I temi della doppia transizione hanno sempre più imposto come priorità nelle agende degli stati membri l’approvvigionamento di materie prime critiche, essenziali per i settori digital e green. In Europa, la consapevolezza dell’importanza di queste risorse si è evoluta e rafforzata nel corso degli anni.
È già a partire dai primi anni 2000 che emergono le prime preoccupazioni sulla dipendenza da una produzione avanzata di minerali strategici, ma solo nel 2007 il consiglio dell’UE invita la Commissione a sviluppare un approccio politico coerente in materia che la condurrà, l’anno successivo, a lanciare un’iniziativa per ridurre la dipendenza energetica delle materie prime non energetiche e non agricole.
Tra i pilastri dell’iniziativa vi era: 1) la massimizzazione della produzione mineraria europea, nel rispetto dei criteri di sostenibilità; 2) la promozione del riciclo; 3) la garanzia dell’accesso alle materie prime sui mercati internazionali.
Intorno agli anni dieci del nuovo millennio si definiscono, per la prima volta, nell’ambito della strategia europea 20-20, delle linea guida per una programmazione mineraria basata sullo sviluppo sostenibile, fondata su una conoscenza geologica delle miniere estrattive e una regolazione più trasparente che definisca la necessità di fare investimenti al di fuori dei confini europei, soprattutto in Africa. Investimenti accompagnati da azioni di governance e coordinamento.
Nel 2011, viene stilata dalla Commissione la prima lista delle materie prime critiche, in cui vengono individuati i primi 14 elementi, destinati ad aumentare nel corso degli anni (20 nel 2014, 27 nel 2017 e 30 nel 2020) a seguito della periodica revisione triennale. Per la prima volta, le materie prime critiche diventano parte della politica di sviluppo dell’UE e si interconnettono con la questione della politica industriale.
La svolta arriverà, però, con la promulgazione del Green Deal nel 2019, quando l’accesso alle materie prime critiche diventa una questione di sicurezza strategica definita sulla base dell’esigenza di una velocizzazione verso un orizzonte sostenibile che sia il più traguardabile possibile. Nella strategia industriale 2020, poi, si sottolinea la necessità di un approvvigionamento sicuro a prezzi accessibili delle materie prime e, sempre quell’anno, si stabilisce un piano di azione che la Commissione articola in 4 pilastri e 10 azioni specifiche per ridurre la dipendenza dai materiali primi critici. In particolare, gli obiettivi contemplano la diversificazione delle fonti, la creazione di riserve strategiche e la promozione di iniziative autonome in cooperazione con soggetti internazionali anche al di fuori dei confini europei. Si stabilisce il rafforzamento dell’azione esterna con partenariati internazionali e il sostegno alle alleanze industriali. Il tutto verrà poi consolidato all’interno dei PNRR dei singoli stati e a seguito dell’emanazione del REPowerEU.
Ultimo tassello in ordine di tempo, ma culmine del crescendo nella percezione della strategicità di queste risorse, è la presentazione del Critical Raw Materials Act, approvato come risposta alla crisi energetica scaturente alla guerra russo-ucraina e alla necessità dell’UE di rendersi indipendente da oligopoli da cui si può, per ragioni geopolitiche, essere vulnerabili a livello comunitario.
Quello che viene richiesto dal Parlamento alla Commissione è un approccio olistico alla questione, con una complessiva trattazione del tema. In parallelo alla proposta normativa è stata poi aggiornata la lista delle materie prime critiche, che da 30 passano a 34, con la definizione di una sottocategoria di materie prime cosiddette “strategiche”. Queste ultime sono fondamentali per le tecnologie abilitanti le transizioni verde e digitale e per le applicazioni nell’ambito della difesa e dello spazio, e maggiormente soggette a potenziali rischi di approvvigionamento in futuro.
Finalità del nuovo regolamento sono: a) assicurare il funzionamento del mercato interno delle materie prime critiche e garantire l’accesso all’UE di queste ultime a prezzi accessibili, con una diversificazione delle fonti che sia il più ampia possibile; b) ridurre la dipendenza da paesi non comunitari, in supporto alla transizione verde e digitale; c) implementare misure per limitare i rischi di alterazione dell’offerta, migliorare il monitoraggio, favorire l’informazione e rafforzare la circolazione delle materie prime critiche all’interno del territorio comunitario.
