i costi di liquefazione.

 Per quanto concerne gli impianti brownfield (risultanti dalla riconversione degli impianti agricoli a biogas esistenti) l’analisi è stata effettuata a partire dai dati contenuti nel database of Italian BIogas plants (DIBI) dell’OGR relativi a 2.132 impianti, a cui corrisponde una capacità totale installata di circa 2,5 GW.  Tra essi gli impianti eligibili per la riconversione sono stati individuati sulla base:

  1. della natura agricola dell’impianto (il Decreto riconosce la possibilità di riconversione solo agli impianti agricoli);
  2. della convenienza economica della riconversione valutata sulla base del confronto tra contributo in conto capitale unitario e costi di riconversione;
  3. del rispetto dei criteri di abbattimento delle emissioni di GHG (ovvero delle percentuali minime di abbattimento delle emissioni rispetto al Fossil Fuel Comparator – FFC pari al 65 e all’80% in caso di uso del biometano nel settore dei trasporti e in altri settori rispettivamente, così come stabilito nella RED II).

 Ne è emersa la convenienza economica alla riconversione solo per i 1.296 impianti agricoli di dimensioni superiori a 300 kW. Un numero che si riduce a 1.190 considerando le diete e, quindi, la compatibilità del carico emissivo con i summenzionati criteri di “sostenibilità”. Corrispondendo ad essi una capacità installata complessiva pari a 1.084 MW, la quantità di biometano ritraibile dalle riconversioni sarebbe pari a circa 800 mil. mc l’anno: un ammontare pari a circa un terzo dell’obiettivo produttivo fissato al 2026 che andrà, dunque, in larga parte raggiunto mediante la realizzazione di nuove facilities.

 Il sistema di incentivazione descritto non pare dunque in grado di sfruttare appieno il potenziale produttivo nazionale nella misura in cui esso consente solo la realizzazione di impianti di grandi dimensioni e/o alimentati con materie prime a basso costo/costo negativo e la riconversione economica e sostenibile di solo poco più della metà del parco a biogas esistente.

Pur essendo il potenziale produttivo teorico considerevole, sia a livello nazionale che europeo, e tale da garantire al biometano un ruolo di primo piano nella transizione energetica, la sua trasformazione in potenziale tecnico-economico e, quindi, in produzione reale, non è scevra di ostacoli, sia dal punto di vista economico che da quello della sostenibilità.

Ciò evidenzia la criticità e l’importanza dei sistemi di supporto pubblico allo sviluppo del mercato che detteranno nei fatti il ritmo di espansione e che, sic stantibus rebus, dovrebbero essere maggiormente improntati ad una logica keynesiana.

Le ipotesi alla base dei calcoli sono le seguenti: fattore di carico di 8.000 h/a, vita utile 15 anni, prezzo del gas pari a 50 €/MWh, consumi energetici dei SA non autoalimentati pari al 25,5% (configurazione A con immissione in rete di distribuzione), sconto in tariffa minimo, contributo in conto capitale massimo.