Come noto il 31 dicembre 2019, l'OMS China Country Office è stato informato della presenza di casi di polmonite di eziologia sconosciuta, per un totale di 44 pazienti, rilevati nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Con il diffondersi dell’epidemia in Italia, a partire dal 31 gennaio il Governo e diverse Regioni hanno emanato provvedimenti via via più severi per limitare la diffusione del contagio tra la popolazione. Questa situazione di riduzione delle principali attività produttive e commerciali, unita alla riduzione dei flussi di traffico di veicoli privati, del trasporto pubblico e del trasporto delle merci su strada, via mare e del trasporto aereo è stato un evento del tutto inusuale per il nostro paese.
In un contesto così drammatico, scandito dal rapido succedersi degli esiti sanitari, e dalla febbrile ricerca di soluzioni atte almeno a contenere e gestire l’afflusso dei pazienti nelle strutture di cura, il tema dell’inquinamento atmosferico è stato al centro dell’attenzione principalmente per due motivi. Il primo, riguarda le ipotesi di possibili relazioni tra esposizione all’inquinamento atmosferico e suscettibilità all’infezione, oggi oggetto di diversi studi e approfondimento da parte della comunità scientifica internazionale.
Il secondo legato al fatto che, oggettivamente, la situazione che si è venuta a creare, ha stimolato l’interesse di addetti ai lavori e non, riguardo agli effetti che una riduzione estesa a diverse sorgenti antropiche e generalizzata sul territorio nazionale, possa avere sulla qualità dell’aria. Tale interesse non rappresenta una mera curiosità. In realtà l’Italia, come gli altri stati membri dell’Unione Europea, è impegnata nell’intraprendere azioni efficaci atte a ridurre le emissioni dei principali inquinanti ed in particolare quelle del materiale particolato e dei suoi precursori (ammoniaca, composti organici volatili, ossidi di azoto).
La relazione tra riduzione delle emissioni (“la quantità” di un dato inquinante rilasciato in atmosfera in un dato periodo di tempo in una data area) e la corrispondente riduzione della concentrazione (la quantità di un certo inquinante rilevabile in un dato volume d’aria in un dato luogo e momento o periodo) non è semplice né intuitiva.
Gli inquinanti emessi in atmosfera dalle varie sorgenti si diluiscono e vengono trasportati a medie e lunghe distanze. Alcuni di essi reagiscono chimicamente tra loro per formare nuovi inquinanti e tali reazioni possono essere favorite o sfavorite dalle diverse condizioni meteo-climatiche.
Il nostro paese è caratterizzato da un’orografia complessa e possono essere individuate diverse zone climatiche, dove, a seconda del periodo stagionale, si possono verificare condizioni molto favorevoli all’accumulo e alla formazione in atmosfera degli inquinanti, come nel caso ad esempio del bacino padano e di alcune zone del centro-sud del Lazio nel periodo invernale, a condizioni che generalmente favoriscono viceversa la dispersione e riducono la possibilità di formazione di inquinanti secondari come nel caso delle zone costiere.
Il periodo di marzo è solitamente meno favorevole all'accumulo degli inquinanti rispetto ai mesi di gennaio e febbraio, quando si verificano spesso condizioni di inversione termica a bassa quota e stabilità atmosferica con valori elevati dei principali inquinanti, di conseguenza il confronto dei livelli osservati nel periodo del lockdown va fatto, in prima approssimazione, con riferimento alle osservazioni degli anni precedenti nello stesso periodo tardo invernale-primaverile.
Sulla base delle prime osservazioni è emerso un primo dato macroscopico ed esteso all’intera penisola: la riduzione delle concentrazioni degli ossidi di azoto (monossido, che è la forma prevalente emessa direttamente) e biossido, in parte emesso direttamente e in parte formato in atmosfera) del monossido di carbonio, e del benzene.
Tale riduzione, attestata per il biossido di azoto mediamente intorno al 40%, andava, nel periodo osservato, da pochi punti percentuali a valori superiori al 70% in alcuni siti localizzati in prossimità di importanti arterie stradali.
Durante il periodo di lockdown, si sono osservate riduzioni molto significative dei flussi di traffico che hanno raggiunto, su base nazionale, a partire dalla metà del mese di marzo circa il 70% per i veicoli leggeri e il 38% per i pesanti, per poi tornare progressivamente ai livelli precedenti nella prima metà di giugno.
Per quanto riguarda i trasporti su strada i consumi di benzina, gasolio, e GPL sono diminuiti a marzo rispettivamente del 52%, 41% e 53% e ad aprile del 73%, 60% e 73% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Poiché il trasporto su strada è la principale fonte antropica di ossidi di azoto (su base nazionale oltre il 50% delle emissioni è attribuibile al traffico veicolare), tale riduzione spiega in larga parte quanto osservato in merito alle concentrazioni di biossido di azoto. Va comunque ricordato che anche di fronte a una riduzione così ampia, il confronto con periodi analoghi di anni precedenti rimane affetto da ampia incertezza dovuta alla variabilità delle condizioni meteorologiche che si possono verificare tra un anno e l'altro.
Meno chiara è la situazione relativa al materiale particolato (PM10, PM2,5). Occorre ricordare in questo caso che si tratta di una miscela complessa di particelle solide e liquide disperse in atmosfera.
