Lo scorso marzo, sono stati approvati, in via preliminare, quattro decreti legislativi che recepiscono le Direttive europee del Pacchetto Economia Circolare. Le novità di rilievo sono numerose. Analizziamo le principali.

Innanzitutto, con la nuova definizione di “rifiuto urbano”, tutti i rifiuti simili per qualità agli urbani sono destinati ad essere classificati come urbani, nell’intero territorio nazionale, superando la logica attuale dell’assimilazione, basata su criteri quali le superfici e la tipologia di attività o di rifiuto. L’aumento di produzione dei rifiuti urbani potrebbe essere del 25-30% (8 milioni di tonnellate aggiuntive), per un totale prodotto di 38 milioni di tonnellate/anno. Questo scenario porterebbe ad un incremento dei costi di gestione dei rifiuti urbani nei territori in deficit e, viceversa, ad una riduzione nei territori provvisti di impianti con capacità superiori al fabbisogno. Inoltre, la riclassificazione dei “rifiuti derivanti dalle attività di recupero e smaltimento di rifiuti” tra i rifiuti urbani se da un lato è coerente con il desiderio di responsabilizzare le Regioni in sede di pianificazione, dall'altro espone i territori sprovvisti di impianti al rischio di emergenze-rifiuti, perché li priva della possibilità del soccorso sinora offerto dal mercato

In secondo luogo, arriva finalmente un Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti, i cui elementi principali sono visibili nella grafica sottostante.

Il programma nazionale di gestione dei rifiuti

Fonte: Elaborazioni Laboratorio Ref Ricerche

Si tratta della tanto auspicata cabina di regia che dovrà dettare la strategia nazionale per far fronte alle molteplici criticità che attanagliano il settore, come evidenziato anche dall’emergenza COVID-19. In particolare, il passivo da 2,1 milioni di tonnellate di rifiuti da avviare a recupero energetico o smaltimento tra rifiuti urbani e speciali. Ma anche per traguardare gli sfidanti obiettivi ambientali di transizione ecologica dei prossimi anni.

I recenti recepimenti hanno anche conseguenze su quella che viene definita responsabilità estesa del produttore (EPR). Vale a dire, quell’approccio di politica ambientale nel quale il produttore di un bene è responsabile anche della fase post-consumo, ovvero della sua gestione una volta che il manufatto è divenuto un rifiuto. L’EPR italiana, così recepita, mostra diversi elementi di novità -  visibili nella grafica che segue - e può rappresentare davvero un punto di svolta per l’applicazione degli schemi EPR in Italia.

La nuova responsabilità estesa del produttore

Fonte: Laboratorio Ref Ricerche

Il nuovo Art.181 del TUA (Testo Unico Ambientale) recepisce poi gli ambiziosi target sul riciclaggio. Nello specifico, entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti provenienti dai segmenti di carta, metalli, plastica e vetro, siano essi di origine urbana o assimilata, deve raggiungere il 50% in termini di peso; la quota sale al 70% per la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale. Gli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani vedranno una crescita di almeno il 55% entro il 2025, in misura non inferiore al 60% entro il 2030 e di un minimo del 65% entro il 2035.

I target su preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

Nella sua Memoria per l'audizione sul Pacchetto Economia Circolare, ARERA riporta la necessità di raggiungere tali obiettivi attraverso la valorizzazione di logiche industriali, in un’ottica di efficienza e adeguatezza tecnologica, suggerendo maggiore attenzione ai percorsi di liberalizzazione delle attività di riciclo, quale leva per promuovere efficienza e sostenibilità. Tale richiamo va letto alla luce del quadro non chiaro di confine tra diritti di privativa e mercato che caratterizza, ad esempio, il recupero della frazione organica, con perimetri degli affidamenti talvolta non coerenti con le norme di legge e caratterizzati da scelte impiantistiche discutibili, ispirate al desiderio di cogliere opportunità di breve periodo piuttosto che obiettivi di natura industriale.

In materia di End of Waste (EoW), l’atto di recepimento ha fatto segnare l’ennesimo rinvio, nonostante le criticità della materia siano di strettissima attualità. La novità è la rimozione del riferimento alla preparazione per il riutilizzo dalla normativa EoW. Una scelta che si giustifica unicamente nell’ottica di dedicare una disciplina normativa ad hoc ad un’attività, quella della preparazione per il riutilizzo, considerata di primaria importanza dalla gerarchia dei rifiuti, diversa rispetto alla cessazione della qualifica di rifiuto. Al pari della preparazione per il riutilizzo, anche per la disciplina dell’EoW è auspicabile un rapido intervento volto a semplificare il quadro normativo e a permettere uno sviluppo di questi processi anche in Italia. Nel nostro Paese, infatti, sono stati approvati appena 3 regolamenti EoW, afferenti a determinate tipologie di Combustibili Solidi Secondari (CSS), al conglomerato bituminoso e ai Prodotti Assorbenti per la Persona (PAP). A questi, si aggiungono quello relativo agli Pneumatici Fuori Uso (PFU), in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, e quello per i rifiuti di carta e cartone, che ha già ottenuto il parere favorevole del Consiglio di Stato, oltre ai regolamenti UE che disciplinano i rottami di ferro, acciaio e alluminio, quelli vetrosi e di rame.

È auspicabile un chiaro sostegno alle filiere del recupero, con l’approvazione in tempi rapidi di decreti EoW coerenti con le potenzialità presenti, a partire da quelle dei materiali da costruzione e demolizione. Si tratta di un passaggio indispensabile per il raggiungimento dei target UE e va di pari passo con il sostegno al mercato delle materie prime seconde, per assicurare uno sbocco alle filiere del riciclo, con il completamento della governance - superando l’attuale frammentazione gestionale - e con un approccio “circolare” per alcuni flussi “critici” di rifiuto, come i fanghi da depurazione