L’uso crescente dell’usa e getta in plastica, il basso tasso di riciclo e la sua pervasiva dispersione nell’ambiente hanno spinto l’Unione europea ad adottare una Strategia ad hoc nel 2018 e, l’anno successivo, la direttiva Single Use Plastics (Sup). Iniziative che hanno fatto seguito all’allarme delle Nazioni Unite sull’inquinamento da plastica. Secondo l’Onu, infatti, ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei mari del globo, scomponendosi in pezzi sempre più piccoli. Questi rifiuti vengono ingeriti e bioaccumulati da pesci e fauna marina, entrando così nella catena alimentare. È questo il quadro in cui oltre due anni fa è nata la direttiva - che prevede la messa al bando dei principali oggetti in plastica monouso come piatti, posate, cannucce e bastoncini per palloncini – che vede nella data del 3 luglio 2021 il termine ultimo per il suo recepimento.
Non una sorpresa dell’ultimo minuto, dunque, come potrebbe sembrare seguendo il dibattito pubblico italiano in cui forze di opposizione e della stessa maggioranza chiedono una proroga, ma un percorso condiviso da tempo. Quando nel 2019 l’Europarlamento ha approvato in via definitiva la direttiva Single Use Plastics, infatti, lo ha fatto a larghissima maggioranza: 560 voti a favore e solo 35 contrari, e 28 astenuti.
Senza cedere alle sirene del rinvio, che farebbero andare l’Italia incontro a nuove procedure di infrazione, il governo, con il ministero della Transizione ecologica, ha predisposto il decreto legislativo per il recepimento della direttiva seguendo le indicazioni che erano arrivate dal Parlamento con la legge di delegazione europea approvata in aprile.
Gli assi del recepimento italiano sono il rispetto delle scadenze e l’esclusione dal suo campo di applicazione dei prodotti in bioplastica biodegradabile e compostabile. Su quest’ultimo punto si concentrano le maggiori distanze tra le linee guida europee, arrivate solo a fine maggio, che vorrebbero venissero inclusi nella direttiva anche gli oggetti monouso in bioplasica, e l’orientamento italiano. Credo sia giusta la battaglia portata avanti dal governo per esentare le bioplastiche biodegradabili e compostabili dalla direttiva Sup. Una differente impostazione rispetto all’Ue che deriva da quello che è a tutti gli effetti un primato tecnologico e normativo italiano: siamo il Paese più avanzato nella raccolta differenziata della frazione organica, che è la destinazione finale di queste plastiche ed è parte integrante dell’economia circolare. E siamo anche il Paese che ha inventato e investito sulle bioplastiche come alternativa sostenibile alla plastica e che possiede il brevetto per realizzare bottiglie in Pet al 100% riciclato. Il recepimento che si sta delineando per l’Italia è quindi un modo per riconoscere le specificità del nostro modello nazionale.
Siamo stati i primi a mettere al bando gli shopper e i cotton-fioc in plastica come le microplastiche nei cosmetici. Misure in parte riprese dalla direttiva e che ci hanno permesso, ad esempio, di ridurre i sacchetti per l’asporto merci di quasi il 60% dal 2010 al 2020 e di dare slancio all'industria delle bioplastiche, una filiera caratterizzata da alto tasso di innovazione e sostenibilità che oggi impiega 2.780 addetti.
Il nostro divieto sugli shopper ha sorpreso l’Europa, ma alla fine è stato riconosciuto valido. Anche in questo caso noi siamo più avanti e come già accaduto per gli shopper l'Ue ci seguirà ed è già previsto che si continueranno a rivedere le linee guida in funzione delle nuove soluzioni tecnologiche.
Credo, inoltre, sarebbe opportuno mantenere la distinzione tra plastica tradizionale e bioplastica anche per i prodotti in carta e cellulosa ricoperti da un film plastico, questo sì un punto da migliorare del recepimento italiano. E andrebbe anche data la giusta attenzione alle materie prime utilizzate, riconoscendo una forma di premialità per quelle rinnovabili made in Italy.
Resta però il fatto che abbiamo lasciato indietro le aziende della plastica tradizionale. Una miopia che la politica e il Paese non possono più permettersi. Per incentivare le produzioni tecnologicamente più avanzate e sostenibili bisogna correre ai ripari e sfruttare i fondi che l’ultimo scostamento di bilancio mette a disposizione del decreto Sostegni bis. Proprio per accompagnare nella transizione alla sostenibilità le aziende della chimica, ho depositato un emendamento al decreto Sostegni bis che prevede finanziamenti specifici per incentivare la conversione del settore dei trasformatori di materie plastiche verso l’utilizzo di plastica biodegradabile e compostabile e o di plastica proveniente dalla filiera del riciclo. Il testo, sottoscritto anche dai colleghi Cecconi, Fioramonti, Fusacchia e Lombardo di FacciamoECO, prevede che le aziende possano accedere a finanziamenti e contributi a tasso agevolato per gli investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali, attrezzature, hardware e software finalizzati alla conversione. I finanziamenti sono accordati per un valore massimo di 5 milioni a impresa, hanno durata massima di 10 anni e possono coprire il 100 per cento dei costi ammissibili.
L’emendamento mette a disposizione 20 milioni di euro per il 2021, 40 milioni di euro sia per il 2022 che per il 2023, 30 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, e 17 milioni di euro per gli anni 2029 e 2030. Prevede, inoltre, una razionalizzazione e stabilizzazione delle agevolazioni, estendendo la possibilità di beneficiare dei finanziamenti previsti da questa misura all’intera platea delle aziende che hanno i requisiti per Impresa 4.0 e non solo alle micro, piccole e medie imprese come originariamente previsto dalla Nuova Sabatini.
E per le aziende che scommettono sulla riconversione produttiva c’è anche la possibilità di usufruire dell’esclusione, per 10 anni, dall’imposizione del reddito di impresa dell’intero volume degli investimenti effettuati.
Approvarlo è una grande occasione per imboccare la strada della giusta transizione, premiando l'innovazione tecnologica, la sostenibilità e il lavoro di qualità.
*L’autrice è deputata di FacciamoECO