Gli ultimi due anni sono stati fuori dall’ordinario sotto tutti gli aspetti. La pandemia più disastrosa dell’ultimo secolo, oltre ad aver drasticamente redistribuito le risorse monetarie e finanziarie del mondo intero, ha trasformato modelli di business, ne ha interrotti altri e ha seriamente testato lo spirito di sopravvivenza delle aziende.
I carbon market, oltre a non essere stati esclusi dall’ondata Covid-19, hanno dovuto affrontare una moltitudine di cambiamenti sistemici, forse come mai prima d’ora, tutti concentrati proprio nell’ultimo anno. Il 2021, inoltre, ha fatto da spartiacque tra la fase III del meccanismo EU ETS, iniziata nel 2013 e conclusasi nel 2020, e la successiva fase IV che si protrarrà fino al 2030. Ogni diverso periodo del sistema europeo per lo scambio dei diritti di emissione ha le proprie peculiarità e regole le quali, congiuntamente allo stato dell’economia globale ed agli avanzamenti normativi in ambito di sostenibilità e climate change; hanno mosso il mercato delle emissioni come i fili di una marionetta.
Dal gennaio di quest’anno le quotazioni per i permessi EUA hanno registrato un boom del 74%, partendo da circa 30,00 €/ton e sfiorando picchi a 58,64 €/ton pochi giorni fa (rif. EUA DEC21). Se includiamo anche il 2020 nella statistica, troviamo un trading range ampio quasi 45,00 €: una forbice impressionante.
Gli effetti da Covid-19
Non c’è bisogno di spendere altre parole su come la pandemia abbia impattato negativamente sui listini borsistici di tutto il mondo ma, bisogna sottolineare, quelli dei permessi di emissione hanno incassato molto bene il colpo. Dopo un marzo 2020 che aveva visto deprezzamenti di circa il 40% in sette giorni di negoziazioni (da circa 24,00 €/EUA a meno di 15,00 €/EUA), a giugno dell’anno scorso i prezzi EUA avevano già recuperato tutte le perdite subite, tanto che la Director per i carbon market alla Commissione Europea Beatriz Yordi aveva sottolineato di come un mercato così forte avesse: “superato il test di resilienza, oltrepassando lo shock economico”.
Il vuoto di offerta del 2021
Ogni anno gli operatori soggetti all’EU ETS, solitamente nel mese di febbraio, ricevono da parte dell’UE l’allocazione gratuita di permessi che dovranno restituirle l’anno successivo. Nel 2021, però, questa allocazione è stata posticipata a data da destinarsi a causa di ‘ritardi legislativi’, a detta della Commissione Europea. Inoltre, non sarebbe comunque stato permesso il cosiddetto ‘borrowing’ (ovvero l’utilizzo delle allocazioni gratuite 2021 per coprire gli obblighi 2020, da saldare entro aprile). La mancata disponibilità di una così importante risorsa finanziaria abituale (ricordiamoci di pensare sempre alle EUA come euro, avendo queste un valore di mercato) ha costretto tutti gli operatori corti a mettere mano al portafoglio ricorrendo direttamente al mercato, non potendo neanche swappare le EUA 2021 con quelle del 2020 (fase IV vs. fase III). Una domanda ‘obbligata’ congiuntamente ad un vuoto d’offerta sono stati praticamente la benzina sul fuoco dei prezzi.
L’evoluzione normativa ed i nuovi settori ETS
Ad alimentare la corsa rialzista delle quotazioni troviamo il sentimento positivo e generalizzato riguardo gli scenari per il futuro. Un Green New Deal che nel corso degli ultimi tempi è diventato sempre più concreto, la possibilità che nuove regolamentazioni sulle emissioni (come la carbon border adjustment measure) e/o l’inclusione di nuovi settori (come quello marittimo, del trasporto su strada ed edile) aggiungano nuove fette di domanda all’ETS, oltre all’imminente presentazione del pacchetto ‘Fit for 55’ da parte della Commissione Europea; hanno giocato positivamente sulle aspettative rialziste.
Rischi e scenari per il medio periodo
È legittimo ritenere che vi sia anche chi ha accumulato posizioni lunghe su questo mercato che ‘sale e basta’ per ragioni speculative e qualche indizio si trova nei commitment report pubblicati dalla borsa ICE riguardo le posizioni attualmente aperte sulla borsa stessa.
C’è da chiedersi quanto questa corsa al rialzo possa durare e se abbiano ragione gli analisti di Berenberg a ipotizzare un prezzo EUA a tripla cifra per la fine dell’anno. Nei mesi di maggio e giugno abbiamo già visto alcuni segni di cedimento, anche se il mercato non si è mai spinto sensibilmente al di sotto dei 50,00 €/ton, quello che pare essere il nuovo floor per i prezzi. Quotazioni così alte per la CO2 non si erano mai viste da quando esiste il meccanismo, sicuramente sono un incentivo alla decarbonizzazione perfettamente allineato alla ratio del meccanismo ETS secondo la Commissione Europea. Dall’altro lato, però, rappresentano dei costi sempre più pesanti per gli operatori ETS che non possono riconvertire la produzione verso tecnologie meno carbon-intensive con la stessa velocità del mercato.
Chi invece ha comprato EUA con fini speculativi e sta aspettando di vendere ha in mano una bella patata bollente. Ora il rischio per tutti i soggetti lunghi è principalmente rappresentato dalla liquidazione di tali posizioni da parte di altri operatori nella stessa situazione: è una corsa contro il tempo, vince chi arriva primo. Un esempio lo abbiamo visto a metà maggio, quando sono state listate sul mercato le UKA (i permessi per l’emissions trading del Regno Unito, sistema domestico istituito post Brexit). Gli impianti inglesi che detenevano vecchie posizioni lunghe sul mercato europeo le hanno immediatamente liquidate per acquistare i permessi domestici, innescando una discesa dei prezzi e indirettamente ‘danneggiando’ altri operatori che avevano acquistato sperando in ulteriori apprezzamenti. La circostanza si ripeterà: stiamo infatti ancora aspettando le allocazioni gratuite del 2021 menzionate pocanzi. Quando arriverà anche questa liquidità molti operatori shorteranno, di fatto alimentando l’offerta sul mercato e innescando un nuovo scivolone. Un primo assaggio pare lo abbiamo avuto la scorsa settimana: i Paesi Bassi infatti hanno inaspettatamente distribuito i permessi agli impianti nazionali. Che i prezzi EUA abbiano perso oltre 4 € in un’unica sessione (martedì) ed i volumi siano stati i più alti dell’ultimo mese e mezzo non è stata una coincidenza.
Tralasciando gli operatori che non hanno obblighi all’interno dell’ETS e che quindi tradano per speculare, che senso ha vendere i propri permessi per un impianto obbligato che, viste le attuali regole dell’ETS, verosimilmente sarà sempre più in deficit? È sempre sbagliato generalizzare ma, considerando quante imprese si stiano ancora leccando le ferite causate dagli obbligati acquisti di aprile, io stesso se mi trovassi in questa situazione cercherei di salvare il bilancio rientrando di liquidità; sapendo che comunque a febbraio 2022 riceverò una nuova allocazione gratuita. Di fatto non risolverei il problema ma posticiperei nuovi acquisti al 2023 e, se stessi annegando finanziariamente, questo sarebbe proprio un bel salvagente. Ovviamente non sappiamo quale sarà la decisione di tali impianti, ma eventuali deprezzamenti legati all’aumento di offerta sul mercato potrebbero essere un’ottima cartina tornasole riguardo l’orizzonte temporale su cui sono orientate le scelte strategiche degli operatori ETS.