L’uccisione da parte degli Stati Uniti del generale iraniano Qassem Suleimani e l’acuirsi della crisi in Libia dopo l'intervento militare della Turchia hanno visto il 2020 aprirsi con una fase di acute tensioni internazionali che potrebbe riverberarsi sulla stabilità dei mercati energetici internazionali. Quali saranno le conseguenze di un’escalation nel Medio Oriente e Nord Africa sul mercato del gas?

La valenza geo-economica delle tensioni nel Golfo

Le conseguenze geopolitiche della crisi tra Stati Uniti e Iran non si limitano esclusivamente alla sicurezza del Golfo Persico e della regione mediorientale, ma hanno un riverbero profondo anche nei confronti della continuità dei flussi commerciali e degli approvvigionamenti energetici, dai cui dipende la stabilità dei mercati e dell’economia mondiali. Un eventuale conflitto tra i due paesi, infatti, potrebbe avere serie ripercussioni sul transito delle petroliere e delle metaniere attraverso lo stretto di Hormuz, da cui passano annualmente un terzo del petrolio via mare e un quarto del gas naturale liquefatto (GNL) distribuito a livello mondiale.

Nel caso del mercato del gas – così come del greggio, l’eventuale chiusura dello stretto sarebbe lo scenario peggiore, dato che il primo esportatore al mondo di GNL, il Qatar, si affaccia proprio su quelle acque, condivide il pozzo di South/North Pars con l’Iran e si troverebbe costretto a sospendere la principale catena di rifornimento di gas e derivati che passa via mare. L’Iran, che ha più volte minacciato la sicurezza degli approvvigionamenti energetici nell’area ed è ritenuto colpevole degli attacchi ad alcune petroliere e due installazioni petrolifere saudite nel corso dell’estate scorsa, potrebbe replicare con maggiore forza minando le acque di Hormuz o colpendo su vasta scala i convogli marittimi.

Se ciò avvenisse, potrebbe verificarsi un aumento dei prezzi spot relativi al gas liquefatto, dato che il mercato non sarebbe capace di sopperire a lungo ad un tale ammanco. Questo riguarderebbe soprattutto le piazze di scambio asiatiche, in virtù della forte dipendenza di Giappone, Corea del Sud, India e Cina dal GNL qatariota, ma non solo. Grazie al prezzo competitivo, infatti, il gas liquefatto esportato dal Qatar è destinato anche a diversi paesi europei, tra cui l’Italia, che nel 2019 ha acquistato da questo paese l’11% del volume totale di gas naturale importato nel 2019 (Elaborazione ISPI sulla base di dati SNAM e (BP).

Nel contempo, va anche considerato il legame a doppio filo tra i prezzi del petrolio e quelli del gas. In caso di escalation, infatti, il probabile aumento del costo al barile farebbe salire il prezzo dei contratti di fornitura GNL indicizzati al valore del greggio Brent, maggiormente sensibile alle tensioni internazionali.

Nel complesso, tuttavia, una serie di fattori sembrano scongiurare uno shock dei prezzi relativi al gas. In primis il grande surplus di GNL sul mercato, specie quello europeo, che permetterebbe di sopperire all’interruzione dei rifornimenti dal Qatar. In secondo luogo, la possibilità di un conflitto appare oggi più lontana, sebbene non vada esclusa definitivamente. Inoltre, sembra quanto mai improbabile un attacco iraniano contro obiettivi qatarioti, visti i numerosi interessi bilaterali e i buoni rapporti che intercorrono tra i due paesi.

Una continuazione delle tensioni nel Golfo Persico, infine, potrebbe spingere i principali importatori, specie europei, a diversificare le proprie fonti di approvvigionamento, con Stati Uniti e Australia già intenti ad incrementare la propria produzione di GNL destinato all’esportazione. Nonostante il ruolo cruciale del Qatar come esportatore, è probabile che l’ingresso di nuovi attori nel mercato del gas contribuisca a mantenere stabili i prezzi nel 2020.

Il ruolo strategico della partita libica

Contemporaneamente alle tensioni tra Stati Uniti e Iran, anche in Libia il sempre maggiore coinvolgimento di Russia e Turchia ha sensibilmente modificato gli equilibri che sino ad oggi hanno caratterizzato il confronto tra il Governo di unità nazionale (GNA) di Tripoli e l’Esercito nazionale libico (LNA) guidato dal generale Khalifa Haftar, a sua volta espressione politico-militare della Camera dei Rappresentati (HoR) di Bengasi-Tobruk. L'intervento militare della Turchia a sostegno del governo riconosciuto dall’ONU di Fayez al-Serraj, infatti, ha impresso un cambio di passo a una delle crisi internazionali più durature. Anche in questo caso, gli effetti dell’allargamento della crisi libica sono misurabili non solo dal punto di vista politico e securitario, ma anche in termini economici.

In una prospettiva regionale, il nuovo attivismo turco è strettamente correlato agli interessi e alle competizioni che interessano oggi l’Europa e il Mediterraneo orientale, soprattutto in ambito energetico. Il sostegno turco al Governo di Tripoli rappresenta il tentativo di Ankara, tra le altre questioni, di garantire un futuro agli accordi stipulati con il GNA a fine 2019 e che sanciscono la definizione di nuovi confini marittimi con la Libia. Con la rivendicazione di una Zona economica esclusiva (Zee) in acque contese, la Turchia ha voluto mandare un forte segnale a tutti gli attori con cui condivide interessi energetici nella regione e, in particolare, al consorzio costituto da Israele, Grecia, Egitto e Cipro. Questo ha di recente siglato l’accordo per l’avvio della costruzione del gasdotto sottomarino EastMed,  per un costo stimato di circa 6 miliardi di euro, che punta a fornire circa il 10% del fabbisogno europeo di gas naturale entro il 2025 bypassando la Turchia. Il piano turco prevede invece la costruzione di un gasdotto alternativo per lo sfruttamento congiunto con la Repubblica turca di Cipro Nord (riconosciuta dalla sola Turchia) delle ingenti risorse di gas che si trovano nelle acque territoriali attorno all’isola.

Nella competizione energetica per il gas del Mediterraneo orientale, la Turchia di Erdoğan è quindi determinata a giocare la sua parte senza farsi marginalizzare. Tramite l’accordo con la Libia di al-Serraj, Ankara mira ad estendere il proprio leverage nel dibattito sullo sfruttamento delle risorse naturali nel Mediterraneo orientale abbastanza a lungo da poter ritardare, se non compromettere definitivamente, il progetto già largamente dibattuto del gasdotto EastMed. Le difficoltà costruttive, i costi elevati, l’assenza di paesi intermediari e la difficoltà di poter efficacemente influenzare un mercato come quello del gas naturale europeo, dominato dalla Russia, hanno contribuito a metterne in dubbio la reale efficacia.

La questione centrale per il mercato del gas naturale ora dipenderà dall’abilità della Turchia di garantire i propri interessi in Libia nel lungo periodo, così come dalla capacità turca di consolidare il proprio ruolo come hub energetico della regione mediterranea diversificando i propri approvvigionamenti di gas naturale, come dimostra l’unione a doppio filo con la Russia, ulteriormente consolidata dall’inaugurazione a gennaio 2020 del gasdotto TurkStream.