Le sanzioni varate dall’Europa contro la Russia hanno creato le condizioni per un riassetto globale degli approvvigionamenti energetici. Mosca ha iniziato a guardare a est, ipotizzando di dirottare gran parte delle sue risorse verso la Cina, e gli europei stanno cercando di cogliere la palla al balzo per rendersi indipendenti dal Cremlino.

Il TAP e il TANAP, i due gasdotti che potrebbero collegare direttamente l’Italia con il Caspio, sembrano essere in via di realizzazione. L’idea è quella di portare il gas del giacimento azero di Shah Deniz prima in Turchia (TANAP) e poi in Grecia, Albania e Italia (TAP), percorrendo quel corridoio meridionale da sempre osteggiato dai russi. Il Cremlino, infatti, ha sempre conservato il monopolio delle vie di transito dirette a ovest, ma stavolta potrebbe farsi convincere dall’Azerbaijan, suo buon alleato, che il nuovo corridoio sarà strumento di un’alleanza “tripartita” tra Mosca, Baku e Ankara.

Fatto sta che i turchi, che comprano il 56,7% del loro gas dai russi, sarebbero disposti a qualsiasi cosa pur di avere altri fornitori, e sono ben contenti di poter trattare direttamente con gli azerbaigiani. Nonostante la loro proclamata fedeltà al Cremlino, infatti, i funzionari di Baku sono assai più autonomi dei loro dirimpettai del Turkmenistan, che avrebbero dovuto fornire gas al TANAP trasportandolo attraverso il Caspio e che invece non sembrano voler trovare l’accordo.

Il TANAP partirà dunque dalle coste occidentali del Mar Caspio per arrivare fino ai Dardanelli. Il governo turco dichiara che sono già stati completati due terzi del suo tragitto e la Banca Mondiale ha appena garantito un prestito da 400 mil doll. per completarlo. Con questi soldi la Botas (compagnia energetica dello Stato turco) promette di far arrivare 2 mld mc di gas all’anno nella penisola anatolica (la capacità definitiva sarà di 6 mld).

La costruzione del TANAP sarebbe filata talmente liscia che il gasdotto dovrebbe diventare operativo nel 2018 invece che nel 2019 e che il suo costo sarebbe sceso da 11,7 mld doll. a 8,5.

Stessa storia per il suo prolungamento europeo, il TAP. I suoi finanziatori (Socar, British Petroleum, Snam, Fkuxys, Enagas, Axpo) hanno appena dichiarato che costerà 4,5 mld euro, e cioè 1,5 mld in meno del previsto. La condotta andrà dalle coste turche fino alla Puglia, passando attraverso Grecia e Albania. Nel 2020, quando dovrebbe essere ultimato, la sua capacità sarà superiore alla quantità di gas immesso in Turchia e per questo motivo il consorzio dei costruttori sta valutando le offerte di “chiunque voglia mettere a disposizione” rifornimenti di idrocarburi. Chiunque come Gazprom, che ha di recente dichiarato il suo interessamento, facendo rientrare la Russia nella partita. Mosca, infatti, non ha rinunciato a costruire il Turkish Stream, un gasdotto che raggiungerebbe la Turchia attraverso il Mar Nero, e potrebbe prendere in considerazione di allacciare il suo tubo al nuovo TAP.

Ma a respingere i russi verso est potrebbe essere un protagonista inatteso: l’Egitto.

È qui, infatti, che il 2 febbraio 2017 il ministro del petrolio Tarek el Molla ha dichiarato di avere in canna grandi sorprese. Dopo l’individuazione del maxigiacimento di Zohr (da parte di Eni) di fronte alle sue coste mediterranee, sembra che l’Egitto abbia in serbo l’annuncio di nuove importanti scoperte entro quest’anno, risorse che non sarebbero destinate al suo mercato interno. Il progetto de Il Cairo, dunque, sarebbe quello di stoccare i nuovi idrocarburi nei suoi impianti per il gas liquefatto, al momento inattivi, e di avviare un’attività di esportazione.

Se alle ambizioni del Presidente egiziano al Sisi aggiungiamo la sua nuova alleanza con il Cremlino e la decisione della russa Rosneft di acquistare il 30% delle azioni del giacimento di Zohr, appare chiaro come la Turchia si trovi ormai di fronte a un solido concorrente.

Mediterraneo o no, la Russia, intanto, si riorganizza. Il suo avvicinamento alla Cina è manifesto, e dipende più dalla volontà di Pechino che da quella di Mosca. La Repubblica popolare è quasi totalmente dipendente dal Golfo Persico e dall’Africa per le sue risorse energetiche. E, cosa ancor più preoccupante, trasporta tutto il petrolio e il gas via mare, su navi che attraversano colli di bottiglia integralmente controllati dalla marina americana. Se mai Washington dovesse ordinare un blocco delle vie marittime, Pechino si ritroverebbe a secco. Per uscire da questa trappola, la Cina sta cercando di diversificare le sue importazioni di idrocarburi anche – e soprattutto – inaugurando nuove linee di collegamento con la Russia.  

La strategia dei cinesi è semplice: noi vi assicuriamo la sicurezza economica (con la nostra crescente domanda di idrocarburi) e voi ci assicurate la sicurezza energetica (con oleodotti e gasdotti). Considerando che le importazioni di gas naturale da parte di Pechino potrebbero aumentare dagli attuali 39 mld mc all’anno a 170 mld mc nel 2035, per Mosca potrebbe essere un buon affare.

E infatti Gazprom sta procedendo spedita con la costruzione di Power of Siberia, una conduttura che pomperà il gas del giacimento siberiano di Chayanda e di Kovykta attraverso le terre orientali della Federazione fino ad arrivare a Khabarovsk e poi Vladivostok. Da qui, sperano gli investitori, il gasdotto dovrebbe continuare il suo cammino attraverso il confine cinese, vicino alla città di Blagoveshchensk. La rotta orientale assicurerebbe a Pechino 38 mld mc di gas all’anno, per 30 anni. Secondo la China National Petroleum Corporation, l’accordo è già fatto, e il gasdotto diventerà completamente operativo nel 2020 (93 mld mc all’anno, che dovrebbero raddoppiare entro il 2035). L’ha confermato pure l’ambasciatore russo a Pechino, Andrey Denisov, che prevede di portare i propri idrocarburi nella Repubblica Popolare già alla fine del 2018.  

L’avversario di Mosca, in Cina, è Teheran. Il gasdotto che dovrebbe unire i giacimenti iraniani alle regioni cinesi meridionali è un progetto su cui si discute da decenni, e che entrambi i partner vorrebbero implementare, tanto che Pechino ha dichiarato di voler investire 46 mld doll. in questo corridoio. Ma in mezzo al loro cammino c’è un problema: il Pakistan. Il gasdotto dovrebbe attraversarne il territorio, minato da ribelli baluchi e terroristi talebani, e l’investimento nella sicurezza delle infrastrutture sembra troppo alto anche agli investitori più coraggiosi.