L’ultimo anno ha segnato un punto di svolta in quella che sembrava una dinamica consolidata sui mercati energetici mondiali, e in particolare europei. Abbiamo dovuto prendere atto di quanto sia complesso disegnare e mantenere il sistema in equilibrio e garantirne un’equa e sostenibile evoluzione.

Questa crisi ci ha trasmesso due grandi insegnamenti.

La prima lezione è che la tranquillità, dal punto di vista della sicurezza energetica e dei prezzi, si ottiene attraverso l’abbondanza e la diversificazione delle fonti e dei mix energetici. Avevamo già a che fare prima dell’invasione russa con un’offerta corta di gas, dovuta al rallentamento degli investimenti negli anni precedenti (dal 2014 gli investimenti nella filiera del settore gas si sono ridotti di circa la metà). Poi, il progressivo venir meno del gas russo, unito alla necessità di riempire gli stoccaggi per l’inverno in corso, ha esacerbato le criticità, innescando rialzi di prezzo per gas ed elettricità che si sono inevitabilmente scaricati su consumatori ed industria, nonché sui bilanci pubblici.

In Europa questa situazione è risultata di particolare impatto, in quanto il nostro continente non ha fonti proprie sufficienti e contava in maniera prevalente su una grande fonte di approvvigionamento, che è poi venuta a ridursi drasticamente. Per mitigare i rischi della dipendenza dalle importazioni, oltre a una diversificazione dei mix energetici che includa senz’altro una forte espansione delle energie alternative e rinnovabili, l’Europa e l’Italia devono ricercare una ridondanza delle infrastrutture, che consenta l’accesso a forniture abbondanti e diversificate della più pulita delle fonti tradizionali, il gas, come base per la sicurezza e per i prezzi sostenibili in un’economia concorrenziale.

In tale contesto, l’Italia ha l’occasione di svolgere un ruolo strategico, in considerazione del suo posizionamento geografico nonché delle molteplici e diversificate linee di importazione di gas dai paesi produttori che la caratterizzano. L’opportunità che si presenta all’Italia è quella di diventare hub per il mercato europeo, nella prospettiva di flussi di approvvigionamento prevalenti secondo la rotta sud-nord, valorizzando il grande patrimonio infrastrutturale e la presenza di operatori con una solida esperienza nel settore del gas, lungo tutta la filiera.

Come Eni, appena esplosa la crisi, ci siamo mossi tempestivamente per sostituire il gas importato dalla Russia con altro gas, prevalentemente di nostra produzione, che sta arrivando e dovrà arrivare da altri Paesi. Ed essendo noi il principale importatore italiano di gas, questo ha implicato un importante contributo per il Paese. Abbiamo fatto un lavoro straordinario in termini di tempistica e volumi sostitutivi. L’import di gas russo in Italia nel 2022 ha coperto appena circa il 16% del fabbisogno, rispetto al 37% nel 2021, compensato da maggiori importazioni di GNL e gas via pipeline (Algeria e altre fonti).

Il piano di sostituzione del gas russo che abbiamo messo in campo ci consentirà di coprire circa 20 miliardi di metri cubi all’anno entro l’inverno 2024-2025.

Le forniture algerine destinate all’Eni su base annua raddoppieranno, da circa 9 miliardi di metri cubi annui a circa 18 miliardi di metri cubi annui entro il 2024. L'Algeria si conferma quindi come un partner strategico, che sta dando all’Italia un contributo ingente e fondamentale.

Dalla primavera del 2023, poi, con l’avvio del primo dei due nuovi terminali di Snam, potremo disporre di quantità sempre maggiori di GNL da Paesi come Egitto, dal Qatar, dal Congo, dalla Nigeria e dall’Angola, per un totale che potrà superare i 7 miliardi nel 2024.

In aggiunta, con le scoperte fatte nel corso del 2022 a Cipro, Algeria, Angola, Emirati Arabi Uniti, avremo risorse aggiuntive di gas e volumi addizionali di GNL per i mercati locali e per l’Europa.

Siamo stati bravi ma non dobbiamo dormire sugli allori. Dobbiamo lavorare da subito tutti insieme a livello europeo, politica, industria ed economia, a un Piano di sicurezza energetica condiviso e coordinato, che incroci le esigenze dei vari Paesi, le loro caratteristiche geografiche, economiche e industriali, le loro interconnessioni, i loro livelli di sviluppo, i diversi mix energetici che alimentano i loro sistemi e che persegua l’obiettivo della decarbonizzazione utilizzando non una, ma tutte le soluzioni tecnologiche efficaci ed efficienti.

In particolare, è essenziale adottare un approccio neutrale alle soluzioni tecnologiche, che consideri tutte le opzioni in maniera sinergica e complementare tra loro, in base alla loro efficacia ed efficienza nel ridurre le emissioni e alla loro capacità di contribuire alla sicurezza energetica. Sono quindi necessari segnali di policy – a livello europeo e nazionale – non ideologici ma pragmatici, che nel caso del gas devono essere meno discordanti e meno penalizzanti, in relazione al suo presente e futuro ruolo nel processo di transizione energetica e di decarbonizzazione.

Questo tenendo conto del secondo grande insegnamento di questa crisi, che parte dall’osservazione di una domanda europea di gas che nel tempo rimane importante: i sistemi economici e industriali si alimentano ancora prevalentemente con fonti tradizionali e la transizione energetica, che noi sposiamo e sosteniamo con grandissimo impegno strategico, non può prescindere dalla sicurezza degli approvvigionamenti e dal costante ampliamento e miglioramento dell’accesso all’energia, per tutti e dovunque. La transizione, senza energia che la alimenta e senza equità, fallisce. Fissati gli obiettivi ambientali, dobbiamo preoccuparci, lungo tutto il percorso che ci avvicina a quegli obiettivi, di mantenere al sicuro, dal punto di vista energetico, i nostri sistemi economici e industriali, e quindi sociali.

A mio avviso la risposta a quello che l’Europa dovrebbe cercare è l’Africa, che offre diversificazione delle risorse per i nostri mix energetici, delle fonti di approvvigionamento, con la varietà dei Paesi produttori del Continente e abbondanza di energia. E l’Europa sarebbe in grado di dare all’Africa ciò che le manca: fondi e tecnologie. Complementarità, quindi, ma che deve essere basata sull’approccio Africa first.

Occorre creare un grande Corridoio energetico Sud-Nord, dotato delle necessarie infrastrutture e fondato su vere e proprie alleanze che ci consentano di porci come partner per la transizione energetica africana. In altre parole, non possiamo pensare di comprare semplicemente gas e imporre le nostre ricette, ideologizzate, per la decarbonizzazione. Così falliremmo. Noi dobbiamo rischiare con loro e come loro, condividere le nostre esigenze e ascoltare le loro, senza imporre nulla, ma cercare di posizionarsi come alleati per progredire insieme.