La situazione attuale - caratterizzata da scarse precipitazioni - pone un forte interrogativo rispetto all’uso dell’acqua nel periodo estivo. Nel bacino del Po vengono mediamente distribuiti circa 26 mld m3 all’anno, suddivisi per i tre principali usi: civile, agricolo, industriale-idroelettrico. Ad oggi, però, la disponibilità è circa dimezzata, il che comporta l’impossibilità di soddisfare interamente i fabbisogni per gli usi sopraindicati. Tra l’altro, a questi usi, secondo quanto previsto dalla Direttiva Quadro Acque, bisogna giustamente inserire anche i fabbisogni ambientali per l’ecosistema.

La siccità estrema che affligge il distretto da ormai 18 mesi non vede un termine: le portate rilevate nelle stazioni lungo l’asta del Po rimangono, al 6 marzo, ancorate ad uno stato di estrema o media gravità: solo 26 mc/s a San Sebastiano (TO); la sezione di Piacenza  è in forte sofferenza a 279 mc/s e anche la quota appena superiore ai 628 m3/s registrata  a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara (a fronte di una portata-obiettivo di 450 mc/s), dimostra che il contesto, a questo periodo della stagione e alla vigilia della parte più consistente dei prelievi per l’irrigazione, si annuncia deficitario.

L’intrusione del cuneo salino, sempre nei rami della foce del Grande Fiume, raggiunge già nel Po di Goro (secondo le analisi di Arpa Daphne in corso di ulteriore approfondimento) i 19 km di risalita delle acque salmastre. Anche i laghi mantengono quote minime: il Garda risulta ad oggi quello in maggior sofferenza  a causa del suo ciclo di riempimento annuale fermo solo al 25%. Un livello già critico tanto da costringere l’Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPo) alla chiusura (eccezion fatta per il deflusso ecologico di 8m3/s verso il Mincio) della diga di Salionze. Il lago Maggiore offre lo stesso panorama con un riempimento del 41,5% e con l’ente regolatore che conferma la scarsità di risorsa nei bacini di valle come mai negli ultimi 16 anni. I valori di riempimento, aggiornati al 6 marzo, sono i seguenti: Maggiore – Piemontese settentrionale 163 Mm3; Como – Lombardo Adda 43,8 Mm3; Iseo+Idro – Lombardo Oglio 25 Mm3; Garda – Lombardo Mincio 114,3 Mm3. I valori in questo periodo dovrebbero essere ben oltre il 50%.

I dati, d’altronde, non stupiscono, visto il basso livello di precipitazioni. Il caso del Piemonte è quello più emblematico: il dato ufficiale di Arpa Piemonte conferma un’anomalia delle piogge fino a -85% esclusa l’area del Cuneese, dove qualche nevicata ha ristorato leggermente il comprensorio sotteso.

Desolante quindi la fotografia dello stato attuale: le scarse piogge autunno-invernali e le altrettante deficitarie nevicate sull’arco alpino non hanno permesso di recuperare il deficit di pioggia accumulato nel ’22 e molto probabilmente nemmeno la finestra di pioggia primaverile potrà influire significativamente sulle riserve attualmente stoccate nei bacini. Quali quindi le criticità da fronteggiare?

Necessariamente una carenza di acqua comporterà una ripartizione differente in base alle priorità che governo e regioni vorranno attribuire agli utilizzi. Questo comporterà sovraccosti economici ed ambientali. Un esempio, come comunicato da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) è il riempimento dei serbatoi potabili con autobotti o altri interventi provvisori di somma urgenza.  Ad oggi sono già 19 gli interventi per sopperire alla carenza d’acqua di sorgenti in sofferenza sull’arco alpino, concentrati in Piemonte nelle provincie di Novara, Verbano Cusio Ossola e Cuneo, il che si traduce in costi maggiori per le multiutility che forniscono il servizio oltre che in un maggior traffico sulle strade e maggiori emissioni di CO2.

