“The fact that fat oils from vegetable sources can be used may seem insignificant today, but such oils may perhaps become in course of time of the same importance as some natural mineral oils and the tar products are now”, Rudolph Diesel.

L’utilizzo di oli vegetali come carburante nei motori diesel non è un’idea nuova. Rudolf Diesel iniziò lo sviluppo del motore che ne porta il nome, brevettato nel 1892, utilizzando olio di arachidi. Poco tempo dopo, durante l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, la Otto Company presentò un piccolo motore capace di funzionare sia con gasolio che con olio vegetale o animale.

L’utilizzo degli oli vegetali - così come dei grassi animali - come carburante biologico è infatti possibile grazie al fatto che entrambi presentano una distribuzione idrocarburica centrata su molecole con caratteristiche del tutto analoghe a quelle presenti in un gasolio di origine petrolifera. Tuttavia, per tutto il ‘900, la disponibilità di gasolio fossile a basso costo ha fatto dimenticare questa possibilità.

Completamente diverso lo scenario del nuovo Millennio e, in particolare, dell’ultimo decennio: l’esigenza di incrementare gli sforzi per migliorare la tutela dell’ambiente e contrastare il cambiamento climatico ha portato l’Unione Europea a emanare direttive che impongono di utilizzare quote crescenti di biocarburanti miscelati nei carburanti tradizionali di origine fossile nel settore dei trasporti. Si è così riacceso l’interesse per l’impiego di oli vegetali per la produzione di gasolio. Tuttavia, l’orientamento comunitario recente si indirizza verso la limitazione via via crescente dell’utilizzo di materie prime in competizione con il mercato agro-alimentare (cosiddette di prima generazione) a favore di feedstock alternativi.

In questo contesto, acquisiranno un ruolo sempre più importante le materie prime ottenute da rifiuti e, tra queste, gli oli esausti di frittura altrimenti denominati UCO - Used Cooking Oil.

Un circuito virtuoso di economia circolare

È lungo questa direzione che Eni ha avviato diverse iniziative volte ad accrescere l’utilizzo di materie prime rinnovabili non edibili in sostituzione dell’olio di palma per la produzione di biodiesel. In particolare, già da febbraio 2015, a meno di un anno dall’avvio della bioraffineria di Venezia, sono stati effettuati con pieno successo test industriali di lavorazione degli UCO provenienti da filiera nazionale: l’interesse verso gli oli vegetali esausti prodotti in Italia è particolarmente forte perché, oltre a rappresentare un valido feedstock per il processo di lavorazione delle bioraffinerie, il loro recupero contribuisce in modo concreto e immediato alla riduzione dell’inquinamento.

Eliminare gli oli di frittura attraverso la rete fognaria può infatti comportare gravi conseguenze ambientali: crea intasamento dei sistemi di scarico domestico e delle reti fognarie con conseguente incremento dei costi di manutenzione e può pregiudicare il corretto funzionamento dei depuratori, aumentando i costi di depurazione. Ad esempio, un litro di olio smaltito attraverso la rete fognaria, una volta giunto al depuratore può generare fino a 4 kg di fanghi di depurazione, che poi dovranno essere nuovamente smaltiti come rifiuto; se invece l’olio esausto non passa attraverso i sistemi di depurazione ma viene disperso direttamente nell’ambiente, può giungere alle falde acquifere e rendere l’acqua non potabile, oppure può creare inquinamento delle acque superficiali (laghi, fiumi, mare) con danni all’ecosistema, alla flora e alla fauna. Infatti, la sua dispersione in acqua forma una sorta di “velo” che impedisce ai raggi solari di penetrare, causando ingenti danni ambientali.

Da qui l’impegno di Eni nel favorire progetti volti a incrementare il recupero di quelle quote di oli esausti attualmente disperse nell’ambiente. Il potenziale di miglioramento è ampio: nel 2016 si sono raccolte circa 65.000 tonnellate di UCO, che però rappresentano solo il 23% dell’olio prodotto, che ammonta a circa 280.000 tonnellate all’anno.

L’accordo recentemente sottoscritto tra Eni e CONOE (Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti) va proprio in tal senso. Intende infatti favorire e aumentare la raccolta degli oli vegetali esausti prodotti dalle aziende di rigenerazione aderenti al consorzio, per poi utilizzarli come materia prima per le bioraffinerie Eni. L’accordo prevede inoltre l’avvio di azioni congiunte per agevolare la raccolta di volumi incrementali di oli esausti prodotti dall’utenza domestica, oggi quasi interamente dispersi, anche tramite accordi con le Pubbliche Amministrazioni locali e le aziende di raccolta rifiuti. L’inquinamento delle aree metropolitane è uno degli aspetti più critici delle grandi aree urbane e tutte le amministrazioni delle grandi città sono costantemente impegnate nell’individuare e mettere in atto azioni concrete di riduzione dell’inquinamento.

Tramite accordi specifici tra i vari soggetti interessati (Eni, amministrazioni pubbliche locali, aziende di raccolta rifiuti, aziende di trasporto pubblico locale, CONOE), si potrà massimizzare e ottimizzare la raccolta di UCO che verrà acquisito da Eni e, una volta depurato, trasformato in biodiesel di alta qualità. Quest’ultimo potrà a sua volta essere utilizzato per formulare un combustibile specifico con alto contenuto bio (quale l’Eni Diesel +) da restituire alle municipalizzate per l’utilizzo nei loro mezzi di raccolta e alle aziende di trasporto pubblico per l’impiego sugli autobus, consentendo di ridurre le emissioni di gas climalteranti, quali il particolato, gli idrocarburi incombusti e gli ossidi di carbonio. In tal modo, si viene a creare un circuito virtuoso di “economia circolare” da filiera interamente nazionale che massimizza l’utilizzo energetico degli oli di scarto prodotti localmente e, al contempo, restituisce un combustibile in grado di ridurre l’inquinamento locale.

L’economia circolare dell’accordo Eni-CONOE