In particolar modo sono stati definitivi 4 obiettivi da conseguire entro il 2030:
- il 10% delle materie prime critiche consumate in Europa dovrà essere estratto sul territorio europeo;
- il 40% del consumo di materie prime critiche dovrà essere lavorato in Europa;
- almeno il 25% del consumo europeo di materie prime critiche dovrà derivare da attività di riciclo;
- la dipendenza da ogni singolo Paese produttore non potrà superare il 65% per ogni materia prima critica.
Per raggiungere questi obiettivi, il Critical Raw Materials Act prevede la messa a punto di progetti strategici, definiti come iniziative di investimento lungo tutta la filiera, da realizzare sia in Europa, sia fuori dai confini europei. La loro rilevanza a fini dell’economia europea muove da quattro elementi:
- il contributo alla sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime critiche dell’Unione;
- la realizzabilità tecnica, in termini temporali e di effettiva operatività;
- la sostenibilità complessiva del singolo progetto, sia sul piano ambientale, sia dell’impatto sociale, sia della regolarità amministrativa;
- gli effetti interstatali, in relazione ai progetti localizzati all’interno dell’Unione, e di mutuo beneficio per quelli situati al di fuori dell’Unione Europea, con specifica attenzione al valore aggiunto creato nei Paesi terzi.
Proprio in funzione della loro importanza per raggiungere gli obiettivi ‘di sistema’ relativi alla dotazione europea di materie prime critiche, la normativa attribuisce a tali investimenti uno status prioritario. È prevista, in particolare, una procedura amministrativa più accelerata e semplificata, sia sul piano europeo, sia su quello nazionale.
Per quel che concerne il livello europeo, si prevede che la decisione della Commissione in ordine alla ‘strategicità’ di ogni singolo progetto proposto avvenga entro 90 giorni dalla data di completamento della richiesta di autorizzazione da parte del soggetto promotore.
Corsia preferenziale, utilizzata anche a livello statale. I progetti strategici, infatti, beneficiano del riconoscimento dello status prioritario ai sensi dell’ordinamento interno e dell’applicazione delle procedure speciali e urgenti previste dalle legislazioni dei singoli Stati membri. A rafforzare questa prima indicazione è poi stabilita una durata massima del percorso amministrativo nazionale successivo alla valutazione della Commissione: 27 mesi per i progetti strategici che coinvolgono l’estrazione e 15 mesi per quelli che riguardano il riciclo, salva la possibilità di limitate estensioni in casi eccezionali. Precisi limiti temporali sono previsti, inoltre, per le valutazioni di impatto ambientale che rientrano in un’ottica più complessiva di valutazione.
Il tutto è volto all’efficienza e alla semplificazione delle procedure, in aggiunta a una sostanziale riduzione del carico amministrativo da parte delle amministrazioni pubbliche.
Oltre alla spinta verso i progetti strategici, sono diversi i meriti del Critical Raw Minerals Act. In primo luogo, aver contribuito ad un aumento della programmazione nazionale, visto che tale atto prevede l’adozione di piani nazionali di esplorazione e di economia circolare. In secondo luogo, aver incentivato l’attività di monitoraggio, che prevede un’analisi periodica dello stato di avanzamento dei progetti strategici e un controllo dei rischi di approvvigionamento dall’estero delle materie prime critiche da parte della Commissione. In particolare, la legislazione prevede la possibilità di effettuare stress test con cadenza triennale per verificare la vulnerabilità della catena di approvvigionamento e definisce precisi obblighi inderogabili per le amministrazioni nazionali nella conduzione di attività istruttorie e informative al pubblico.
Inoltre, si delineano in materia di economia circolare alcuni obblighi di adozione dei programmi nazionali per incentivare il riciclo e il riuso di materie prime critiche e la promozione dell’uso di materiali secondari nel ciclo produttivo nei settori green.
Infine, è prevista la predisposizione di un database aggiornato sulle possibilità estrattive di ogni paese, sia relativamente alla capacità legata al riciclo che all’estrazione di materiali dalle miniere. Va comunque osservato che, ad eccezione della Norvegia dove, nel deposito di Fen, si è recentemente scoperto un deposito contenente 8,8 milioni di tonnellate di ossidi di terre rare, gli altri paesi europei non dispongono di miniere attive con elevata capacità estrattiva.
