Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale Ue del 14 giugno, le quattro direttive che compongono il nuovo pacchetto normativo europeo sull’economia circolare saranno pienamente in vigore il 4 luglio 2018: si tratta delle conclusione di un percorso che ha impiegato esattamente 4 anni per dispiegarsi, da quando la Commissione europea guidata da José Barroso avanzò per prima la proposta.
Anche se il termine ultimo per il recepimento da parte degli Stati membri è fissato per luglio 2020, la prova dei fatti inizia adesso. Le sfide che pongono le nuove direttive richiedono tempo, dedizione e attenzione a un ampio ventaglio di macrosettori: la 2018/851 modifica la direttiva relativa ai rifiuti; la 2018/852 quella su imballaggi e rifiuti da imballaggio; la 2018/849 quelle sui veicoli fuori uso, pile e accumulatori, Raee; la 2018/850 quella sulle discariche.
Più nel dettaglio, la direttiva 2018/851 prevede un ampio ventaglio di indicazioni per promuovere concretamente una maggiore efficienza nell’impiego delle risorse naturali, che non abbondano sul territorio del Vecchio continente e in quello italiano in particolare, attraverso l’economia circolare: nel testo si argomenta, ad esempio, che «gli Stati membri dovrebbero avvalersi di strumenti economici e di altre misure intesi a fornire incentivi per favorire l’applicazione della gerarchia dei rifiuti», che vede al primo posto la prevenzione e all’ultimo la discarica; si evidenzia poi che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure opportune per aiutare a riconoscere come sottoprodotto una sostanza o un oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto», ritenendo opportuno dare alla Commissione Ue le competenze per definire criteri dettagliati per l’applicazione della qualifica di sottoprodotto; inoltre, con questa direttiva l’Ue impone agli Stati membri di non qualificare come rifiuto qualsiasi sostanza che rispecchi i requisiti richiesti per l’End of Waste (cessazione di qualifica come rifiuto). Si tratta di un tema molto caldo per il nostro Paese, dopo la sentenza 1229/18 del Consiglio di Stato pronunciata in merito il 28 febbraio, che sta frenando di fatto l’economia circolare nazionale: il recepimento della direttiva 2018/851 appare dunque particolarmente importante nel contesto nazionale.
Non sono da meno le altre direttive che si accingono ad entrare in vigore. La 2018/849 introduce il dovere per gli Stati membri di adottare «i provvedimenti necessari affinché le autorità competenti riconoscano reciprocamente e accettino i certificati di rottamazione emessi in altri Stati membri», e anche in questo caso, per pile, accumulatori e Raee, gli Stati membri «possono utilizzare strumenti economici e altre misure per incentivare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti».
Per quanto riguarda invece i rifiuti da imballaggio (2018/852) e discariche (2018/850), l’Unione europea dettaglia un numero rilevante di obiettivi, progressivamente sfidanti, da raggiungere nel corso dei prossimi anni: entro il 2025 almeno il 55% dei rifiuti urbani (sia domestici sia commerciali) dovrà essere riciclato, obiettivo che salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Nel mentre (entro il 2025) il 65% dei rifiuti da imballaggio dovrà essere riciclato fino a raggiungere quota 70% entro il 2030. Per quanto riguarda la discarica, la direttiva Ue prevede che la quota di rifiuti urbani da destinare a questa forma di smaltimento non ecceda il 10% entro il 2035: si tratta di un obiettivo dal quale l’Italia è ancora lontana, avendo conferito in discarica (dati 2016) circa il 25% dei propri rifiuti urbani, anche se già nel 2014 paesi come Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svezia non hanno inviato praticamente alcun rifiuto in discarica.
Come si vede, tutte e 4 le nuove direttive europee si muovono entro l’orizzonte dell’economia circolare, utilizzando tutti gli strumenti messi a disposizione della gerarchia per una corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti – ovvero prevenzione, riuso, recupero di materia, recupero di energia, smaltimento – ma dando concretezza all’ordine di priorità, ad esempio attraverso il richiamo agli incentivi economici.
In questo modo l’economia circolare viene declinata rimanendo alla larga da paure immotivate e tabù dell’opinione pubblica (un esempio a livello nazionale riguarda il recupero di energia da rifiuti, ad esempio tramite termovalorizzazione), e dando valore pragmatico alla sua definizione originaria: quella di un modello economico in cui il valore di risorse naturali e prodotti viene mantenuto il più a lungo possibile. Inseguire un simile modello costituisce una sfida fondamentale per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, in un percorso nel quale le nuove direttive europee non fanno che iniziare a tracciare i confini: il nuovo pacchetto normativo europeo concentra ad esempio gran parte dell’attenzione sulla gestione dei rifiuti urbani prodotti in Europa, che ammontano a 242,3 milioni di tonnellate (dati 2015), trascurando però purtroppo il tema dei rifiuti speciali, che sono assai di più: 2,5 miliardi di tonnellate (dati 2014): è proprio tenendo conto di questa lacuna che nel testo finale della direttiva quadro sui rifiuti la Commissione Ue si è impegnata a presentare entro il 2024 target di riciclaggio per i rifiuti commerciali e industriali, in un processo di miglioramento continuo che dovrà continuare per molto tempo ancora.