Dopo l’approvazione definitiva, da parte del Parlamento europeo, dell'accordo raggiunto con il Consiglio sugli obblighi di azzeramento delle emissioni di CO2 per nuove auto e nuovi furgoni immatricolati a partire dal 2035, il voto finale previsto in Consiglio è stato rinviato a causa delle posizioni contrarie di alcuni Paesi, fra cui l’Italia. Le perplessità espresse dal governo italiano, e da quelli di altri paesi, nei confronti della normativa sono principalmente legate alla scelta di indirizzare la transizione, di fatto, verso la sola mobilità elettrica, con la conseguente messa al bando di motori endotermici. Infatti, grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni e alla possibilità di essere alimentati con biocarburanti ed e-fuel, questi potrebbero affiancare le auto elettriche e rappresentare una valida alternativa per certe tipologie di utenti.

Fissare al 2035 il termine per mettere sul mercato soltanto motori a emissioni zero significa invece orientare il mercato dell’auto esclusivamente verso la mobilità elettrica, che a oggi è l’unica tecnologia sufficientemente matura per garantire l’azzeramento delle emissioni dirette. Tutto questo avrebbe pesanti ripercussioni sui componenti per motore prodotti dalle fonderie, che subirebbero un importante ridimensionamento della loro posizione strategica nell’ambito dell’automotive.

«Da ormai molto tempo sosteniamo – ha detto il presidente di Assofond Fabio Zanardi – che la strada intrapresa dall’Europa debba essere attentamente considerata. Se da un lato è pienamente condivisibile l’obiettivo di raggiungere le emissioni zero per le autovetture, dall’altro non sono ancora del tutto chiari i reali benefici ambientali che potranno essere concretamente raggiunti. Infatti, sono ancora forti i dubbi sull’impronta ambientale complessiva di un parco auto completamente elettrico in termini di estrazioni minerarie, smaltimento delle batterie a fine vita, creazione di una rete elettrica capace di soddisfare il fabbisogno di ricarica per centinaia di milioni di veicoli in circolazione».

Le fonderie realizzano dei manufatti metallici (detti getti), con caratteristiche fisiche, metallurgiche e dimensionali ben definite, portando a fusione i metalli ferrosi e non ferrosi, colandoli in forme di materiale refrattario o in stampi metallici e facendoli raffreddare in modo da far loro acquisire la forma desiderata. Questa tecnologia rappresenta la soluzione costruttiva più efficiente e conveniente per realizzare pezzi che vanno da pochi grammi a oltre 100 tonnellate di peso unitario, con caratteristiche meccaniche e tecnologiche ai più elevati standard dei materiali da costruzione. Non a caso, i prodotti realizzati dalle fonderie sono indispensabili per moltissimi settori di destinazione: oltre che nei mezzi di trasporto, i getti sono impiegati per realizzare macchine agricole, macchine utensili e per il movimento terra, centrali per la produzione di energia elettrica, macchinari di vario tipo, componenti per l’edilizia, le costruzioni, l’arredo urbano e molto altro ancora.

Oltre che per la grande varietà di prodotti realizzati, le fonderie si caratterizzano anche per essere al centro dell’economia circolare: l’attività di fusione rappresenta, da sempre, la tecnica attraverso la quale è possibile il riutilizzo dei rottami allo scopo di dare vita a nuovi prodotti. Le fusioni, inoltre, siano esse di metalli ferrosi o non ferrosi, presentano cicli di vita molto lunghi e, a fine vita, sono al 100% riutilizzabili per dar vita a nuovi prodotti, in un eterno ciclo inesauribile.

A oggi sono destinate al settore dei mezzi di trasporto più del 50% delle fusioni realizzate in Italia dalle fonderie di metalli non ferrosi e quasi il 30% di quelle realizzate dalle fonderie di metalli ferrosi. I componenti fusi sono utilizzati per realizzare diverse parti di un’auto, ma particolarmente numerosi sono quelli destinati ai motori a combustione interna, come ad esempio basamenti, coppa dell’olio, corpo pompa dell’acqua, corpo pompa dell’olio, testata del motore, scatola del cambio, pistoni, albero a gomiti, carter dei cilindri, alloggiamento della frizione. Sostituire in toto i motori endotermici con quelli elettrici causerebbe notevoli sconvolgimenti nel settore, soprattutto per le imprese specializzate nella realizzazione di componenti per il gruppo propulsore: un motore elettrico contiene infatti circa il 70% di componenti fusi in meno rispetto a un motore endotermico.

Se l’unica tecnologia impiegata per azzerare le emissioni CO2 fosse quella elettrica, andremmo incontro a uno shock industriale europeo a favore di tecnologie che favoriscono Paesi extraeuropei. L’Europa, infatti, è leader nelle tecnologie per la realizzazione dei motori a scoppio, mentre le competenze e le materie prime necessarie per produrre batterie e motori elettrici sono in larga parte concentrate al di fuori del nostro continente.

«È per questo motivo – sottolinea Zanardi – che riteniamo sia fondamentale che la fase di transizione venga gestita sotto il principio guida della neutralità tecnologica. La scelta dell’elettrico non deve e non può rappresentare l’unica via per arrivare a zero emissioni: gli Stati membri devono potersi avvalere di tutte le soluzioni disponibili per decarbonizzare il settore dei trasporti, e in particolare poter puntare sullo sviluppo di combustibili alternativi, che permetterebbero di ottenere risultati analoghi continuando a impiegare motori a combustione interna».

Affiancare alla mobilità elettrica altre soluzioni tecnologiche, inoltre, permetterebbe non solo di evitare shock che porterebbero inevitabilmente alla riduzione del numero di imprese attive nella filiera europea dell’auto e, di conseguenza, dei posti di lavoro disponibili. Una scelta razionale di neutralità tecnologica permetterebbe di minimizzare l’impatto di molteplici rischi: un’eccessiva dipendenza dai Paesi extraeuropei per l’approvvigionamento delle materie prime necessarie per realizzare batterie e motori elettrici; l’indisponibilità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili sufficiente per alimentare tutti i veicoli; la non adeguatezza dell’infrastruttura necessaria a sostenere un parco veicoli esclusivamente elettrico, non soltanto in termini di numero di colonnine installate, ma proprio di capacità di garantire l’energia elettrica richiesta senza incorrere in frequenti black-out.

«Sono convinto – prosegue il presidente di Assofond – che non ci sia un’unica strada per raggiungere l’azzeramento delle emissioni. Del resto, il regolamento stesso prevede che nel 2026 la Commissione possa decidere di riesaminare gli obiettivi tenendo conto degli ultimi sviluppi tecnologici. Credo che questa valutazione possa essere anticipata e avviata immediatamente, in ragione di un contesto radicalmente diverso da quello in cui erano stati fissati gli obiettivi del Green Deal. Da allora (era il dicembre 2019) abbiamo vissuto una pandemia, una ridefinizione delle catene globali del valore, una crisi energetica ancora in corso. È chiaro che dobbiamo procedere verso la decarbonizzazione dei mezzi di trasporto, ma il contesto in cui ci muoviamo oggi richiede maggiore flessibilità rispetto a uno scenario in cui eravamo certi di poter avere energia elettrica in abbondanza e a basso costo. L’expertise delle imprese che operano nel settore in Europa ci mette nelle condizioni di poter perfezionare in tempi rapidi tecnologie alternative: per questo è fondamentale lasciare aperta la strada a tutte le opzioni che potranno permettere l’azzeramento delle emissioni, salvaguardando allo stesso tempo il tessuto industriale della filiera e i posti di lavoro che queste imprese garantiscono».