La quarta edizione del Catalogo sui sussidi ambientalmente dannosi (sad) e favorevoli (saf) stima in  circa 21,6 miliardi di euro l’impatto degli uni e in circa 18,9 miliardi gli altri. A questi si aggiungono 13,6 miliardi di misure il cui impatto sull’ambiente è giudicato incerto. Il peso dei sad è in calo rispetto agli anni precedenti: l’aggiornamento delle stime relative al triennio trascorso fissa l’asticella a 22,3 miliardi nel 2017, 23,0 miliardi nel 2018 e 24,5 miliardi nel 2019. Per trovare un valore inferiore a quello del 2020, che ovviamente ha risentito del rallentamento dell’attività economica causato dal Covid-19 e dai lockdown, bisogna tornare al 2016 (20,3 miliardi).

Quello svolto dai tecnici del Ministero della Transizione ecologica è un prezioso lavoro di ricostruzione e informazione sull’impatto di un’infinità di provvedimenti in campo fiscale che incidono sull’ambiente. Tuttavia, il modo in cui l’analisi viene condotta rischia di inficiarne i risultati. Infatti, da un lato essa ha un dichiarato obiettivo politico: chiede esplicitamente di rimuovere i sad e di incrementare i saf. Dall’altro, tale richiesta – apparentemente ragionevole – non poggia su un’analisi di efficacia ed efficienza del sussidio stesso né si interroga sulle ragioni per cui un’agevolazione esiste e sulle conseguenze che possono derivare dalla sua eliminazione (se sad) o ampliamento (se saf). Per esempio, un certo sussidio può avere effetti positivi sull’ambiente in quanto comporta la sostituzione di una tecnologia (più) inquinante con una (più) pulita. Questo non significa automaticamente che quel sussidio debba essere guardato con favore: occorre chiedersi se il beneficio ambientale sia superiore al costo della misura. Le risorse stanziate per sostenere le tecnologie (più) pulite hanno un costo opportunità: possono essere allocate a una molteplicità di utilizzi. Se si ignora tale aspetto e si accredita l’idea che esse debbano essere valutate in astratto (cioè in relazione ai loro impatti) e non in concreto (cioè comparativamente agli altri possibili usi del denaro pubblico) si finisce per trasformare un’informazione tecnicamente utile in un’indicazione politicamente sbagliata.

Ancora più complessa è la faccenda dei sad. Da diversi anni il Catalogo impiega una metodologia che, a dispetto delle numerose critiche e delle contraddizioni che solleva, non è stata finora messa in discussione. Essa considera sussidio non solo “incentivi, agevolazioni, finanziamenti agevolati ed esenzioni da tributi direttamente finalizzati alla tutela dell’ambiente” ma anche “una tipologia di sussidio ‘implicito’, ovvero quella forma di agevolazione che emerge implicitamente da una determinata differenziazione del livello di tassazione che può favorire l’adozione di tecnologie o combustibili più o meno inquinanti”. Il caso più clamoroso è quello del diverso trattamento fiscale tra benzina e gasolio, che il Catalogo qualifica come sad e che invita a rimuovere alzando l’accisa sul diesel. È davvero assurdo che, in un momento in cui il governo spende miliardi su miliardi per mitigare gli aumenti dei prezzi energetici, il Mite chieda invece di inasprire il prelievo tributario. Paradosso nel paradosso: il Catalogo prescrive che sul gasolio “deve essere innalzato e almeno allineato rispetto a quello della benzina” (corsivo aggiunto). In lingua italiana, “almeno” implica che, secondo gli estensori, l’accisa sul diesel per autotrazione dovrebbe addirittura superare quella sulla benzina, nonostante l’una sia già la più alta d’Europa, l’altra quasi. Ma se l’accisa sul diesel fosse fissata a un livello più alto di quella sulla benzina, seguendo la stessa logica sarebbe la benzina a essere sussidiata: a quel punto il Catalogo chiederebbe di innalzare ancora il prelievo su quest’ultima, in una sorta di rincorsa infinita?

Il caso della benzina e del gasolio è solo la punta dell’iceberg. Non è finita. Sono considerate saf le agevolazioni per tutti gli apparati che utilizzano energia elettrica: è un principio generalmente condiviso a livello europeo che l’elettrificazione dei consumi sia un asse fondamentale della transizione. Quindi, bene la riduzione del bollo per i veicoli elettrici, le detrazioni per le colonnine di ricarica, il bonus bici, i bonus edilizi per l’installazione di pompe di calore. Ma le misure che favoriscono il consumo di energia elettrica sono qualificate come sad: l’esenzione dall’accisa per le famiglie e l’Iva agevolata per famiglie e imprese. Dove sta la logica nell’invitare le persone ad acquistare l’auto elettrica ma nel pretendere che paghino di più le ricariche? Mistero.

Infine, c’è un elefante nella stanza. Le misure adottate negli ultimi mesi sono da considerarsi ambientalmente dannose secondo la logica del Catalogo: l’aliquota Iva ridotta sul gas, la fiscalizzazione degli oneri generali di sistema, l’estensione dei bonus. Praticamente tutte le riforme invocate dal Catalogo implicano un incremento della tassazione energetica: l’aumento delle accise sul gasolio, dell’Iva su elettricità e gas, l’imposizione delle accise sull’elettricità a quei consumatori che oggi ne sono parzialmente esentati. Quindi la prossima edizione del rapporto dovrà venire allo scoperto: denuncerà il governo Draghi per aver varato il più grande pacchetto di sad della storia recente oppure fingerà di non vedere? Speriamo che sia almeno l’occasione per abbandonare l’ipocrisia con cui i governi da anni pubblicano un documento che puntualmente e sistematicamente ignorano e smentiscono.