La ripresa dell’economia mondiale è coincisa con un recupero significativo dei prezzi delle principali materie prime. La tendenza rialzista non si è esaurita nel 2020: le quotazioni di quasi tutte le commodity si sono mantenute incanalate lungo un percorso espansivo che ha trovato conferma, a ritmi accelerati, per tutta la prima metà del 2021. Nella maggior parte dei comparti i prezzi in euro hanno raggiunto livelli mai osservati in passato, al punto da interrogarci sulla possibilità che l’economia mondiale si trovi di fronte a un nuovo “superciclo” ovvero, che i recenti rincari rappresentino il primo step di una tendenza rialzista destinata a perdurare nel tempo. Per sottoporre questa ipotesi a verifica, è utile identificare i macro-driver che nei mesi più recenti hanno determinato l’evoluzione dei prezzi.

Il rimbalzo dell’economia cinese. Prima tra le grandi economie mondiali a subire gli effetti della pandemia, la manifattura cinese ha beneficiato dell’effetto combinato dei piani di stimolo implementati dai policymaker, e dell’andamento espansivo delle esportazioni dirette alle economie avanzate, per ripianare in breve tempo le perdite maturate nei primi due mesi del 2020. La tendenza espansiva ha trovato conferma nel 2021, prolungando ulteriormente il percorso di crescita dei consumi di input (metalli in primo luogo) destinati ad alimentare l’apparato produttivo del paese asiatico.

Il recupero dei consumi nelle economie avanzate si è espresso a ritmi molto più graduali in confronto a quanto osservato in Cina, potendo in ogni caso beneficiare di un contributo significativo della spesa delle famiglie cresciuta, in particolare nel 2021, in misura proporzionalmente più intensa nei capitoli (elettrodomestici, autoveicoli, elettronica, beni per la casa) più rilevanti in termini di “contenuto” di commodity–Lo shift della spesa dai servizi ai durevoli, oltre a riflettersi nel contestuale incremento delle importazioni di prodotti finiti dalla Cina, ha offerto anche un sostegno all’attività manifatturiera delle stesse economie avanzate, riportatasi sui livelli pre-pandemia già dal secondo trimestre del 2021.

I numerosi vincoli all’offerta, emersi come conseguenza diretta della pandemia (si pensi alle chiusure di impianti minerari di rame e minerali di ferro in Perù, Brasile e Cile osservati nel 2020)  a problemi pre-esistenti (ad esempio, il boom delle importazioni cinesi di granaglie destinate a ricostituire gli stock suini abbattuti nel 2019-’20) o, ancora, alle difficoltà riscontrate nel riportare “a regime” gli impianti produttivi (come nel caso dell’acciaio, o delle plastiche), hanno ostacolato il processo di riallineamento delle produzione di materie prime al contestuale incremento della domanda..

L’impronta “green” dei piani di stimolo implementati in Europa, il nuovo corso “ambientalista” dell’amministrazione Biden e i programmi di Pechino mirati alla decarbonizzazione dell’economia cinese hanno sortito un duplice impatto sui mercati delle materie prime: lato domanda, si è generata la prospettiva di un’accelerazione dei consumi delle commodity maggiormente coinvolte nel processo di transizione energetica. Non a caso sono rame e stagno, che trovano ampio utilizzo nei processi di trasmissione dell’energia elettrica e nella realizzazione di circuiti, sono i metalli ad aver sperimentato i rincari più significativi nei primi cinque mesi del 2021. Lato offerta, le industrie maggiormente energivore (alluminio in primis) sono state oggetto di interventi restrittivi da parte di Pechino volti a contenere l’impatto ambientale dei processi di produzione.

All’elenco dei driver che hanno guidato l’andamento dei prezzi nei mesi più recenti se ne possono aggiungere altri (dal ruolo della speculazione finanziaria, al dollaro debole, fino allo strappo dei noli navali che, ostacolando il regolare flusso del commercio internazionale, ha ulteriormente aggravato le preesistenti situazioni di scarsità) sebbene, nel complesso, riteniamo che la parte preponderante dei recenti aumenti possa essere spiegata da questi quattro fattori.

