Lo scoppio del conflitto in Ucraina ha posto al centro del dibattito il tema della debolezza strutturale del sistema energetico europeo e, in particolare, italiano. In questo quadro, la necessità di accelerare la transizione energetica verso fonti alternative ai combustibili fossili si è resa ancora più impellente e non più rinviabile.
Già nel 2021, le importazioni di gas in Europa si sono attestate al di sotto degli obiettivi minimi di consegna (183 miliardi di m3), e nel solo mese di gennaio 2022 hanno registrato una riduzione del 55%. Tale riduzione si è ripercossa sul prezzo del gas, portando l’indice TTF (Title Transfer Facility), il mercato di riferimento in Europa per il gas naturale, a registrare, secondo dati Bloomberg, un prezzo medio a gennaio 2022 di 83,94 Euro per MWh (+366% rispetto a gennaio 2021), raggiungendo il suo picco a inizio marzo 2022 (227,2 Euro per MWh). Un aumento di tale portata ha determinato nel caso dell’Italia, per il primo trimestre 2022, rincari del 131% della bolletta dell’energia elettrica e del 95% per quelle del gas rispetto al pari periodo 2021.
Con l’acuirsi della crisi tra Russia e Ucraina e l’inasprimento delle tensioni geopolitiche a livello internazionale, la criticità della dipendenza del settore energetico europeo e italiano dai combustibili fossili importati da paesi esteri è divenuta ancora più significativa. Alle sanzioni economiche imposte dall’Occidente, Mosca ha risposto con la minaccia dello stop alla fornitura di gas. Nel 2020, la disponibilità di energia nell’Unione Europea proveniva per il 34,5% da prodotti petroliferi e per il 23,7% da gas naturale. Il dato più rilevante però è legato all’importazioni delle stesse fonti: il 97% dei prodotti petroliferi e l’83,6% del gas naturale sono stati importati. In totale, l’UE importa il 57,5% del totale dell’energia che utilizza per soddisfare il proprio fabbisogno. Non fa eccezione l’Italia, che dipende dall’import di energia per il 73,5% del suo fabbisogno totale e ha un mix energetico ancora dominato dal gas naturale (41,5%).
Import sul totale della disponibilità di energia, import di prodotti petroliferi e di gas sullo stock totale dell’UE-27 e dell’Italia (valori percentuali)
Fonte: Elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Eurostat, 2022
Infatti, a partire dal 1990 l’Italia si è sempre più legata alle importazioni di gas naturale, ancora oggi la fonte energetica principale del mix energetico. Tra il 1990 e il 2020, se la a produzione nazionale di gas si è ridotta del 76,6% tra il 1990 e il 2020, la quantità di gas importato è aumentata del 115%.
Quantità di gas prodotto e importato in Italia (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio), 1990-2020.
Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Eurostat, 2022.
Muovendo da tali premesse, il dibattito economico-politico delle ultime settimane ha posto l’attenzione sulle possibili alternative per far fronte alla riduzione della dipendenza dalle importazioni di gas, in particolare da quello russo. Il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha proposto, nel suo discorso alla Camera a cavallo dello scoppio del conflitto, la riapertura di 7 centrali a carbone. Inoltre, al fine di diminuire la vulnerabilità causata dalla dipendenza da un numero ristretto di partner commerciali, una proposta alternativa punta a ricorrere al gas naturale liquefatto (GNL), proveniente principalmente da Qatar, Stati Uniti, Nigeria e Algeria. Tuttavia, quest’ultima soluzione sconta una necessità infrastrutturale di conversione di gas tramite rigassificatori di cui l’Italia (ma più in generale l’Europa) è carente.
Ricorrere al carbone o al gas (in altre forme o da partner commerciali che non siano la Russia) rappresenta certamente una soluzione di breve periodo per far fronte alla contingenza, ma non potrà essere risolutiva nel medio-lungo. Tali soluzioni contrastano con i piani europei e le strategie nazionali in tema energetico dell’UE al 2030 e al 2050, nel quadro dell’European Union 2030 Climate & Energy Framework, dell’European Green Deal e del “Fit for 55 Package”.
La scelta, nel breve periodo, di una soluzione che rappresenti “un balzo indietro” rispetto alla strategia comunitaria tracciata comprometterebbe il cammino dell’Europa e dei suoi Stati membri verso la transizione ecologica. L’Italia, nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), prevede di abbandonare completamente il carbone entro il 2025. Inoltre, la Long-Term Strategy italiana prevede un aumento dell’80% delle fonti rinnovabili nei consumi finali di energia, confinando i combustibili fossili a un ruolo marginale nel mix energetico del 2050. L’accelerazione della transizione ecologica (e non un suo rallentamento) e l’abbandono delle fonti fossili in favore di quelle rinnovabili rappresentano l’unica via percorribile al fine di garantire autonomia e sicurezza energetica e resilienza del sistema nel suo complesso.
È questa, peraltro, la strategia promossa dalla Commissione Europea nel REPower EU presentato lo scorso 8 marzo. In particolare, il piano prevede una differenziazione delle fonti di approvvigionamento di gas (grazie al GNL), l’aumento delle misure di efficienza energetica e una più rapida diffusione delle rinnovabili. La piena implementazione delle linee guida definite nel “Fit for 55 Package” porterebbe, peraltro, a una riduzione della domanda di gas del 30% rispetto a quella europea attuale, e insieme all’elettrificazione dei consumi finali e la diffusione delle rinnovabili colmerebbe l’energia fornita dai 155 miliardi di m3 di gas importati dalla Russia. Elemento centrale di tale strategia è il raddoppio della capacità installata di energia solare ed eolica entro il 2025, per poi triplicarla entro il 2030.
Tuttavia, molto deve essere ancora fatto dai Paesi membri per adeguarsi agli obiettivi proposti dall’Europa. Per essere in linea con il “Fit for 55”, l’Italia dovrà installare una capacità da fonti rinnovabili pari ad almeno 70 GW entro il 2030 (nel periodo 2013-2020 sono stati installati 6 GW di potenza da fonti rinnovabili, di cui 4 GW di fotovoltaico e 2 GW di energia eolica). Un fattore che limita lo sviluppo delle rinnovabili in Italia sono le complesse procedure burocratiche, caratterizzate da lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, discrezionalità nelle valutazioni degli impatti ambientali, disomogeneità delle norme regionali e blocchi delle Sovrintendenze. Anche secondo i dati forniti da Elettricità Futura, in Italia esiste un forte potenziale inespresso per le rinnovabili: il settore privato è pronto ad investire circa 85 miliardi di Euro per installare 60 GW di potenza da rinnovabili nei prossimi 3 anni, che farebbero risparmiare circa 15 miliardi di m3 all’anno, circa il 20% delle attuali di importazioni di gas.
In conclusione, la crisi energetica attuale può essere letta come la conseguenza delle intrinseche caratteristiche strutturali del sistema energetico europeo e italiano. Certamente la società, le imprese e i cittadini hanno la necessità di calmierare gli effetti della crisi in atto impiegando soluzioni di breve periodo. Tuttavia, l’Europa e l’Italia non possono permettersi di abbandonare il solco tracciato dalla strategia verso la decarbonizzazione al 2050. È, oggi più che mai, cruciale adeguare e facilitare il contesto normativo, tecnologico, sociale e culturale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, facendo un passo fondamentale verso la sicurezza energetica, il contrasto alla volatilità del prezzo dell’energia e un’accelerazione significativa delle azioni verso i target di decarbonizzazione.