Il 15 novembre 2018 una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha annullato per motivi procedurali la decisione con la quale la Commissione Europea aveva autorizzato il capacity market proposto dal Governo inglese. La società Tempus, una Esco che offre una tecnologia di gestione del consumo di energia elettrica, si era rivolta alla Corte di Giustizia nel 2014. Le contestazioni della società riguardavano principalmente le modalità di partecipazione previste per gli operatori di gestione della domanda. In particolare, la diversa durata dei contratti offerti: fino a 15 anni per chi realizza un nuovo impianto di generazione, al massimo un anno per chi offre servizi di demand side flexibility.
Dopo avere atteso cinque anni – confermando una difformità patologica dei tempi della giustizia e dell’economia – la Corte osserva che i dubbi sollevati da Tempus avrebbero dovuto indurre la Commissione ad effettuare opportuni approfondimenti preliminari di alcuni aspetti del meccanismo. Non averli fatti diventa ragione sufficiente ad annullare la decisione, ancor prima che la Corte abbia modo di entrare nel merito delle argomentazioni della Tempus ed esprimersi sulla loro compatibilità con la legislazione comunitaria sugli aiuti di Stato. La sentenza ha provocato l’interruzione immediata dei pagamenti a coloro che si erano aggiudicati il capacity payment nelle aste che si sono svolte in questi anni. Il Governo inglese sta collaborando con la Commissione Europea per una conclusione rapida di questo stallo increscioso. Lo scorso febbraio la Commissione ha avviato la nuova investigazione, ma è difficile che il riesame si concluda prima dell’autunno.
In caso di giudizio nuovamente positivo tutto ritornerebbe alla situazione che precedeva la sentenza della Corte di giustizia. In questa prospettiva il Governo inglese ha chiesto a National Grid ed Electricity Settlements Company di proseguire nella gestione del meccanismo come se nulla fosse, sperando in tal modo di potere sbloccare più celermente i pagamenti agli operatori in regola con le condizioni previste dal capacity market. Qualora, invece, il nuovo giudizio della Commissione non fosse positivo lo scenario si complicherebbe: i risultati delle aste dovrebbero essere annullati, i pagamenti già effettuati dovrebbero essere restituiti dai vincitori mentre i supplier dovrebbero rimborsare ai loro clienti i pagamenti riscossi per finanziare il meccanismo.
Nel breve termine lo stallo non sembra mettere a rischio la sicurezza delle forniture. A giugno è stata comunque bandita, con ritardo di quasi sei mesi, l’asta annuale per la capacità da rendere disponibile nell’inverno 2019/20, seppure i pagamenti ai vincitori siano subordinati all’esito del riesame di Bruxelles. Il risultato è stato sorprendente. Solo pochi mesi prima Frontier Economics descriveva uno scenario poco roseo per l’inverno 2019/20 e invece il prezzo di aggiudicazione è crollato a 0,77 pence per kW, con una riduzione dell’87% rispetto al prezzo dell’ultima asta annuale effettuata. Va precisato che questo prezzo si applicherà, eventualmente, solo al 5% della capacità disponibile per il prossimo inverno, mentre il restante 95% ha un contratto siglato nell’asta quadriennale del 2015 a 18 £/MWh. Secondo gli osservatori, più della sentenza ha influito sul risultato il fatto che l’offerta fosse nettamente più abbondante della domanda di potenza e anche di quanto fosse prevedibile al momento in cui si svolse l’asta quadriennale per la stessa scadenza. Va anche aggiunto che nell’immediatezza della sentenza sono uscite previsioni fosche per i prezzi all’ingrosso nel caso in cui il capacity market non venisse prontamente ripristinato. Aurora Energy Research aveva previsto valori intorno alle 120 sterline/MWh per l’inverno alle porte (citato in un paper dell’Imperial College di Londra).
Difficile dire quali effetti avrà in un futuro più lontano il caso Tempus. La certezza regolatoria ha subito un colpo, che si rivelerà molto più duro se la nuova decisione della Commissione inviterà Londra a rideterminare la neutralità tecnologica del meccanismo in modo più favorevole alla partecipazione della demand side response. In ballo non c’è, ovviamente, solo la possibilità di partecipare alle aste pluriennali ma anche la potenza minima da mettere a disposizione e probabilmente anche la tipologia delle prestazioni che la domanda, piuttosto che gli stoccaggi, sono in grado di fornire al sistema elettrico in caso di necessità.
Un simile esito non aiuterebbe molto probabilmente a porre rimedio al principale limite che il meccanismo aveva evidenziato nei primi anni di applicazione, ossia la scarsa capacità di attrarre nuovi investimenti in impianti a ciclo combinato. In un articolo pubblicato sulla rivista Energia nell’autunno del 2017 descrivevo la situazione in questo modo: “in questa fase il capacity market ha assunto un orizzonte di breve periodo, nel quale l’adeguatezza della potenza disponibile a scadenze ravvicinate è garantita nei termini più convenienti dalle centrali esistenti e nel quale si sta tentando, con successo limitato, di aumentare la quota di partecipazione di nuovi strumenti flessibili, come batterie e domanda, che potrebbero diventare sempre più utili con l’aumento della produzione dalle fonti rinnovabili intermittenti”.
Sullo sfondo della complicata situazione che la sentenza della Corte di Giustizia ha determinato, la vicenda ancora più difficile della Brexit e di come il suo esito modificherà il regime degli aiuti di Stato. Lo scorso 11 giugno il direttore esecutivo della Competition and Mergers Authority, Michael Grenfell, ha pronunciato in proposito queste parole: “It is the Government’s intention that the CMA should also take responsibility for administering a new UK national state aid regime. All this remains the intention for the post-Brexit era – but as to when this will happen, and on exactly what terms, the position is, as at today, uncertain.”
Come dicono gli inglesi in questi casi: let’s wait and see.