Sulla bontà e l’adeguatezza del meccanismo dei certificati bianchi abbiamo scritto e discusso molto negli ultimi anni. Si tratta certamente di uno strumento che è divenuto un riferimento ‘virtuoso’ nel contesto europeo e che è stato a lungo motivo di orgoglio per il nostro Paese, riuscendo a promuovere e sostenere, in modo efficiente ed efficace, la realizzazione di interventi di efficienza energetica.

Per questo, negli ultimi anni, quando una persistente scarsa liquidità sul mercato dei TEE ha compromesso l’equilibrio domanda-offerta, che per lungo tempo aveva garantito stabilità agli investitori e costi sostenibili per il sistema, si è avviato un acceso dibattito sull’opportunità di mettere in discussione l’impianto.

Certamente non appare semplice riformare uno strumento che ha ben funzionato per molto tempo. Tuttavia l’esperienza degli ultimi anni ha chiaramente dimostrato che il meccanismo, così come è costruito, non riesce a risolvere in modo efficace le tensioni domanda-offerta che si determinano su quello che impropriamente chiamiamo mercato. Come noto non si tratta di un vero mercato in quanto domanda ed offerta non hanno le stesse flessibilità: l’offerta è completamente libera, la domanda è estremamente rigida. I soggetti obbligati (distributori gas ed elettrico) devono necessariamente provvedere ad approvvigionarsi di un certo numero di TEE, pari proprio al loro obbligo annuale, per evitare di incorrere nelle sanzioni che ARERA applicherebbe loro per mancato assolvimento. Per questo la domanda non può dare il proprio contributo affinché il mercato trovi un equilibrio efficiente, soprattutto in condizioni di mercato ‘corto’, non avendo libertà di reazione in relazione alle dinamiche dell’offerta.

E’ sostanzialmente questa rigidità che rende il mercato dei TEE estremamente vulnerabile. Così lo scorso anno abbiamo visto i prezzi crescere a dismisura fino a toccare i 50 0€/TEE con impatti estremamente importanti sulle bollette dei cittadini e con impatti notevoli anche sull’attività dei distributori chiamati ad anticipare grossi flussi finanziari, talvolta dello stesso ordine di grandezza di quelli relativi alla loro gestione caratteristica.

L’intervento correttivo dello scorso anno (DM 10.05.2018 e conseguente deliberazione 487/2018/R/efr) era pertanto divenuto certamente inevitabile per limitare gli oneri economici che avrebbero sostenuto i cittadini. Tuttavia, se è vero che l’introduzione di un cap sul riconoscimento tariffario a copertura degli oneri sostenuti dai distributori ha contenuto i costi per i consumatori, non ha comunque risolto le problematiche del sistema, soprattutto per i distributori che hanno visto, in qualche modo, rendere ‘strutturale’ una loro perdita economica. La persistenza di un mercato “corto” ha spinto infatti il livello medio dei prezzi di borsa di contrattazione dei TEE costantemente intorno ai 260 €/TEE, 10 euro al di sopra del cap (pari a 250 €/TEE). Tale perdita si è ulteriormente aggravata per effetto dell’inserimento, nella formula definita da ARERA per la determinazione del contributo tariffario, del riferimento di prezzo espresso dai contratti bilaterali, riferimento di prezzo che, non essendo coerentemente ‘ponderato’ sui volumi contrattualizzati, sta portando il corrispettivo tariffario sensibilmente al di sotto dei 250 €/TEE.

L’introduzione di un cap ha quindi indirettamente fissato un nuovo valore di mercato dei certificati bianchi, stabilizzando così le dinamiche di prezzo dei TEE ma rinunciando, nello stesso tempo, anche alla possibilità di realizzare interventi di efficienza energetica a costi per il sistema inferiori ai 260 €.

Tale costo, peraltro, non è stato integralmente trasferito ai consumatori ma, per una parte, è stato spostato sulle aziende di distribuzione, in modo non coerente con il quadro normativo e regolatorio di riferimento, dato che i distributori di energia elettrica e gas, giova ricordare, sono soggetti regolati, vale a dire aziende la cui remunerazione viene determinata da ARERA in funzione dei rischi riconosciuti come caratteristici dell’attività svolta. E tra questi rischi non vi è certamente quello di operare sul mercato dei TEE.

Certamente il problema più rilevante resta la scarsità d’offerta e, in questo senso, ci auguriamo che le nuove Linee Guida, recentemente approvate, possano favorire la presentazione di nuovi progetti determinando una maggiore liquidità sul mercato. Al momento, tuttavia, destano particolare preoccupazione i dati derivanti dal rapporto annuale GSE sui Certificati Bianchi 2018 dai quali emerge che, a fronte di un obbligo nazionale minimo TEE per l’anno d’obbligo 2018 pari a 5,84 MTEE (60% obbligo 2018 + residuo d’obbligo 2016), le previsioni indicano un’offerta che potrebbe arrivare soltanto a 4,4 MTEE (con conseguente ammanco di ben 1,44 MTEE!). Tale contesto evidentemente crea e continuerà a creare forti tensioni rialziste sul prezzo, esponendo così i soggetti obbligati a perdite economiche non trascurabili, oltre al rischio concreto di non riuscire a raggiungere l’obbligo minimo.

E’ comprensibile che si voglia ancora tentare di ‘ravvivare’ il meccanismo dei TEE prima di pensare ad una sua definitiva revisione, tuttavia, allo stesso modo, è doveroso segnalare che questo tentativo sta determinando un costo, rilevante ed improprio, sui distributori, e che, per questo, appare quanto mai opportuno ed urgente valutarne qualche intervento correttivo.