Le scorse settimane tutte le testate hanno riportato una dichiarazione del Presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, che pare proprio una moratoria, l’ennesima, al fotovoltaico. Questo impone una riflessione. Ecco la dichiarazione: “Ho deciso a breve di sospendere il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico. Dobbiamo valutare l’utile d’impresa con l’utile sociale e col danno ambientale. Poi questa attività porta lavoro? L’energia rimane in Sicilia? No. La Sicilia paga un prezzo non dovuto per una risorsa che abbiamo. Il danno e la beffa. E allora intendo discutere col governo. C'è un decreto legislativo che prevede che sul fotovoltaico non possano essere imposte delle royalty però già questi impianti danno il 3% di energia ai comuni come risarcimento del danno ambientale. Mi chiedo perché non debba essere riconosciuta una quota anche alla Regione Siciliana. Dobbiamo trovare una soluzione che consenta al governo regionale di chiedere a chi intende insediare gli impianti fotovoltaici energia, non soldi, per avere una bolletta più attenuata grazie a ciò che si produce nella regione. La Sicilia paga un danno ambientale dovuto agli impianti”.
La moratoria (ovverosia, l’imposizione di divieti, restrizioni, aggravi procedimentali) alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili è un periodico “leitmotif” nel settore energetico a cui le Amministrazioni - per lo più territoriali - ci hanno abituato. Nel corso degli ultimi decenni, infatti, si è assistito a divieti generalizzati all’eolico, limiti estremi al fotovoltaico a terra, imposizione di strutture regionali per lo sviluppo di alcune tipologie di impianto, divieti all’eolico offshore, a cui si aggiungono ostacoli burocratici procedimentali, quali ad esempio l’attribuzione di un valore giuridico - spesso, di veto - non previsto dal dettato normativo al parere di alcuni Enti (quelli territorialmente competenti, o le soprintendenze).
Si tratta in tutti i casi di divieti e limiti non giustificati nel quadro normativo italiano ed europeo. Possono ledere, ma non dovrebbero, il settore.
Perché è vietato ‘vietare’ una fonte rinnovabile? L’Italia – insieme all’Europa – ha da decenni scelto di produrre sempre più energia da fonte rinnovabile. Lo ha fatto essendo pioniera della materia, e restando sempre fra i Paesi di punta nella ricerca, nella progettazione, nell’ingegneria e – per quanto compete chi scrive – nello sviluppo del quadro giuridico che sostiene gli impianti, vale a dire quello regolatorio, quello autorizzativo e quello contrattuale.
Siamo bravi in tutto tranne che a produrre tecnologia – ormai quasi completamente made in China. Anzi. Siamo bravi in tutto tranne che (ormai) a produrre tecnologia, a perseguire concretamente un obiettivo, al di là dei proclami e a svincolarci dalla “burocrazia” che appesantisce, aggrava, costa tempo e denaro.
La politica energetica nazionale è riservata dalla nostra Costituzione (art. 117) allo Stato. Le Regioni non possono discostarsi o eludere i principi cardine posti dallo Stato in materia che, per ciò che qui interessa, si traducono, tra gli altri, nell’obbligo (di derivazione europea e internazionale) di favorire, accelerare, non discriminare l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, la cui realizzazione, contrariamente a quanto afferma il Presidente della Regione, ha lo scopo di promuovere la tutela dell’ambiente, attraverso la limitazione dell’utilizzo delle fonti fossili.
Ecco gli errori concettuali contenuti nella frase che abbiamo citato dalle testate giornalistiche:
Il primo è riassunto nella lapidaria frase “Ho deciso a breve di sospendere il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico”. La Regione Siciliana, peraltro, non è nuova all’adozione di provvedimenti di tale portata: ad esempio, con il decreto n. 13 del 21 gennaio 2016, l’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità aveva disposto la sospensione, per 6 mesi, ma poi di fatto, sine die, dei procedimenti di autorizzazione unica disciplinati dal d. lgs. N. 387 del 2003.
Ma le sospensioni procedimentali sine die e senza motivo, traducendosi in divieti alla realizzazione di impianti, sono costituzionalmente illegittime. Si vedano, ad esempio, le sentenze nn. 221/2022 e 177/2018 con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme regionali che sospendevano i procedimenti abilitativi degli impianti a fonti rinnovabili, a nulla rilevando che le sospensioni fossero limitate nel tempo e giustificate dalla necessità di preventiva adozione di provvedimenti amministrativi generali.