Ancora, da un punto di vista della governance viene definito un Comitato Europeo per le materie prime critiche, composto da rappresentanti degli stati membri e della Commissione. Tale Comitato si occupa di assistere la stessa Commissione nella valutazione e implementazione dei progetti strategici. Infine, viene incentivata la diplomazia economica, con la costruzione di un network che raccoglie paesi europei ed extra-europei, il Critical Raw Materials Club. Quest’ultimo prevede l’istituzione di accordi tra paesi consumatori e produttori, l’attuazione di partenariati strategici che consentano di limitare rischi di approvvigionamento e la formazione di gruppi di acquisto con coinvolgimento di partner affidabili per una fornitura sicura e stabile nel lungo termine delle materie prime critiche. Esso viene affiancato da una facility deputata a supportare l’export di imprese europee, oltre che da una maggior cura al recepimento di investimenti esteri diretti al settore minerario europeo. L’obiettivo principale di queste iniziative consiste nel prevenire situazioni di dipendenza da quei paesi che hanno il monopolio di alcuni minerali critici, primo tra tutti la Cina, e disinnescare possibili tensioni crescenti a livello geopolitico.
Da un punto di vista regionale, è troppo presto per stilare un bilancio dell’applicazione del Critical Raw Mineral Act, dal momento che il regolamento è stato approvato alla fine del 2023 e siamo ancora nella fase di sostanziale definizione di un sistema molto complicato che coinvolge una pianificazione rilevante a livello comunitario. Tuttavia, un’analisi comparata delle pratiche amministrative in tema di materie prime critiche, a livello comunitario, ci restituisce la fotografia di un’Europa a due velocità. Da un lato, ci sono dei paesi che hanno già compiuto alcuni sostanziali progressi, mentre dall’altro rimangono stati che ancora arrancano. Tra i primi rientrano Germania e Francia, che hanno istituito piani strategici e configurato sistemi di governance interni dotati di organismi tecnici e osservatori, ancora prima dell’emanazione del Critical Raw Mineral Act. In questi paesi, infatti, è già stata avviata un’attività di mappatura aggiornata che manca in altri paesi, come in Italia e, a livello organizzativo, esistono organismi specifici dedicati, come ad esempio comitati interministeriali per garantire unitarietà dell’azione. A livello italiano, il completamento della mappatura dei siti estrattivi a livello nazionale – attivi e potenzialmente attivabili – è ancora in itinere. Per quanto concerne il sistema di governance, l’istituzione a partire dal settembre 2022 del Tavolo Tecnico “Materie Prime Critiche”, in collaborazione tra MISE e MiTE, ha posto le basi per una programmazione nazionale delle politiche estrattive e di riciclo con potenzialità di sviluppo ulteriori.
È possibile però tracciare dei primi tratti comuni fra le varie realtà nazionali, delle sfide da vincere per la buona riuscita del settore. Partiamo dalla collaborazione tra pubblico e privato. Un esempio a livello europeo è quello della European Raw Materials Alliance, grazie alla quale istituzioni, industria e ricerca collaborano al fine di creare meccanismi di spillover in grado di velocizzare il processo di apprendimento e sfruttare economie di scala e di conoscenza. Un altro aspetto dirimente comune è quello relativo alla formazione e alla necessarietà di professionalità adeguate, capaci di essere costantemente aggiornate relativamente agli aspetti tecnologici e normativi in continua evoluzione. Anche dal punto di vista della formazione universitaria si deve puntare a un adeguamento dei corsi e dei curricula universitari e, anche in questo contesto, la Germania a livello europeo è capofila.
Rilevante anche il trasferimento tecnologico e quello dell’avanzamento delle tecnologie: la conoscenza su cui ci si deve focalizzare non è soltanto volta alla definizione delle materie prime critiche in termini di utilizzo a livello europeo, ma soprattutto rispetto a quelle che sono le esigenze e i bisogni legati a innovazioni tecnologiche sempre più rapidi e all’avanguardia a fini prospettici. Inoltre, si nota un’ulteriore tendenza alla semplificazione delle normative estrattive, e in particolar modo al rispetto alla tutela ambientale e alla sua compatibilità con le necessità delle comunità territoriali, testimoniate dal coinvolgimento delle autorità locali e dell’opinione pubblica: un’attività di questo tipo procede a livello di ecosistema e non va sottovalutata. Un ultimo aspetto fondamentale è quello dei finanziamenti pubblici, cruciali per superare la ritrosia del sistema finanziario privato, soprattutto dove non esistano già partenariati pubblico-privati e iniziative consolidate.