Il processo di decarbonizzazione sul territorio europeo è imprescindibile dalle regolamentazioni relative al sistema ETS (Emission Trading Scheme), il cui obiettivo principale è incentivare la riconversione degli impianti industriali dell’eurozona verso fonti energetiche a minore intensità di carbonio. In estrema sintesi, questo sistema cap-and-trade fissa un tetto massimo alle emissioni annuali consentite e, qualora un determinato impianto inquini più di quanto gli venga concesso, dovrà compensare questo squilibrio investendo nella produzione pulita degli impianti più virtuosi (concretamente acquistandone i permessi di emissione di questi ultimi, che ne avranno in eccedenza, avendo emesso meno di quanto per loro stabilito).
Questo mercato normativo ha incontrato diverse difficoltà nel corso della sua storia, prima tra tutte la sovrastima del numero di permessi rilasciati dall’Unione Europea. Il periodo di crisi che ha intaccato la produzione industriale, poi, ha avuto un impatto notevole; facendo sì che le emissioni effettive si discostassero in modo significativo dalle stime pre-2008 (sulle quali si era basato l’iniziale calcolo delle allocazioni del sistema ETS). Il mercato ha quindi attraversato una fase di depressione che ha visto le quotazioni del permesso decrescere in modo sostanzioso. Il legislatore si è quindi trovato costretto a pianificare continue misure di correzione, nate dalle negoziazioni tra gli stati membri, su come bilanciare le questioni industriali e quelle ambientali.
Al fine di sostenerne le quotazioni, negli ultimi anni sono state messe in atto diverse misure di riforma del mercato. Un primo intervento di breve periodo è stato il c.d. Backloading, attuato nel triennio 2014-2016, che ha previsto la riduzione del numero di EUA - titoli negoziabili sul mercato attestanti il diritto all’emissione in atmosfera di una tonnellata di CO2 - immessi nel sistema tramite asta, posticipando la vendita di 900 milioni di permessi al biennio 2019-2020. Si è trattato di una misura provvisoria, finalizzata a creare maggiore scarsità di permessi nel breve periodo, tuttavia incapace di risolvere le rigidità strutturali dell’ETS. Il backloading non riduce infatti la quantità totale di permessi nella terza fase di trading, ma interviene solamente sulla loro distribuzione temporale.
Un secondo importante intervento di riduzione dell’offerta è stato l’istituzione della Market Stability Reserve(MSR), la quale verrà messa in atto a partire da gennaio 2019, che consisterà in un meccanismo più dinamico in grado di ritirare dal mercato una porzione del surplus non allocato. Di fatto, l’offerta dei permessi subirà un calo graduale anno dopo anno, nell’ottica di agire sulle dinamiche di domanda/offerta al fine di sostenere i prezzi del titolo. Le modalità operative di tale riserva sono ancora in fase di definizione e molti avanzamenti in materia di policy sono stati compiuti nel corso dell’ultimo anno.
Di non poco conto, infine, sono le problematiche che potrebbero essere causate dalla Brexit. Un eventuale abbandono dell’ETS da parte di un Paese chiave come il Regno Unito ha fatto sì che negli ultimi mesi si aprissero diverse controversie. Il legislatore è ancora al lavoro per tutelare il meccanismo per quanto riguarda i mancati fondi in entrata ed il possibile aumento del surplus di mercato.
Analizziamo nel dettaglio questi ultimi due aspetti:
Market Stability Reserve: Attualmente la più forte misura di sostegno delle quotazioni sul lungo periodo è rappresentata dalla Riserva di Stabilità. Nel corso del 2017 sono emersi numerosi dettagli riguardo il suo funzionamento e sono state ultimate diverse modifiche riguardo la sua implementazione. Come funzionerà? Ogni anno la Commissione Europea calcolerà l’ammontare annuale di EUA da ritirare, grazie ad una formula pre-concordata. L’applicazione della Riserva seguirà cicli di 12 mesi (settembre-agosto) ed il tasso di assorbimento del surplus è stato fissato al 24% annuo. Qualora il numero di permessi in circolazione dovesse scendere al di sotto degli 833 milioni, l’assorbimento operato dalla riserva si fermerebbe e, se tale numero dovesse addirittura scendere al di sotto dei 400 milioni, il meccanismo inizierebbe a rilasciare sul mercato 100 milioni di EUA all’anno. Anche i 900 milioni di quote oggetto di Backloading entreranno a far parte della MSR piuttosto di essere rimesse all’asta nell’ultimo biennio della fase III del meccanismo (2019-2020).