Il secondo, è costituito dall’affermazione “C'è un decreto legislativo che prevede che sul fotovoltaico non possano essere imposte delle royalty però già questi impianti danno il 3% di energia ai comuni come risarcimento del danno ambientale”. Vi è in realtà il Decreto Ministeriale 10 settembre 2010, che prevede una misura di compensazione territoriale in tutti i casi in cui la presenza di un Impianto Alimentato da Fonti Rinnovabili (IAFR) crei un effettivo (ovverosia, concreto e non aprioristico) danno a un Comune, o meglio, al territorio sul quale l’impianto viene installato. Tale danno si può sostanziare in un problema per il traffico (ad esempio un aumento del traffico veicolare per alimentare una centrale a biomasse). Oppure un peggioramento della qualità di vita per la presenza di una fonte di emissione (ad esempio l’emissione odorigena minimizzata ma sempre possibile in un impianto biogas da fonte agricola o da FORSU). O una lesione concreta dell’attrattività turistica nel caso di un impianto così brutto e visibile che crei un nocumento all’immagine del Comune (ma sarà molto difficile che vengano realizzati impianti del genere, visto che in Italia i Comuni che hanno una immagine hanno anche vincoli paesaggistici a tutela della stessa e, poi, a nostro avviso, la presenza di un impianto a fonti rinnovabili rappresenta, al contrario, anche un’opportunità di attrattiva turistica per i Comuni). Non si tratta in ogni caso di risarcimento di danno ambientale, tanto che queste misure di compensazione territoriale (che devono essere pagate sempre in natura, mai in denaro) possono ammontare al massimo ad un controvalore pari al 3% del fatturato dell’impianto, ma tolti i costi delle misure di compensazione e di mitigazione ambientali eventualmente già richieste in sede di autorizzazione.
Il terzo errore è sotto gli occhi di tutti, anche dei non addetti ai lavori ed è racchiuso nell’affermazione:- “La Sicilia paga un danno ambientale dovuto agli impianti”. Conoscendo il territorio siciliano e la sua capacità di accogliere impianti a tetto o, in terreni che non siano di alto valore agricolo impianti, a terra, ci si rende conto che non sono certo gli impianti fotovoltaici che possono creare un danno ambientale alla Regione. L’edilizia abusiva e quella di infima qualità estetica, il consumo di suolo per la realizzazione di nuovi capannoni ove non si impone il riutilizzo di quelli abbandonati, le vaste aree dedicate alle fonti fossili, che verranno nei prossimi anni dismesse, rappresentano le vere ferite del territorio siciliano. Non certo impianti fotovoltaici che tra l’altro, non si dimentichi, a fine vita vengono dismessi (salvo che l’operatore decida di migliorarne le prestazioni) e tale obbligo di dismissione è assistito da idonee garanzie.
I motivi di questi provvedimenti che ostacolano sono comprensibili ma non accettabili. Spesso questi provvedimenti generali o particolari (moratorie o richieste di royalties) vengono proposte in territori in cui le fonti energetiche rinnovabili sono state intensamente coltivate. In questo caso le moratorie sono una reazione agli episodi negativi che a volte si sono registrati: abusi, corruzione, sovra progettazione di impianti che ingolfano gli apparati amministrativi ma raramente vedono poi la luce.
Ancora più spesso – proprio per la tipicità degli impianti alimentati da fonti rinnovabili (IAFR) di essere tipicamente localizzati in territori in cui la fonte rinnovabile è presente, e quindi vi è vento e poco più, oppure il terreno costa meno perché brullo, oppure vi è montagna e acqua – i territori destinati a ospitare questi impianti sono quelli meno produttivi e quindi meno ricchi. Ecco allora che in questi territori sono invero molto frequenti le (malcelate) richieste delle Amministrazioni locali di ottenere un ritorno economico per il solo fatto di ospitare gli impianti sul proprio territorio. Ritorno economico che le Amministrazioni non vedono come abbastanza concreto nelle attività di costruzione, manutenzione, gestione, vigilanza che un impianto comporta, e nei posti di lavoro che vengono così generati, oltre che nella tassazione che localmente si percepisce in relazione alle attività. In verità (e le vicende reali degli operatori ce ne danno dimostrazione) la pretesa di ottenere dai produttori somme di denaro (che si ricorda, sono illegittime, perché prove di titolo) costituisce il bieco tentativo di rimpinguare le casse comunali.
Gli annunci del Presidente della Regione sembrano appartenere a entrambi questi filoni. Abbastanza genericamente si fa riferimento al tema ambientale – senza spiegarlo – e poi si richiede un ritorno per la Regione. Regione fra l’altro già ricchissima sotto il profilo agricolo, turistico, culturale. Regione che ha anche alcune eccellenze industriali e che potrebbe – e a nostro parere dovrebbe – porsi invece come un centro della ricerca sulle fonti rinnovabili. Si pensi al potenziale che l’agrivoltaico ha in Sicilia. Fa più caldo e il sole è più persistente, e quindi è il momento di creare strutture fotovoltaiche che proteggano colture dedicate. Regione, infine, nel cui territorio Enel Green Power sta realizzando la propria gigafactory, “la più grande fabbrica europea per la produzione di moduli fotovoltaici bifacciali ad elevate prestazioni” (si legge sul sito istituzionale EGP), con mille posti lavoro previsti e un accordo con la Commissione europea per un finanziamento agevolato di centodiciotto milioni di euro (su un valore complessivo dell’operazione che è di seicento milioni di euro). La nuova fabbrica, da cui è attesa una capacità di produzione di 3 GW, dovrebbe entrare in esercizio entro luglio 2024. Ed è singolare che a febbraio, in occasione della cerimonia di inaugurazione del cantiere, lo stesso Presidente avesse affermato la necessità di “semplificare le regole che in passato hanno paralizzato la possibilità di soggetti terzi di investire in Sicilia in chiave ambientale e di produzione di energia, attraverso impianti fotovoltaici e rinnovabili”.
