“Dobbiamo eseguire un trapianto di cuore su noi stessi mentre corriamo una maratona. Si può fare, e possiamo anche vincere la maratona”. Così nel consueto modo immaginifico, ai limiti del Grand-Guignol, l'a.d. di Enel Francesco Starace ha descritto il compito che si trovano ad affrontare le società energetiche di fronte alla sfida del cambiamento del clima e della transizione energetica: trasformarsi continuando a produrre utili.
Sfida che si confronta con l'entrata in vigore dell'Accordo di Parigi (venerdì scorso) e oggi con l'avvio della COP22 a Marrakech, la conferenza ONU chiamata a definire nel dettaglio i primi impegni presi a Parigi dalle parti. Degli stati, cioè, ma anche delle società energetiche. E proprio su questo secondo punto spicca la diversità di approccio dei due “campioni nazionali”, Enel ed Eni, specchio di un più ampio confronto in atto a livello globale nel mondo dell’energia, che ha nel ruolo del vettore elettrico uno dei principali punti di frizione.
Partiamo dai numeri. Per rispettare l'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura media globale entro i 2°C rispetto all'era pre-industriale, gli impegni presentati dalle parti a Parigi non sono sufficienti. Lo ha detto l'ONU in un rapporto pubblicato ieri, specificando che servirà uno sforzo di riduzione delle emissioni ulteriore di circa il 25% rispetto agli impegni attuali. Le emissioni di CO2 dovute alle attività umane vengono per il 68% dal settore energetico, ed è quindi in questo settore che gli interventi saranno maggiormente necessari. Da circa un decennio le emissioni dei paesi in via di sviluppo hanno superato quelle dei paesi sviluppati, che sono in costante calo più o meno dallo stesso periodo. Il 28% delle emissioni di origine energetica viene dalla Cina, il 18% dal Nord America, il 12% dal resto dell'Asia e l'8% dall'Europa. Stando agli impegni presi dai paesi in occasione della COP21, il grosso delle riduzioni delle emissioni dall'energia dovrà arrivare dall'efficienza energetica e dalle rinnovabili, con contributi decisamente più limitati dalla CCS e dal nucleare. L'Unione Europea si è posta un obiettivo di riduzione delle emissioni del 30% rispetto al 2005 nei settori non ETS (in primis trasporti), declinato per l'Italia in un 33%, e del 43% nei settori ETS. Tutti numeri che nell'Accordo di Parigi non ci sono e che dovranno essere messi nero su bianco a Marrakech.
Il consenso sul cambiamento del clima è ormai universale come quello sul ruolo delle attività umane, quindi la sfida è importante e concreta e la posta in gioco alta. Consapevoli di tutto ciò, come in occasione della Conferenza di Parigi, i big dell’energia sono dunque scesi in campo in prima persona.
Starace ha parlato qualche giorno fa a New York, in occasione dell'undicesima conferenza della Columbia University dal titolo “Cambiamento climatico e investimenti sostenibili nelle risorse naturali: dal consenso all'azione”. Claudio Descalzi era invece presente venerdì pomeriggio a Londra per la presentazione del “fondo di investimento verde” da parte delle 10 major che un anno fa hanno messo insieme la OGCI, il “trust” delle società dell'Oil&Gas incaricato di studiare, individuare e (con l'iniziativa di venerdì) finanziare iniziative per la riduzione delle emissioni.
In questo caso un punto di attrito evidente tra le due visioni sembra essere il trattamento riservato alla CCS, che i dieci dell'OGCI vedono come uno dei filoni di azione fondamentali, e che Starace liquida come un errore, un'idea “esaminata a fondo e abbandonata da Enel perché ci vorranno almeno altri 15 anni per vedere dei progressi”.
Ma le divergenze sono molte e anche più profonde, a partire dal ruolo delle rinnovabili e dell'efficienza all'elettrificazione dei consumi finali, dalla sfida della mobilità al ruolo del gas nel passaggio a un'economia neutrale dal punto di vista della CO2. Con il ruolo del vettore elettrico a fare da sottofondo.
Divergenze che vengono a galla con particolare forza proprio nel momento in cui i numeri vanno messi nero su bianco, e lo spostamento dell'asticella un po' più in alto o un po' più un basso può determinare la salvezza o la perdizione di una certa tecnologia o di un certo prodotto.
Chi investe in generazione termica e in idrocarburi deve essere consapevole dei rischi, ha avvertito Starace. Ma è importante anche tenere traccia dei costi delle decisioni. A legislazione vigente, il “piano industriale” per il lancio delle rinnovabili elettriche italiane sarà costato, a conti fatti, una cifra intorno ai 200 miliardi di euro. I rischi, d'altra parte, sono ancora oggetto di dibattito, e non perché qualcuno voglia mettere la polvere sotto il tappeto. I dieci dell'OGCI puntano ad esempio molto (un miliardo di dollari in dieci anni) sullo sviluppo tecnologico.
Lo stesso Starace ha aggiunto che sarà importante “ibridare” le fonti e le tecnologie. Quel che è certo, per riprendere la metafora iniziale, è che il trapianto prima o poi andrà fatto e che va fatto in corsa. E che chiunque opera nel settore energetico dovrà fare check up frequenti e restare più che mai aggiornato, sulle scelte della politica, sulle innovazioni tecnologiche, sull'andamento dei mercati, sul cambiamento del clima e della demografia, senza dimenticare le implicazioni geopolitiche e umanitarie delle scelte energetiche e ambientali.