Il significativo incremento registrato dai consumi di beni durevoli nelle economie avanzate, Stati Uniti in primo luogo, difficilmente potrà proseguire inalterato in uno scenario post-pandemico di ritorno alla normalità. Il rientro della spesa delle famiglie verso una condizione di maggiore equilibrio (dove, cioè, la componente dei servizi tornerà a contribuire in misura più significativa sull’aggregato complessivo dei consumi) è atteso tradursi in un consolidamento dell’attività manifatturiera e, quindi, della domanda di commodity visibile già dalla seconda metà del 2021. Analogamente, l’esaurimento dei piani di stimolo, politiche monetarie/fiscali più restrittive e il raffreddamento del traino delle esportazioni appaiono destinate a lasciare spazio a un ritorno della crescita del manifatturiero cinese su un sentiero più equilibrato. Non ci aspettiamo, infine, che le numerose criticità che hanno caratterizzato lo scenario dell’offerta, in primis nelle Economie Avanzate, possano protrarsi ulteriormente: la maggior parte dei vincoli emersi nei primi cinque mesi del 2021 potranno recedere già dalla seconda metà dell’anno consentendo, quindi, un incremento della disponibilità complessiva e, in conclusione, favorire un alleggerimento dei prezzi dai massimi attuali.

In sintesi, buona parte dei recenti rincari appaiono perlopiù connessi a fattori eccezionali o, comunque, di carattere temporaneo, e destinati a rientrare già dai prossimi mesi: per questo motivo, almeno per il momento, non sembrano sussistere le premesse per anticipare l’avvio di un periodo prolungato di salita dei prezzi di tutte le materie prime, analogo a quello osservato all’inizio del millennio. Per tre dei driver dei recenti aumenti dei prezzi che appaiono indirizzati ad esaurire la loro spinta propulsiva già dalla seconda metà del 2021 ve n’è tuttavia uno che, in prospettiva, appare “qui per restare”. Ci riferiamo ai piani di transizione energetica e abbattimento delle emissioni, fulcro delle misure di stimolo implementate nelle principali economie mondiali nei mesi più recenti.

Verso un superciclo “selettivo”: i metalli come nuovo petrolio? La transizione energetica, pur rappresentando un cambiamento epocale nel paradigma delle principali economie mondiali, difficilmente potrà impattare in misura trasversale su tutte le commodity. Quello che si prospetta per i prossimi anni è un incremento sostenuto del fabbisogno di rame, alluminio, nickel, cobalto, terre rare e altri metalli utilizzati nel processo di decarbonizzazione al prezzo, tuttavia, di un declino dei consumi di quelle che attualmente rappresentano le maggiori fonti di approvvigionamento energetico: carbone innanzitutto e, di pari passo con gli sviluppi tecnologici di trasmissione e conservazione dell’energia, e con l’aumento dell’incidenza dell’auto elettrica, petrolio e gas naturale.

In conclusione, è plausibile anticipare come – a differenza della maggior parte delle materie prime – i prezzi dei metalli “attivati” dall’industria green siano destinati a permanere su livelli medi di prezzo molto più elevati rispetto al passato, in un contesto in cui al boom atteso dei consumi farà da contraltare un’offerta che, in ragione dei sotto-investimenti che hanno caratterizzato l’ultimo decennio, difficilmente potrà svilupparsi a ritmi sostenuti. Si tratta, in ogni caso, di situazioni di potenziale scarsità circoscritte a questo e a pochi altri input: abbastanza da mettere in difficoltà le imprese che utilizzano questi metalli in grandi quantitativi (se non a mettere addirittura a repentaglio il raggiungimento dei target di neutralità climatica) ma, almeno per ora, non abbastanza per avviare un ciclo rialzista di lungo periodo dei prezzi delle commodity.