La protezione del nostro pianeta non è un’esigenza nata oggi. La fine del precedente millennio, 20 anni fa, è stata segnata da due avvenimenti importanti: l’attenzione verso lo sviluppo sostenibile, ovvero la capacità di soddisfare le esigenze umane in termini di risorse senza intaccare la disponibilità di queste ultime per le generazioni future, e il protocollo di Kyoto (3° Conferenza delle Parti - COP 3). La COP 21, che si è svolta a Parigi nel 2015, e che si è conclusa con un accordo decisivo – qualora venisse applicato, quel che andrà dimostrato in un futuro si spera non troppo lontano – li ingloba entrambi, in quanto tentare di eliminare il consumo di fonti fossili è un obiettivo a favore dello sviluppo sostenibile e della lotta alle emissioni di gas serra, che non comprendono solo l’anidride carbonica ma anche altri gas – come il metano - ben più nocivi! In molti casi, ad esempio per il riscaldamento domestico o nei trasporti aerei e marittimi, non si può fare a meno dei combustibili fossili, mentre per la produzione di elettricità ciò è fattibile al 100%.
Da qui il focus crescente sul concetto sempre più brandito di energia decarbonizzata, quella che dovrà essere la carta vincente dell’accordo di Parigi. Tra le energie decarbonizzate figurano le fonti rinnovabili e il nucleare. Procediamo per gradi.
Tra le rinnovabili, l’energia idroelettrica (le dighe) è molto utilizzata ma presenta diversi svantaggi. Non è così provato che si tratti di un’energia decarbonizzata per via della biomassa contenuta nei laghi artificiali. Quando i terreni vengono inondati, una grande quantità di materia vegetale si accumula sul fondale; soprattutto nelle regioni tropicali, nell’acqua tiepida dei bacini di ritenuta, questa materia si decompone emettendo disossido di carbonio e metano (17 volte più nocivo della CO2). L’impatto in termini di riscaldamento climatico potrebbe quindi – secondo diversi studi – essere consistente. Inoltre, a fronte di un’efficienza produttiva nella media, l’occupazione di suolo non è assolutamente trascurabile (10 ettari per MW) e l’installazione delle dighe provoca importanti spostamenti forzati di persone. Inoltre si possono verificare incidenti gravi (se ne conta almeno uno ogni dieci anni). Tutte queste ragioni possono spiegare l’opposizione alla costruzione di nuove dighe un po’ ovunque nel mondo. Inoltre, il costo del kWh è alto.
L’eolico e il fotovoltaico sono certamente fonti di energia decarbonizzate ma anche in questo caso il costo del kWh è elevato. I difetti principali sono l’intermittenza e la non programmabilità: servono necessariamente vento e sole, quel che spiega il fatto che abbiano rendimenti mediamente bassi! Il loro sviluppo futuro rimane quindi circoscritto a paesi ventosi e/o soleggiati. Inoltre come per l’idroelettrico, l’occupazione di suolo è importante. Infine, il ricorso massiccio al fotovoltaico implica lo sfruttamento di metalli rari.
Mettiamoci ora al posto di un politico che governa un paese con un PIL relativamente solido situato in zone non tropicali e interessato - come è giusto che sia - alla produzione di energia elettrica decarbonizzata. Tra le diverse forme di energia, va privilegiata quella più affidabile, quella più economica (aspetto che si lega alla sua efficienza produttiva), quella più sicura (perché la più controllata) con la minor occupazione di suolo e quindi la più rispettosa dell’ambiente sotto tutti gli aspetti. A parere di chi scrive occorre scegliere la produzione nucleare.
Sono diversi i paesi che puntano su questa fonte, con diversi reattori in costruzione e pianificati. Tuttavia, in Francia, così come in altri paesi vicini, c’è chi sostiene l’abbandono di questa tecnologia ma è una guerra persa in partenza! Anche il Giappone (LINK AL PEZZO CA FOSCARI) si vede costretto a riavviare i reattori e questo lo avevo scritto già nei mesi successivi a Fukushima: nonostante quel terribile incidente non ci sono alternative! Il brusco arresto del nucleare in Germania e i dibattiti in corso in numerosi paesi UE, tra i più ricchi, si spiega unicamente per ragioni politiche: vale a dire per il desiderio di chi governa di attirarsi il favori dei Verdi, solitamente benché irrazionalmente antinuclearisti. Ma è risaputo che in democrazie dove le elezioni si vincono con qualche centinaia o decine di migliaia di voti di scarto, la quota dei Verdi permette spesso, in caso di alleanza, di conquistare la maggioranza!
In questa atmosfera di “rinnovamento nucleare” – specie al di fuori dell’UE - che si concilia con l’esigenza di proteggere la terra dal punto di vista ambientale, mentre la Francia dovrebbe essere capofila come costruttore di nuovi reattori, noto con rammarico che sta perdendo progressivamente vigore rispetto a paesi come Cina, Russia, Corea del Sud e Stati Uniti, solo per citare i concorrenti più importanti. E mi dispiace non solo per l’economia del paese ma anche per questioni di sicurezza nucleare. Come possiamo essere sicuri che i reattori costruiti da altri paesi beneficeranno delle stesse caratteristiche di sicurezza dei nostri?
Si parla molto della battuta d’arresto dell’EPR (European Pressurized Reactor) francese sul nostro territorio. Ma ci si dimentica che questo reattore, considerato il più sicuro al mondo, funziona perfettamente in Cina. 2 reattori sono stati collegati alla rete, il primo a dicembre 2018 e il secondo il 23 giugno scorso. Un successo di EDF che ne richiama certamente altri – non solo in Cina ma anche in altre parti d’Europa.
Jacques Foos è co-autore con Yves de Saint Jacob, del libro : « Si puo uscire dal nucleare ? » Ed. Compositori – coll. Il Faro (janvier 2012)
La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui.