L’esigenza di programmazione di un piano di investimenti legati alla presentazione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) crea un’opportunità importante per incrementare sensibilmente gli investimenti anche nel settore delle Utilities. Soggetti industriali di provata affidabilità che possono dare una spinta a colmare il gap infrastrutturale in particolare quello tra nord e sud del Paese nonché migliorare significativamente la crescita economica ed occupazionale.
Il piano presentato da Utilitalia - la Federazione che raggruppa circa 450 imprese che forniscono i servizi idrici all’80% della popolazione, i servizi ambientali al 55%, la distribuzione gas ad oltre il 30% e servizi di energia elettrica al 15% - nel corso dell’audizione presso le Commissioni riunite Bilancio, Ambiente e Attività produttive della Camera dei Deputati prevede possibili ricadute sul Pil (+1,48%) e sul lavoro con 285mila nuovi occupati.
Secondo il piano, affinché i servizi pubblici siano centrali nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sarebbero necessari 25 miliardi di euro. Di questi, 24,9 miliardi sono per la transizione verde e 142 milioni per la digitalizzazione. Il settore nel quale si concentra il maggior numero di progetti è quello idrico (55%, per un valore di circa 14 miliardi), seguito da quello energetico (27%, circa 7 miliardi) e da quello ambientale (17%, circa 4 miliardi).
Distribuzione geografia e per settori degli investimenti previsti dal piano di Utilitalia
Fonte: Elaborazione Utilitalia su dati delle Associate
Nel campo idrico, si va dall’ottimizzazione degli approvvigionamenti alla depurazione efficiente, fino alla riduzione delle perdite di rete e al contrasto al dissesto idrogeologico; in quello energetico si va dall’efficientamento energetico degli edifici al teleriscaldamento, dalle smart grid fino allo sviluppo delle energy community; in quello ambientale si punta ad accelerare la raccolta differenziata, sull’ampliamento della tariffa puntuale, sulla realizzazione di nuovi impianti per il riciclo e sulla valorizzazione dei fanghi di depurazione.
In particolare, si riscontra la necessità di una riforma del servizio idrico nazionale, ad oggi caratterizzato da una netta contrapposizione Centro-Nord/Sud: se nelle regioni centro-settentrionali si assiste alla presenza, in quasi tutti gli ATO, di operatori industriali capaci di erogare servizi di qualità e di garantire la realizzazione dei piani di investimento approvati dalle autorità locali, nel Mezzogiorno la situazione è diametralmente opposta. A fronte di un fabbisogno stimato di investimenti in infrastrutture idriche pari a circa 80-90 euro per abitante/anno, infatti, la media nazionale è di circa 40 euro, mentre nel Sud si scende a circa 26 euro. Occorre recuperare rapidamente il ritardo accumulato nelle Regioni meridionali, superando le gestioni in economia, rilanciando gli investimenti e promuovendo la strutturazione di un servizio di stampo industriale già orientato al servizio idrico integrato.
È necessario assicurare un forte indirizzo statale, capace di garantire la rapidità e l’efficacia del processo di evoluzione – anche utilizzando, laddove necessario, i poteri sostitutivi già previsti dalla normativa quadro e da quella settoriale, onde evitare di perdere le opportunità derivanti dal PNRR che ha previsto appositi stanziamenti anche in tale comparto.
In primo luogo, vanno individuati gli investimenti prioritari, partendo dagli interventi necessari a superare le infrazioni comunitarie per la depurazione, effettuare una ricognizione delle opere esistenti e strutturare un serio piano d’ambito. In seconda battuta va rivista, ove necessario, la delimitazione territoriale delle ATO, magari ripensando l’attuale suddivisione in ATO dei territori in cui la riforma non è stata attuata e valutando quindi anche la possibilità di stabilire ex lege statale ATO regionali, più funzionali ad una gestione unitaria del servizio nel meridione (come dimostrano le esperienze positive della Puglia, della Basilicata e della Sardegna). Da ultimo andrebbe affidata la realizzazione (progettazione-costruzione) e la gestione delle infrastrutture e del servizio, ricorrendo, ove necessario, a diverse modalità attuative a seconda della presenza di operatori industriali - pur se non affidatari del servizio nell’intero ambito (ad esempio salvaguardati)- e degli interventi da realizzare (numerosità/urgenza), etc. In tal senso, in ragione del grado di “arretratezza” nell’implementazione della riforma, si ritiene necessario prevedere la possibilità che i vari soggetti coinvolti possano utilizzare una struttura tecnica, centrale, di supporto (ad es. Invitalia).
Per quanto riguarda i rifiuti, è fondamentale raggiungere l’autosufficienza nazionale e regionale nel ciclo dei rifiuti: implementando il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti (PNGR) per superare la frammentazione e garantire l’adeguamento della pianificazione regionale alle reali necessità impiantistiche del Paese ed inserendo gli interventi prioritari così individuati nel percorso accelerato di realizzazione già previsto dal c.d. decreto «sblocca cantieri». L’emergenza causata dal virus Sars Cov2 ha fatto emergere la strutturale fragilità impiantistica del settore di gestione dei rifiuti in Italia e l’estrema eterogeneità tra regioni del nord e del sud del Paese, sia con riferimento alla filiera di gestione del rifiuto organico, sia di quella di gestione del rifiuto urbano indifferenziato, entrambe determinanti per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalle direttive del pacchetto economia circolare entro il 2035.
Oltre alle proposte di riforma del servizio idrico nazionale e del settore dei rifiuti, Utilitalia propone inoltre la promozione del consolidamento industriale dei comparti di pubblica utilità, incentivi all’efficienza delle imprese e una semplificazione dei procedimenti autorizzativi.
“La transizione ecologica – ha evidenziato la presidente di Utilitalia, Michaela Castelli - ha bisogno di un piano dettagliato e di una serie di riforme, perché le risorse da sole non bastano: serve una forte semplificazione normativa, soprattutto in fase di iter autorizzativi e snellimento dei tempi delle procedure, e un impegno non più differibile sul Meridione, dove è indispensabile favorire un approccio industriale ai servizi pubblici”.