L’emendamento di recente approvato dall’Europarlamento per portare l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti al 60% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 ha spostato ancora più in alto l’asticella green dell’Unione Europea rispetto alla già ambiziosa proposta della Commissione. Quest’ultima, solo lo scorso 17 settembre, aveva fissato un più contenuto target del 55% nell’ambito del 2030 Climate Target Plan, comunque significativamente più sfidante del valore del 40% previsto dalle attuali disposizioni europee.
Al netto della decisione finale che verrà, la volontà di dar vita a un Green Deal europeo e di farne uno strumento di ripartenza dopo l’emergenza economica determinata dalla pandemia e dalle misure di contenimento del COVID-19 sta portando a un rafforzamento di quelle azioni di politica e regolazione energetico-ambientale volte a conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Aspetto, quest’ultimo, che contraddistingue l’Unione Europea nel panorama globale.
Per raggiungere questi obiettivi sarà necessario un particolare sforzo da parte del sistema energetico che attualmente contribuisce per circa il 75% alle emissioni di gas climalteranti, come stima la Commissione nel suo Impact Assessment.
La decarbonizzazione del sistema energetico europeo auspicata dalla Commissione richiederebbe, in particolare, il superamento dell’obiettivo del 32% di fonti rinnovabili nei consumi lordi di energia dell’Unione individuato dallo scenario base a politiche correnti, opportunamente integrato per tenere conto degli effetti della crisi legata al COVID-19. Una riduzione delle emissioni del 55% al 2030 necessita, infatti, di accrescere il contributo delle fonti rinnovabili in una forchetta compresa tra il 37,5% e il 40,4% a seconda dei differenti scenari simulati. Il settore elettrico sarebbe oggetto della trasformazione più radicale secondo le ipotesi della Commissione, con una quota di fonti rinnovabili che arriverebbe al 2030 ad oltre il 60% sul totale dei consumi elettrici, con punte del 67% nello scenario più aggressivo per l’effetto combinato dell’introduzione di politiche sempre più ambiziose anche nei comparti dell’efficienza energetica e nei trasporti e di un incremento dei prezzi del carbonio. In un simile quadro, le fonti rinnovabili sarebbero responsabili di circa l’85% della generazione elettrica nel 2050 con un peso sensibilmente maggiore dell’eolico e del solare fotovoltaico rispetto a idroelettrico e bioenergie: perché questo sia possibile la crescita delle rinnovabili elettriche dovrebbe essere del 3% annuo più elevata rispetto al trend 2010-2018.
Il conseguimento degli obiettivi complessivi di neutralità climatica dell’Unione Europea richiede, tuttavia, una significativa mole di investimenti. Se si considerano tutti gli interventi potenziali, ad esclusione dei trasporti, gli uffici della Commissione europea stimano investimenti addizionali - rispetto allo scenario base di 336 miliardi all’anno nel periodo 2021-2030- compresi i 40 e i 120 miliardi di euro all’anno a seconda degli scenari considerati: valori che porterebbero l’Unione europea ad investire tra il 2,5 e il 3% del PIL annuale nella trasformazione energetica verde.
Di questi investimenti, una cifra compresa tra i 100 e 120 miliardi di euro l’anno sarebbe dedicata in parti pressoché uguali alla realizzazione e all’adeguamento delle reti di trasmissione e distribuzione e degli impianti di generazione e, di conseguenza, concentrata sulle fonti rinnovabili e sulla loro integrazione nel sistema energetico, nella prospettiva di aumentarne progressivamente il contributo nella generazione elettrica.
Come chiaramente specificato, la Commissione punta a una significativa elettrificazione del sistema energetico basata sulla generazione da fonti rinnovabili, rafforzando i due trend di crescita del consumo di elettricità in ogni settore e della produzione elettrica da fonti non fossili che ha caratterizzato l’ultimo decennio, soprattutto in Europa. Nella comunicazione “Un traguardo climatico 2030 più ambizioso per l'Europa”, infatti, la Commissione guarda al ruolo dell’energia elettrica da rinnovabili anche nel settore del riscaldamento e del raffrescamento, oltre che nei trasporti, richiamando peraltro alla necessità di una nuova pianificazione infrastrutturale.
Quanto al nostro Paese, il rilancio degli obiettivi comunitari di decarbonizzazione del sistema energetico apre necessariamente ad una nuova revisione dei target definiti nell’ambito della Direttiva RED II e del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), tenuto anche conto dei mutamenti indotti dalla crisi legata al COVID-19 sia dal lato della domanda che dell’offerta. Con riferimento all’intero sistema energetico nazionale, il PNIEC stimava un fabbisogno annuo di investimento superiore a 85 miliardi di euro nel periodo 2017-2030, destinato con ogni probabilità ad aumentare in ragione degli obiettivi maggiormente ambiziosi a livello europeo.
La rilevanza dello sforzo necessario per un’effettiva decarbonizzazione dell’economia rende ancora più evidente la stretta connessione con l’urgenza di rilanciare le condizioni di crescita e di benessere degli individui, largamente compromesse dalla crisi in corso. Gli errori commessi nel recente passato, con un ammontare di risorse investite relative agli incentivi erogati e già impegnati nell’ordine dei 250 miliardi di euro, mostrano come la relazione fra investimenti green e crescita economica non vada considerata affatto scontata e come i benefici connessi alla trasformazione energetica possano essere colti dai singoli territori solo attraverso politiche industriali che leghino i target di riduzione delle emissioni a cambiamenti nella produzione di tecnologie e nello sviluppo di occupazione ad alto valore aggiunto in questi settori, ovviamente accompagnati dal supporto alla R&S negli ambiti più di frontiera.
L’impatto dell’elettrificazione massiva del nostro sistema energetico, con la sempre maggiore penetrazione delle rinnovabili estesa a diversi settori trasporti inclusi, è potenzialmente enorme e richiede un approccio sempre più olistico e intersettoriale. Ma probabilmente richiede anche soggetti industriali autonomi e in grado di fronteggiare questi obiettivi ambiziosi, sia per capacità tecnologica che per dimensione, e di interloquire alla pari con gli altri attori dei settori coinvolti: da chiedersi se, al pari di altri momenti cruciali per lo sviluppo del sistema energetico nazionale e non solo, non sia venuto il momento di riflettere su un soggetto dotato delle competenze e delle risorse, economiche ed umane, cui attribuire la mission di gestire la trasformazione in atto.