La situazione del mercato energetico si impone all’attenzione dei governi alle prese con problemi di approvvigionamento, aumento dei prezzi e pressioni inflazionistiche. Questa crisi avviene alla vigilia della COP26 di Glasgow sui cambiamenti climatici e il settore energetico, responsabile dei ¾ delle emissioni, è al centro del dibattito che riguarda gli scenari di profonda trasformazione delle nostre società. L’obiettivo di raggiungere le emissioni nette pari a zero nel 2050 viene vista a livello internazionale come la necessaria soluzione per contenere il riscaldamento della terra nel limite di 1.5 gradi centigradi. Se non lo faremo, andremo incontro a effetti devastanti per la nostra terra: quello che dobbiamo fare oggi è un debito verso le generazioni future, una scelta etica necessaria, una decisione senza alternative se vogliamo assicurare un futuro sostenibile al nostro pianeta.

Questo’anno abbiamo assistito a uno sforzo univoco a livello internazionale sui cambiamenti climatici. La Presidenza italiana del G20, la Presidenza britannica del G7, la Presidenza della COP26 inglese in partnership con l’Italia hanno prodotto una sinergia e un senso di direzione all’azione internazionale molto coerente. Accanto alla posizione europea, da sempre avanzata sul tema di cambiamenti climatici e ancorata al “leading by example” (anche se l’Europa da sola può fare ben poco per ridurre le emissioni a livello globale), si registra la posizione molto pronunciata dell’Amministrazione Biden che costituisce una novità rilevantissima nello scenario internazionale. Anche la Cina si muove nella stessa direzione mostrando una posizione più costruttiva con l’impegno a raggiungere la neutralità nelle emissioni nel 2060 (una scelta che noi vorremmo fosse più’ambiziosa, allineata al 2050) ma anche con alcuni segnali rilevanti quale quello relativo alla sospensione della costruzione di centrali a carbone fuori dal territorio cinese. È di questi giorni la notizia che anche l’Arabia Saudita intende raggiungere le emissioni nette zero nel 2060.

Tuttavia gli annunci finora fatti non sono sufficienti a coprire il gap delle riduzioni di emissioni. A meno che non vi sia uno sforzo ulteriore della comunità internazionale, rischiamo di mancare l’obiettivo di contenere il rialzo delle temperature.

Quello di cui stiamo dibattendo a livello internazionale non è, quindi, il senso di direzione ma il livello di ambizione delle politiche che dobbiamo adottare per raggiungere i risultati che i governi hanno annunciato: zero emissioni nette nel 2050 per contenere il riscaldamento del pianeta entro 1.5 gradi. L’ AIE nel suo rapporto “Net Zero by 2050” e nell’appena pubblicato “World Energy Outlook” indica che questo obiettivo è ancora raggiungibile. La progressiva riduzione del ricorso alle fonti fossili richiede che quelle alternative e rinnovabili siano disponibili e che, di conseguenza, gli investimenti vengano intensificati. Se si considera che il 2021 vedrà il secondo più forte aumento annuale di emissione di CO2 nella storia, è evidente la necessità di un cambio di passo.

In questa situazione complessa e di non facile soluzione, visto che siamo al centro di un processo di cambiamento storico che intendiamo compiere in un periodo relativamente breve di tempo, si inserisce la crisi energetica di questi giorni.     

La pressione sui prezzi di gas, petrolio ed elettricità sta provocando una serie di preoccupazioni per gli effetti sull’economia e i rischi legati all’inflazione. L’Agenzia Internazionale dell’Energia attribuisce le attuali pressioni sui prezzi a tre motivi: la forte ripresa dell’attività economica, eventi metereologici di carattere straordinario, guasti e manutenzioni che si sono cumulati dopo il rallentamento dovuto al COVID. Iniziano a manifestarsi preoccupazioni sulla possibilità che la crisi attuale possa rimettere in discussione la spinta verso la transizione energetica. Il nesso causa-effetto tra transizione e crisi energetica appare discutibile. Questa crisi e quella della primavera del 2020 quando il prezzo del petrolio cadde ai minimi storici pongono all’attenzione la questione della necessità di governare in modo ordinato la transizione energetica.

Nella primavera dello scorso anno la caduta dei prezzi e delle quantità causò meno allarme nelle opinioni pubbliche europee ma forti preoccupazioni sul pesante impatto che tale situazione era suscettibile di determinare sui Paesi fortemente dipendenti dalle entrate petrolifere. Cosa accadrebbe se nei prossimi anni si riproducesse, per effetto della transizione energetica, una situazione simile di ridotte quantità e prezzi dei combustibili fossili?  Dopo pochi mesi una identica situazione, ma di segno opposto e con maggiore preoccupazione nei Paesi consumatori, vede i prezzi muoversi nella direzione opposta. Anche in questo caso gli interrogativi sulla gestione della transizione energetica iniziano ad emergere: si paventa un processo non privo di complessità e che va gestito in modo oculato. A livello internazionale, ove la governance energetica resta elusiva rispetto alle necessità, è significativo che l’AIE si candidi, in occasione alla prossima riunione ministeriale di febbraio, a essere il punto di riferimento internazionale per la transizione energetica. È una grande sfida per un’organizzazione, che sia pur nella sua limitata membership, ha dalla sua l’autorevolezza e la credibilità costruita in questi anni.

Anche all’interno dei singoli Paesi la “partita” della transizione energetica è complessa.  Senza un forte sostegno nella società, qualsiasi processo di accelerata trasformazione rischia di essere difficile. L’accesso universale all'energia a prezzi accessibili, lo sradicamento della povertà energetica e una maggiore sicurezza saranno i benefici globali ai quali puntare quando la transizione sarà compiuta. Occorrerebbe privilegiare un approccio che assicuri che i benefici economici e occupazionali della transizione siano potenziati il più possibile e che i settori che riceveranno il maggiore impatto da questo processo di trasformazione siano adeguatamente sostenuti.

Non vi è un solo percorso per raggiungere gli obiettivi che la comunità internazionale si è prefissata di raggiungere. Quello che conta, nell’interesse collettivo, è il risultato finale. Il modo di raggiungere tale obiettivo deve scaturire dal confronto sia internazionale che nazionale. Essere parte della soluzione è la soluzione migliore che va perseguita attraverso un dialogo costruttivo tra i governi e con i governi.