Da una parte il giro di vite sulla plastica, in particolare quella usa e getta, dall’altra la ricerca non sempre lineare di uno sviluppo sostenibile da parte del legislatore nazionale e comunitario. Nel mezzo Novamont, azienda leader nel settore delle bioplastiche e dei biochemicals, che promuove un modello di bioeconomia basato sull’uso efficiente delle risorse rinnovabili e sulla rigenerazione territoriale. La produzione di bioplastiche biodegradabili e biocompostabili, oltre che essere un chiaro esempio di circolarità è un vanto tutto italiano, che deve essere rivendicato al pari della guerra alle plastiche tradizionali. Ne abbiamo parlato con Andrea di Stefano, Responsabile progetti speciali di Novamont.

Economia circolare: puntare a un nuovo modello di sviluppo, diverso da quello tradizionale produzione-consumo-smaltimento è una scelta non più procrastinabile. Quale è il potenziale economico, sociale, ambientale e di decarbonizzazione legato all’economia circolare?

Potenzialmente un approccio circolare può essere una chiave di volta strategica, in primis dal punto di vista industriale. Se si riesce a ripensare le filiere produttive partendo dal design sistemico è possibile esaminare tutti i fattori in gioco e ridisegnarli seguendo alcuni principi basilari:

1) Nessuno scarto. Tutto deve essere riciclabile e riutilizzabile.

2) Ridurre al massimo gli input esterni (privilegiare energia rinnovabile e autoprodotta, materie prime ottenute da riutilizzo e scarti utilizzando tutta l’innovazione possibile)

3) Analizzare ogni fase del ciclo per individuare i fattori che contribuiscono alla carbon footprint del sistema

Plastica monouso: Entro il 3 luglio il governo italiano è chiamato ad approvare il decreto legislativo di recepimento della direttiva europea SUP (Single Use Plastics), adottata due anni fa con l’obiettivo di combattere l’inquinamento derivante dalla dispersione degli oggetti di plastica nell’ambiente. Punti di forza e criticità di una legge considerata un passo storico nella lotta all’inquinamento, specie dei mari, dove finisce buona parte della plastica consumata.

La maggiore criticità è l’assenza di una visione sistemica che ha portato un materiale sul banco degli imputati senza una reale valutazione d’impatto. Tutte le ricerche sul marine litter evidenziano che in testa agli items si trovano alcune applicazioni delle plastiche monouso ma non tutte sono rientrate nel campo di applicazione della SUP. È come se il legislatore avesse individuato delle icone, senza fare alcuna analisi sulle alternative. Molte definizioni sono prive di solidità: cosa significa polimeri naturali? Costituisce invece un punto di forza, aver evidenziato il problema del monouso.

Bioplastiche biodegradabili e compostabili. I polimeri biodegradabili e compostabili sono un giusto compromesso fra praticità di utilizzo e sostenibilità nonché esempio di circolarità. Ci vuole spiegare di cosa si tratta?

Si tratta di una famiglia di materiali che è in grado di disintegrarsi in un ciclo di compostaggio. Anche se non sono e non devono essere un invito al littering! Nessun prodotto deve essere abbandonato nell’ambiente. La capacità di biodegradazione deve essere una funzione: per esempio il film per pacciamatura si biodegrada completamente in suolo perché al termine della propria vita si disintegra e trasforma in terriccio.

Cosa aspettarsi per il futuro? Sappiamo quanto importante sia investire in risorse e sviluppo per potenziare le tecnologie sostenibili. Quali prospettive si intravedono per i prossimi anni nel settore delle bioplastiche e più in generale in materia di economia circolare?

Se l’approccio è corretto, cioè se si pensa in modo realmente circolare, le prospettive sono molto importanti, anche alla luce di altri fattori che sono destinati a cambiare alcuni paradigmi economici: shortage di materie prime, carbon tax, divieti.