Eventi come quello accaduto a metà maggio in Emilia Romagna, o come quello che ha interessato le Marche a settembre 2022, con i loro impatti drammatici su persone e beni esposti, catalizzano nuovamente l’attenzione mediatica e politica sul tema del rischio idraulico, dopo mesi in cui la siccità e la scarsità idrica hanno dominato la scena pubblica. Alluvioni e siccità sono due aspetti naturali della variabilità del ciclo idrologico, non necessariamente consequenziali tra di loro, ma sulla cui frequenza, persistenza e intensità il cambiamento climatico sta sicuramente giocando un ruolo importante.
Condizioni climatiche nuove e in continua modifica ed evoluzione pongono la necessità di approcciare gli eventi estremi e le loro conseguenze secondo tre linee di azione principali: restituire un ruolo di centralità alla conoscenza del territorio, dei fenomeni che lo possono interessare anche in chiave previsionale, delle pressioni antropiche a cui è soggetto, oltre che al monitoraggio delle opere di difesa che nel territorio sono presenti; adottare soluzioni che abbiano caratteristiche tali da contribuire sia all’adattamento che alla mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici; creare nella popolazione una consapevolezza dei rischi residui e dei comportamenti da adottare durante le alluvioni.
L’evento del 16-18 maggio 2023, sebbene prevedibile per le sue caratteriste meteorologiche, permettendo peraltro la possibilità per il sistema di protezione civile di emanare l’allerta rossa con sufficiente anticipo, è stato eccezionale per una serie di fattori. In primis, la persistenza e l’intensità del ciclone che ha originato l’evento e l’estensione della zona interessata dalle precipitazioni. Inoltre, le precipitazioni occorse nei primi giorni di maggio hanno saturato i terreni riducendone la capacità di infiltrazione e con conseguente trasformazione pressoché diretta e immediata degli afflussi in deflussi. Considerando nel complesso gli eventi occorsi nel mese di maggio su aree sostanzialmente sovrapponibili ricadenti nei bacini Po, Reno e regionale Emilia-Romagna, sono caduti fino a oltre 600 mm di pioggia totale (cumulata). L’entità del dato è comprensibile se paragonato con gli 885,5 mm di pioggia media annua calcolata sul lungo periodo (1951-2021) per l’intera Regione Emilia-Romagna.
I deflussi raccolti da corsi d’acqua con regime torrentizio e alvei acclivi e confinati, naturalmente tra i versanti nei tratti montano-collinari e artificialmente nelle aree di pianura entro estesi sistemi arginali, si sono propagati rapidamente. La combinazione dei venti di scirocco sull’Adriatico centro-meridionale e dei venti di bora sul nord Adriatico hanno creato condizioni di marea eccezionale influendo sulla capacità di deflusso delle piene fluviali a mare, creando un effetto di rigurgito. A ciò si aggiunga che gli argini, già in parte compromessi dall’evento precedente, sono stati ulteriormente indeboliti dalla persistenza di livelli d’acqua elevati, a causa del rallentamento dei deflussi alla foce. In questo contesto, l’estensione e gli impatti delle inondazioni sono dipesi dalla morfologia dei territori sottesi. Si tratta, infatti, di zone interessate da una complessa ed estesa rete di collettori di bonifica oltre che di corsi d’acqua per lo più pensili che si sviluppano su ampie aree morfologicamente depresse, anche a seguito della subsidenza. Caratteristiche che spiegano anche perché l’Emilia Romagna sia tra le regioni in cui le percentuali di territorio allagabile, per i tre scenari di pericolosità, sono superiori ai valori calcolati su scala nazionale, ponendosi peraltro al primo posto per estensione delle aree allagabili sia in caso di scenario medio (tempo di ritorno 100-200 anni) con un 45,6% di territorio esposto, a fronte di una media nazionale del 10%, sia per lo scenario di pericolosità bassa con un 47,3% di aree potenzialmente allagabili, rispetto al 14% di valore nazionale.
Si tratta di dati provenienti dal “Rapporto sulle condizioni di pericolosità da alluvione in Italia e indicatori di rischio associati” che l’ISPRA ha redatto nel 2021 partendo dalle perimetrazioni prodotte dalle 7 Autorità di Bacino Distrettuali nell’ambito dell’aggiornamento del Piano di Gestione del Rischio di Alluvioni. Sulla base di tale quadro conoscitivo nazionale, si fondano strategie e programmi per gestire e mitigare il rischio di alluvioni. Oltre a ciò, l’ISPRA ha messo a disposizione l’informazione relativa all’esposizione e alla pericolosità di alluvioni attraverso piattaforme web quali l’EcoAtl@nte e l’IdroGEO che permettono di comporre mappe personalizzabili, consultare, scaricare e condividere in maniera dinamica dati, mappe e report relativi a diversi ambiti territoriali e amministrativi. Tutto ciò, fornisce una modalità sostanzialmente immediata, anche per il cittadino, non solo di accesso a un quadro conoscitivo sia di dettaglio che a larga scala, ma anche alle modalità con cui tali informazioni sono prodotte e al loro significato.
In questi giorni si sta gestendo la cosiddetta fase di “ripristino” finalizzata al ritorno alla normalità, in cui le attività di somma urgenza sono quelle di rimozione dei detriti e dei rifiuti, monitoraggio di eventuali fenomeni di contaminazione, estrazione delle acque dalle aree ove esse ristagnano, nonché di ripristino degli argini danneggiati. A tale fase dovrà seguire quella della “revisione” in cui si dovranno raccogliere tutte quelle informazioni, sia per ciò che riguarda l’estensione che gli impatti, necessarie ad aggiornare il quadro delle conoscenze della pericolosità e del rischio di alluvioni e per verificare cosa abbia funzionato e cosa no, soprattutto in termini di efficacia delle opere. D’altra parte va tenuto conto che la progettazione delle opere si basa sull’elaborazione di scenari di evento e, dunque, l’acquisizione dei dati suddetti è necessaria anche per riformulare quadri informativi coerenti e realistici, rispetto ad una situazione meteo-climatica che sta cambiando.
Poi bisognerà pensare in una prospettiva di medio-lungo termine, agendo sulla riduzione delle emissioni dei gas climalteranti, sull’applicazione efficace, non solo a livello di pianificazion,e ma anche di programmazione, degli “interventi integrati” i quali, oltre ad avere la prerogativa di migliorare la qualità ambientale dei corsi d’acqua e dei sistemi a essi connessi, sono adattabili al cambiamento climatico e richiedono poca manutenzione. Sono tuttavia impopolari specie quelli più efficaci, quali, ad es., l’arretramento o la rimozione degli argini, in quanto richiedono, per la loro realizzazione, di restituire alla naturale espansione dei corsi d’acqua parte degli spazi sottratti per lo sviluppo degli insediamenti e delle attività antropiche.