Il rischio di un “extra profitti” bis. “Dobbiamo trovare una soluzione che consenta al governo regionale di chiedere a chi intende insediare gli impianti fotovoltaici energia, non soldi, per avere una bolletta più attenuata grazie a ciò che si produce nella regione”. Ecco l’appello al Governo centrale affinché, sembra, gli operatori intenzionati a insediare gli impianti sul territorio siciliano, forniscano alla Regione una quota parte di energia prodotta dagli impianti. Forse si pensa a uno sconto in bolletta per i cittadini siciliani? Pagato da chi?
Il presidente della Regione Siciliana parrebbe proprio cercare la soluzione più agevole per ottenere un risultato per la propria Regione e per l’immagine del Presidente di essa. Se così fosse sarebbe allarmante, poiché negli ultimi anni si è assistito all’adozione di provvedimenti da parte del Governo centrale, molto aggressivi nei confronti degli imprenditori che siano impegnati in un intervento reale, vale a dire abbiano degli impianti, delle attività concrete, non possano scappare dall’Italia con la semplice costituzione di una società di comodo all’estero. Tutto ciò ben oltre e nonostante le petizioni di principio circa la massima diffusione e il sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Nei confronti di questi imprenditori reali, concreti, territoriali, si è assistito negli anni a due tendenze:
- la penalizzazione fiscale rispetto a tutta la nuova economia, basata sul far soldi con i soldi e sul lavoro degli altri. Paradossalmente e ingiustamente chi produce in Italia e contribuisce al Paese viene (tar)tassato mentre è libero di operare esentasse il grande commerciante e il provider di servizi che piovono dall’estero.
- L’ingigantimento e la moltiplicazione dei vincoli normativi e aggravi procedimentali, capaci di scoraggiare l’insediamento di ogni nuova attività reale e di far fuggire i più fedeli all’economia italiana.
Da ultimo, con i provvedimenti che aggrediscono gli extra profitti energetici (quello costituito dall’art. 37 del D.L. 21/2022 per i distributori e quello costituito dall’art. 15 bis del D.L. 4/2022 per i produttori di energia da fonti rinnovabili) si è assistito alla vera e propria limitazione degli effetti del mercato non mediante azione sul meccanismo ma tramite una demagogica imposizione sul prezzo percepito da chi vende l’energia sul mercato stesso.
Il principale danno che questi provvedimenti –almeno, per ora, esternazioni – creano è un danno al Sistema Paese. Danno che, purtroppo, continua.
Non possiamo dimenticare:
- la drastica fine del Terzo Conto Energia, che ha fatto fallire molte imprese;
- moratorie per singole categorie di impianti, poi dichiarate costituzionalmente illegittime, o annullate o abrogate, ma restate in vigore il tempo sufficiente a creare un blocco nelle installazioni e a distogliere gli imprenditori dall’investire nei relativi territori regionali;
- il dibattito feroce fra alcune Regioni e lo Stato in merito alle modalità di incentivazione;
- l’incertezza in materia di autorizzazione e la particolarizzazione data dalla suddivisione in 20 regioni e 105 Province del nostro territorio;
- il meccanismo imposto dello Spalma Incentivi: “accetta di avere una decurtazione oppure una estensione di un incentivo più basso”;
- il meccanismo della riduzione degli extra profitti IAFR: “il mercato sul quale ti abbiamo invitato a vendere l’energia (o che ti abbiamo imposto) è alto perché sono in atto alcune speculazioni [e poi per una guerra che tu non hai certo causato] per cui riteniamo giusto importi un forte limite ai tuoi profitti, che prima, quando erano bassi, ci guardavamo bene dall’integrare”.
Quale imprenditore o investitore è invogliato a operare in Italia, se queste sono le regole? Chi ha una altissima propensione al rischio oppure chi è follemente innamorato del Paese, principalmente. Poi chi ha paura o è reticente a spostarsi all’estero e chi opera al di fuori dalla legge. Tutte categorie di soggetti che – in buona fede o in alcuni casi in malafede – non permettono lo sviluppo della classe imprenditoriale che l’Italia merita.
Nel caso in questione, dove si andrà a finire? L’esternazione del Presidente della Regione Siciliana non costituisce, allo stato, una vera e propria moratoria. Si tratta per lo più di una richiesta di attenzione e di intervento da parte del Governo centrale. Si auspica che la soluzione sia – in Italia e in Sicilia – in positivo, vale a dire l’aiuto a un fotovoltaico di qualità, specialmente quando su tetti e quando agrivoltaico. Pare improbabile – e fortemente censurabile – un intervento governativo volto a imporre un (nuovo) balzello su uno IAFR, per di più limitato al territorio di una Regione. Commenteremo ciò che succederà.