La misura ha sollevato non poche perplessità. Alcuni analisti sostengono che si sia effettuata una sovrastima del surplus di mercato, perché si è mancato di prendere in considerazione il settore in crescita dell’aviation, tralasciandone le emissioni, le allocazioni e le aste a loro riservate. All’interno delle 1,69 miliardi di quote attualmente in circolazione vi sarebbero anche le EUAA (Emission Unit Aviation Allowance) - titoli analoghi alle EUA ma creati specificatamente per il settore aereo - non più disponibili sul mercato ma conteggiati nel totale cumulato delle quote ‘in circolazione’.
Brexit: La salute del meccanismo non è immune da imprevisti di portata internazionale, i quali hanno ripercussioni non solo di natura geopolitica ma portano con sé importanti interrogativi economico-finanziari. Non sono ancora chiare le sorti dell’ETS, anche se pare che il Regno Unito ne farà parte almeno fino al 2020. I rischi che si delineerebbero per il Paese stesso sono molteplici, primo tra tutti un potenziale ‘buco’ di bilancio che potrebbe arrivare ad 1 miliardo di sterline annuo entro il 2030: nonostante al momento il Paese sia principalmente un importatore di EUA, infatti, le sue politiche ambientali molto ambiziose, secondo alcuni analisti, potrebbero ribaltare la situazione dando vita ad un surplus del mercato interno di oltre 31 mil. di EUA entro il 2030 (con conseguenti mancate entrate a causa del crollo di domanda).
In un ottica di breve periodo sono diverse le misure di correzione in corso. Nel mese di settembre 2017 il Parlamento Europeo si è espresso a favore dell’annullamento automatico delle quote allocate e/o oggetto di asta a partire dal 2018 per i paesi che escono dall’Unione. L’obiettivo è quello di evitare che impianti industriali intenzionati a liberarsi in fretta delle quote ‘superflue’ procedano con pratiche di dumping sul mercato, con impatti ribassisti sui prezzi. E’ stato fatto notare che diversi impianti potrebbero tuttavia aggirare un’eventuale normativa sul tema, utilizzando le quote 2018 per la compliance 2017 e tenendo da parte i vintage, ossia i titoli relativi ad anni passati, per necessità future. In un documento di bozza fuoriuscito la scorsa settimana, la Commissione Europea ha poi fatto chiarezza riguardo le allocazioni 2018 del Regno Unito. A partire dal primo gennaio del prossimo anno tutte le quote allocate nel Paese sarebbero marchiate, al fine di permetterne una facile identificazione delle stesse. I vari impianti, quindi, si troverebbero impossibilitati ad utilizzarle a fini di compliance per l’anno 2017 e, se il Regno Unito confermasse la partecipazione all’ETS fino al 2020, tali quote potrebbero essere utilizzate solo a fini di compliance dagli impianti inglesi.
La gestione della Brexit è l’ultimo degli esempi che ci fanno capire come il meccanismo ETS necessiti di costante ‘manutenzione’ in materia di policy e di aggiornamenti legislativi. La salute di questo mercato è determinata principalmente, per l’appunto, dal framework normativo dell’eurozona. Fino ad oggi è stato sostanzialmente il mercato ad essere padrone delle quotazioni e quindi delle ‘pressioni’ a favore della riconversione energetica e della decarbonizzazione. Quello che i più auspicano è che la MSR possa effettivamente dare una spinta ulteriore a tali fenomeni virtuosi, essendo effettivamente la misura correttiva più importante dei prossimi anni.
Non vi è un’opinione comune su quale debba essere il ‘prezzo di equilibrio’ delle EUA affinché venga favorito il fuel-switching e la decarbonizzazione degli impianti. Tuttavia, diversi analisti ritengono che le quotazioni possano raggiungere i 30 €/ton entro il 2020, livello di prezzo di oltre 4 volte superiore a quello attuale. A costi consistentemente più elevati molti impianti sarebbero incentivati ad investire in energia pulita, indipendentemente dalla attuale marginalità dei costi delle fonti combustibili attualmente in uso. Ciò che è certo è che gli Stati Membri dell’Unione fanno forte affidamento sul settore ETS (congiuntamente ad altri, come quello dell’efficienza energetica) per raggiungere gli obiettivi climatici nazionali ed europei, in primis gli accordi di Parigi ratificati nel 2016.