L’inizio del 2022 è stato protagonista di importanti tensioni geopolitiche che hanno impattato, in primis, il settore energetico. La guerra russo-ucraina sta mettendo a rischio i vari equilibri internazionali, essendo rilevante il ruolo che la Russia ricopre come produttore e maggior esportatore di energia.

La reazione dell’Unione europea alla guerra prevede, fra le varie misure, anche quella di sanzionare il mercato delle materie prime energetiche. Escludendo, almeno per il momento, un embargo nei confronti del gas di Mosca, da cui il Vecchio Continente dipende ancora per il 40% dei suoi consumi, le istituzioni di Bruxelles sono riuscite a convergere su una sospensione delle importazioni di carbone russo, ma solo a partire da agosto; sul petrolio, nonostante il primo timido accordo del 30 maggio, la decisione sta riscontrando molti ostacoli da parte degli Stati membri, per la maggior parte ancora troppo dipendenti dalle importazioni di greggio e prodotti russi.

In merito al boicottaggio del petrolio russo, è importante fare una precisazione. Secondo l’Oxford Institute for Energy Studies, di fatto, una riduzione degli scambi di petrolio con la Russia è già in atto e si è intensificata ad aprile con una perdita di circa 1 mil. bbl/g. Pertanto, un possibile stop all’importazione del petrolio russo in Europa potrebbe influire sul restante 60% delle esportazioni totali verso la regione, determinando una riduzione consistente dei volumi di greggio: si passerebbe dai 3,5 mil. bbl/g importati ad aprile a 1,4 mil. bbl/g. Si stima, addirittura, una perdita di 4 mil. bbl/g di produzione petrolifera russa entro dicembre 2022.

In questa situazione di estremo rischio e incertezza, l’ipotesi di interruzioni su larga scala della produzione petrolifera russa equivarrebbe ad uno shock globale. Un European Oil Ban avrebbe ripercussioni durature sulle strutture di approvvigionamento e diversificazione del petrolio. Ne risentirebbero, inevitabilmente anche i prezzi, i quali con l’inizio della guerra  hanno avviato una fase di estrema volatilità, con variazioni fino a 30 doll/bbl nell’arco di pochi giorni.

E per l’Italia, quali conseguenze avrebbe un possibile embargo? Partiamo da un dato. Per quanto la domanda di petrolio resti comunque ancora decisamente inferiore rispetto ai livelli pre-Covid, avendo recuperato solo la metà del calo registrato nel 2020, il 2021 ha conosciuto una crescita del 10%, il che ha contribuito al 40% dell’aumento dei consumi energetici italiani complessivi (ENEA, 2022). Pertanto, il ruolo del petrolio sul mix energetico nazionale rimane rilevante e un possibile ammanco da un importante paese fornitore si configura come una criticità.

Consumi finali di energia (var. annua tendenziale, Mtep) e variazione rispetto al 2005 (%, asse dx)

Fonte: ENEA, Analisi trimestrale del sistema energetico italiano 1/2022  

Tuttavia, da un punto di vista di diversificazione energetica, così come afferma anche Claudio Spinaci, presidente UNEM, “a differenza del gas (dove Mosca pesa per oltre il 40% dei consumi europei, ndr), dalla Russia ci arriva il 10% del greggio che importiamo”. La capacità di raffinazione italiana, infatti, può contare su un ampio numero di fornitori: nel 2021 sono stati 22 i Paesi da cui l’Italia ha importato 72 diversi tipi di greggio. E questo ci tutela, in qualche modo, da eventuali shock.

Complessivamente, lo scorso anno, sono stati importati circa 57 milioni di tonnellate di petrolio in aumento del 14% sul 2020 anche se in calo del 9% rispetto al dato del 2019. Circa la metà delle importazioni proviene da paesi OPEC, che contribuiscono con undici punti percentuali in più rispetto al 2020 (unico anno, nell’ultimo quinquennio, nel quale la quota OPEC è scesa ampiamente al di sotto del 50%). Tra i paesi del cartello, è la Libia che esporta di più in Italia (36% sul totale OPEC), seguita dall’Iraq (27%) e dall’Arabia Saudita (19)%. Se guardiamo al dato totale delle importazioni (grafico a torta), è però l’Azerbaijan il principale fornitore di greggio dell’Italia che, con circa 13,2 milioni di tonnellate, copre uno share del 23%. Seguono la Libia con il 19%, l’Iraq con il 14%, la Russia con il 10% e l’Arabia Saudita con il 9,6%. Al di sotto del 9% la percentuale degli altri paesi, con alcuni come Angola, Canada e Brasile, anche al di sotto dell’1%.

Importazioni di greggio in Italia per paese (valore %)

Nota: Altri Africa comprende: Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Camerun, Tunisia e Ghana. Americhe comprende: Canada, Usa, e Brasile. Altri Europa comprende Albania e UK

Fonte: Elaborazioni su dati MiTE

Un ampio ventaglio di paesi da cui importare è sicuramente un punto di forza per il nostro paese e ci consentirebbe di affrontare meglio, rispetto ad un paventato embargo sul gas, l’interruzione delle forniture russe di petrolio. Tuttavia, la crisi energetica in atto è ormai tale da aver generato diverse criticità per il nostro paese. Prezzi particolarmente elevati stanno pesando sull’economia italiana e secondo l’Istat, nel 2022 il PIL potrebbe risultare in calo di 0,7 punti percentuali rispetto a uno scenario base elaborato dallo stesso Istituto. Inoltre, si teme per le sorti della più grande raffineria del Paese: il polo petrolchimico di Priolo Gargallo, controllata dalla divisione italiana della Lukoil, importante società petrolifera privata russa e uno dei principali operatori del mercato siciliano dei carburanti. La sua capacità equivale quasi al 22% della capacità di raffinazione dell’Italia. L’eventuale stop di tale impianto avrebbe importanti conseguenze in termini occupazionali ed economici: 10.000 posti di lavoro in un’area industriale che vale  il 51% del Pil della provincia di Siracusa, per non contare il rischio di chiudere uno dei più importanti poli energetici europei.