In prospettiva, la mancanza d’acqua avrà gravi ripercussioni anche per il comparto agricolo, per un danno economico potenziale che, in assenza di politiche mirate, rischia di essere ben più grave dei 6 miliardi di euro indicati lo scorso anno da Coldiretti. E il perché risulta anche chiaro: l’acqua del Po direttamente o indirettamente contribuisce al 40% del PIL nazionale, al 35% dell’industria agricola nazionale e al 55% della zootecnia italiana, oltre ad essere fondamentale per l’energia: il 55% della produzione idroelettrica nazionale dipende dal Grande Fiume.

Ultimo, ma non meno importante, a risentirne della scarsità dell’acqua sarà il settore idroelettrico, già fortemente penalizzato lo scorso anno, che ha chiuso con una produzione netta più bassa del 37% rispetto all’anno precedente.

La potenza installata sul Po, affluenti e bacini montani è tra le maggiori a livello territoriale in Europa, ma a causa delle scarse precipitazioni le rese sono spesso inferiori a quelle teoriche di progetto. I bacini scarichi non consentono ai gestori di turbinare  secondo le tradizionali logiche di mercato, ma impongono mantenimenti di scorte strategiche ed emergenziali. Analoga sorte per gli impianti a scorrimento installati su canali consortili che, sempre a causa delle basse portate vedono rese scarse o addirittura rischiano il fermo macchina.

Relativamente al comparto della produzione idroelettrica, merita rilevare come oltre alla mancanza d’acqua, una concausa delle crisi è da ricercarsi nel sistema concessorio che necessita di una riorganizzazione e ripesatura. Il cambiamento climatico, infatti, ha fortemente modificato la disponibilità idrica non solo del Po ma anche di torrenti e rii a loro volta affluenti, che hanno aumentato il regime torrentizio. Pertanto, anche se il quantitativo d’acqua media non è variato, aumentano i periodi di secca seguiti da repentine piene spesso dannose, che non permettono una continuità di resa. Tecnologicamente l’assetto variabile delle pale nelle turbine può nell’immediato generare un vantaggio, in quanto permetterebbe di modulare la produzione in base alla quantità d'acqua disponibile. Eppure, la soluzione ha un costo di aggiornamento e tempistiche non immediate. Servirebbe poi una maggiore manutenzione delle dighe già esistenti, specie perché ad oggi alcune di queste sono inutilizzate a causa degli ingenti costi di manutenzione causati dall’interrimento e dall’adeguamento  infrastrutturale.  Recuperare ogni singolo punto di accumulo ed aver un approccio plurimo, che garantisca un soddisfacimento energetico ma anche risulti utile all’agricoltura ed habitat, è il mantra che dovrà animare le scelte future.

La crisi ormai in atto urge di una risposta: ogni metro cubo di acqua deve essere più produttivo e questo richiede nuove infrastrutture ma soprattutto una nuova architettura di enti e della catena di comando dell’acqua che ad oggi è frammentata su vari layer governativi, il che impedisce alle decisioni assunte di esser tempestive ed efficaci nella risoluzione del problema. Una cabina di regia  integrata che operi su vasta scala migliorerebbe certamente le prestazioni del comparto agricolo, ma anche quello idroelettrico-industriale ne trarrebbe beneficio.

Solo un’ottica integrata potrà contrastare il cambiamento climatico e favorire un cambio culturale. 

Sul medio e lungo termine inoltre, una soluzione potrebbe essere la costruzione di bacini di piccola media grandezza (magari con l’utilizzo delle cave dismesse, diverse centinaia lungo il Po) che oltre all’approvvigionamento idrico potrebbero esser dotate di fotovoltaico flottante e, in un secondo momento, diventare hub di produzione per l’idrogeno. Ogni singola goccia d’acqua diventa importante, il riuso delle acque reflue proveniente dai depuratori civili  è una sperimentazione già in atto che sta garantendo ottimi risultati.

 Nuove infrastrutture, efficientamento dell’esistente ed investimenti: solo così potremo garantirci l’indipendenza idrica. Il clima che ha dominato gli ultimi duemila anni di storia sta cambiando e occorre adesso tutelare il paesaggio produttivo e l’ambiente.

 

Marco Gardella, staff tecnico della direzione di AIPO, già membro della segreteria tecnica dell’Osservatorio per gli utilizzi idrici per l’Autorità di Bacino del fiume Po.