Le emissioni allo scarico dei veicoli rilasciano direttamente in atmosfera particelle carboniose come residuo della combustione. Queste costituiscono una delle macrocomponenti del materiale particolato, il carbonio elementare. Alcune sostanze gassose (gli ossidi di azoto, gli ossidi di zolfo – oggi in quantità praticamente trascurabile - i composti organici volatili e l’ammoniaca) emesse anch’esse allo scarico contribuiscono alle concentrazioni osservate di PM10 e PM2.5 come precursori del cosiddetto particolato secondario (da esse si formano in atmosfera, attraverso una serie di reazioni chimiche, particelle che costituiscono altre tre macrocomponenti del materiale particolato: il carbonio organico, i nitrati e i solfati d’ammonio). Qualsiasi altro tipo di combustione che abbia origine dall’uso di combustibili fossili rilascia in atmosfera le stesse sostanze che vanno a formare le medesime macrocomponenti.
Anche la combustione della biomassa legnosa è rilevante in particolare per le macrocomponenti di carbonio elementare e carbonio organico con una spiccata variabilità stagionale e regionale (in relazione all’uso più o meno intensivo). Le attività agricole e zootecniche possono anch’esse contribuire alle macrocomponenti citate, qualora vengano svolte attività di abbruciamento di materiale vegetale derivante dalle normali attività agricole e selvicolturali (oggi vietate nel periodo invernale nelle zone, come il bacino padano, a maggior rischio di superamento dei valori limite di legge per il PM10), ma soprattutto sono la fonte assolutamente prevalente di emissioni di ammoniaca. Vanno poi ricordate altre tre macrocomponenti del particolato, che hanno diversa rilevanza in funzione della stagione e della zona geografica: due sono di origine naturale, l’aerosol marino e le particelle che originano da trasporto a lunga distanza di sabbie desertiche, la terza, componente terrigena o di risollevamento dal suolo, in parte ha origine naturale in parte può riportare in dispersione particelle originariamente emesse dai veicoli per fenomeni di attrito, o prodotte da attività di costruzione, cantieristiche o rilasciate da attività di estrazione.
Fatte queste premesse è evidente che occorre valutare oltre alla riduzione delle emissioni da traffico già accennata, anche le sorgenti che possono contribuire alle concentrazioni di particolato, diverse dal traffico veicolare. Si può osservare che nei mesi di marzo e aprile è stata registrata, rispetto allo stesso mese del 2019, una riduzione della domanda di energia elettrica rispettivamente pari al 10,2% e 17,2% e di conseguenza una riduzione della produzione di energia termoelettrica pari al 16% e 21,4% anche a fronte di un incremento della produzione da fonti rinnovabili in particolare idrica e fotovoltaica.
La produzione industriale è diminuita a marzo del 28.2 % in confronto a marzo 2019.
Per quanto riguarda il riscaldamento civile non si sono osservate particolari riduzioni, anzi da alcune stime preliminari in alcune zone, anche a causa di un mese di marzo mediamente più freddo del solito, sembra possibile che ci sia stato anche in alcune zone un moderato aumento delle emissioni rispetto alla media del periodo (ARPA VENETO). A livello nazionale infatti, sulla base dei dati riportati da SNAM, nel mese di marzo si è registrato un incremento del 4,6% dei consumi di gas nella rete di distribuzione urbana rispetto allo stesso mese dell’anno precedente registrando però nei mesi di aprile e maggio una riduzione in media circa del 30%. Inoltre, la situazione di lockdown non ha influito in modo significativo sulle emissioni di ammoniaca prodotte dalle attività agricole e zootecniche.
Infine, occorre ricordare c'è stato un episodio piuttosto importante di trasporto di sabbie dal Caucaso verso la fine del mese di marzo, che ha determinato alcuni giorni di livelli di PM10 particolarmente elevati rispetto alle medie del periodo.
L’insieme di queste considerazioni può costituire una preliminare motivazione alla minore, e non significativa in alcuni casi, riduzione dei livelli di PM10 e PM2.5 registrata nel periodo di lockdown.
È evidente dunque che la semplice osservazione dei livelli di PM10 e PM2.5 non può essere messa in relazione in modo semplice con la riduzione delle sorgenti, ma occorre calcolare delle stime credibili della riduzione delle emissioni dirette e di quelle dei precursori durante il periodo, ed utilizzare modelli numerici e metodi statistici per pervenire a stime quantitative della eventuale riduzione della concentrazione (e della sua variabilità spaziale e temporale) attribuibile alle misure intraprese durante il periodo in osservazione.
Certamente uno studio sistematico, che analizzi l’intero periodo, con l'uso di tecniche modellistiche e statistiche di normalizzazione meteorologica, permetterà di "isolare" e quantificare l'effetto del lockdown anche per il materiale particolato e di fornire più in generale stime sufficientemente accurate.
Il Progetto PULVIRUS che nasce dall’alleanza scientifica fra ENEA, Istituto Superiore di Sanità (ISS) e Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA, composto da ISPRA e dalle Agenzie Regionali del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), ha previsto alcune linee di attività dedicate ad approfondire le tematiche accennate in questo articolo (basate su prime stime del tutto preliminari), definendo protocolli scientifici verificabili, ed estendendo l’analisi in prima battuta all’intero periodo compreso tra la fine di febbraio e la fine di maggio, per poi estenderla all’intero anno 2020, con l’obiettivo di fornire a istituzioni e cittadini informazioni attendibili utili per la migliore comprensione dei fenomeni.
Giorgio Cattani e Riccardo De Lauretis Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA)