Mentre i leader del G20 si avviano al Summit di Delhi, uno studio recente dell’International Institute for Sustainable Development (IISD) insieme ad altri istituti di ricerca dimostra come il blocco delle principali economie mondiali abbia allocato una cifra record, pari a 1,4 bilioni di dollari, in fondi pubblici a supporto delle fonti fossili. Questa cifra, la quale include anche i sussidi agli idrocarburi (1 bilione di dollari), investimenti in compagnie di stato (322 miliardi di dollari) e prestiti da parte delle istituzioni finanziarie pubbliche (50 miliardi di dollari), rappresenta un chiaro promemoria della quantità di fondi pubblici che tuttora i governi del G20 continuano a canalizzare verso le fonti fossili, nonostante i riconosciuti pericoli derivanti da questa scelta e gli effetti distruttivi sul cambiamento climatico.

Eppure, sinora non vi è stata una discussione significativa riguardante il supporto pubblico alle fonti fossili nei working group che accompagnano il G20, i quali si concluderanno con il Leaders’ Summit di questo fine settimana. Ciò solleva seri dubbi sulla implementazione, nel lungo periodo, dell’impegno preso dallo stesso G20 a procedere al taglio dei sussidi inefficienti alle fonti fossili. A Delhi, i leader del Gruppo devono così assicurare non soltanto che il comunicato finale riconfermi tale impegno, ma anche che lo stesso   adotti un linguaggio più chiaro e diretto sul tema, programmando una timeline certa per applicare una riforma tanto attesa.

Il supporto pubblico alle fonti fossili genera esternalità negative, in quanto riduce artificialmente il prezzo delle fonti fossili, aumentando di conseguenza l’utilizzo di carbone, petrolio e gas. Una pratica che intensifica il cambiamento climatico di origina antropica rendendo gli eventi climatici estremi – come ondate di calore, incendi, piogge torrenziali, grandinate – più frequenti ed intensi.

Il problema dei sussidi alle fonti fossili è ormai riconosciuto come tale dai governi del G20 da oltre un decennio. Già nel 2009, i paesi si erano impegnati per “eliminare e razionalizzare i sussidi inefficienti nel medio periodo e supportare le fasce della popolazione più povere”. Ad ogni modo, nonostante alcune riforme nazionali  susseguitesi negli ultimi dieci anni e i ripetuti annunci del gruppo, di fatto, il supporto alle fossili non è scemato nel tempo.

La barriera principale a questa cambiamento è costituita dalle sfide politiche ed economiche a livello nazionale; un contesto resosi ancor più difficile nel corso degli ultimi quattro anni di crisi economica. Solo nel 2022,  circa 1 bilione di dollari è stato destinato a misure di supporto verso i consumatori e diverse economie si sono mostrate pronte ad introdurre sostegni aggiuntivi per assicurare energia a costi accessibili per le famiglie, in ragione della spirale crescente dei prezzi susseguente all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Eppure, vi sono prove che questo supporto alle fonti fossili abbia spesso fallito nell’intento di beneficiare le persone maggiormente vulnerabili. Uno studio del 2015 sui sussidi agli idrocarburi in 32 paesi ha rivelato che, in media, la fascia composta dal 20% dei più ricchi ha ricevuto circa 6 volte più benefici rispetto al 20% dei più poveri della popolazione. Ciò significa che i cittadini più benestanti, già di per sé in grado di coprire la spesa energetica, hanno ricevuto una quota di benefici elevata e non proporzionale rispetto al totale dei sussidi stanziati dai governi. Spostare dunque il supporto dai combustibili ai bisogni della popolazione diviene fondamentale per eliminare gli stessi sussidi in una modalità socialmente responsabile.

La crisi globale dell’approvvigionamento energetico può, infatti, apparire come un evento isolato, ma in realtà nasconde un futuro di crescente volatilità dei prezzi legata proprio ai combustibili fossili. Per tale ragione, i paesi devono adottare misure efficienti di protezione sociale in grado di beneficiare velocemente i gruppi più vulnerabili. Si tratta di misure non soltanto essenziali per raggiungere i vari Sustainable Development Goal (SDG 1) ed eliminare la povertà, ma anche fondamentali per garantire simultaneamente l’accesso a fonti energetiche a basso prezzo (SDG 7) e riformare i sussidi agli idrocarburi (SDG 12). La creazione di meccanismi di protezione sociale pienamente funzionanti è infatti un prerequisito fondamentale da raggiungere prima di poter implementare qualsiasi riforma dei sussidi ai consumatori.

I paesi membri del G20 devono dunque utilizzare una porzione consistente dei propri risparmi derivanti dalla riforma ai sussidi per migliorare la protezione sociale e incrementare il supporto pubblico alle fonti energetiche pulite. Tutto ciò riflette la necessità crescente di creare meccanismi, lontani dallo stesso modello dei sussidi, che possano assistere le popolazioni in periodi di crisi energetica o aumento del costo della vita. Inoltre, questo sottolinea l’urgenza di attrarre investimenti da parte dei privati per un’espansione rapida e socialmente responsabile della capacità da energie rinnovabili al 2030.

Come assicurarsi che gli impegni internazionali siano seguiti da una efficace attuazione?

L'impegno del G20 a riformare le politiche di supporto ai combustibili fossili è stato recepito in tutto il mondo. Più o meno tutti i paesi hanno adottato un linguaggio simile riguardo ai sussidi ai combustibili fossili nel 2015 nell’ambito Sustainable Development Goal (SDG) n. 12 comma 1, mentre l’articolo 2.1 dell’Accordo di Parigi definisce l’impegno ad allineare i flussi finanziari con la riduzione delle emissioni di gas serra. Più recentemente, gli impegni per “l’eliminazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili fornendo al contempo un supporto mirato alle fasce più povere” sono stati reiterati nelle disposizioni della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) durante le COP 26 e 27.

Tuttavia, nonostante i buoni propositi, il supporto finanziario pubblico ai combustibili fossili è cresciuto nel corso degli anni. Tali sussidi, oltre ad essere sostanziosi, influenzano anche gli investimenti privati, ben più cospicui di quelli pubblici.

Ad esempio, le imprese energetiche statali dei paesi del G20 investono miliardi in nuove infrastrutture per gli idrocarburi, vincolandosi alla produzione di combustibili fossili, facendo aumentare le emissioni di gas serra e peggiorando così l’inquinamento ambientale. Sebbene alcune di queste opere ricevano un supporto governativo sostanzioso, i flussi finanziari movimentati risentono della mancanza di trasparenza.

I leader di governo dovrebbero quindi estendere il loro impegno a riformare i sussidi alle fonti fossili a tutte le forme di supporto pubblico agli stessi. Ciò dovrebbe includere l’obbligo per le imprese di stato e le istituzioni finanziarie di creare strategie che contribuiscano al raggiungimento di obiettivi di neutralità carbonica, attraverso l’impiego di capitali per lo sviluppo di fonti rinnovabili.

In conclusione, il Summit di Delhi è ormai alle porte e i leader del G20 dovranno svolgere un ruolo cruciale nel guidare questa riforma e dimostrare alla comunità globale che gli impegni devono essere seguiti da azioni concrete. Come paese ospitante, l’India può dimostrare di avere esercitato una leadership chiara su questo annoso problema, avendo ridotto del 70% i propri sussidi ai combustibili fossili dal 2014 in poi. Il comunicato finale dei leader potrebbe puntare ancor più chiaramente sull’implementazione di una timeline definitiva e precisa per applicare la riforma, aggiungendo magari l’impegno ad una reportistica annuale sul tema dei sussidi pubblici ai combustibili fossili, in linea con l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12.c.1.

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui