ACQUA & AMBIENTE | 150 ARTICOLI
Il tema della finanza climatica, così come quello dell’adattamento e del Loss&Damage, è stato al centro dell’agenda della presidenza egiziana della COP27. Questo per due ordini di motivi: da una parte, l’ambizione egiziana a porsi come voce di riferimento per i paesi del Sud globale, in particolare quelli africani, per i quali la finanza è una questione imprescindibile di giustizia climatica; dall’altra, la scarsa volontà da parte del Cairo ad avanzare sull’altro fronte della lotta al cambiamento climatico, quello della mitigazione.
“Vi è stata una rottura della fiducia tra gli emisferi nord e sud, e questa fiducia deve essere ricostruita trovando un terreno comune sul consenso nei confronti delle tematiche di loss and damage”. Queste le parole di Antonio Guterres, Secretary-General delle Nazioni Unite, a valle della COP27 di Sharm. La tematiche di perdita e danno (loss and damage) sono state centrali durante il summit e potremmo, forse, dire che si tratta di una vittoria che nasce da una apparente sconfitta.
Un colloquio di tre ore per riscaldare le relazioni tra Cina e Stati Uniti. Tanto sarebbe bastato per rimettere in moto la cooperazione per il clima tra i due maggiori paesi inquinatori al mondo, relazione che aveva subito un improvviso arresto in agosto, con la visita a Taiwan della speaker della Camera USA Nancy Pelosi. L’incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e la controparte statunitense Joe Biden – il primo in presenza dall’ascesa del politico dem alla Casa Bianca – è avvenuto a margine del G20 di Bali. Durante il colloquio, come menziona il readout di Washington, i due capi di Stato hanno promesso di riprendere il dialogo sulla crisi climatica.
La parola “inceneritore” è seconda solo a “centrale nucleare” nell’evocare un sinistro alone di pericolo per la salute e per l’ambiente. Fino a poco tempo fa, ogni politico desideroso di voti poteva gonfiarsi il petto ed esternare ad alta voce il suo “no”, certo che la stragrande maggioranza dei cittadini lo avrebbe sostenuto. Oggi si direbbe che qualcosa sia cambiato, se un sindaco come Gualtieri può se non altro aprire un dibattito sull’opportunità di realizzarne uno a Roma senza essere crocefisso. Certo, la sua proposta ha fatto e farà discutere.
In un contesto, come quello corrente, in cui massima è l’attenzione verso le tematiche della sostenibilità e dell’impatto ambientale, torna di attualità il tema dell’incenerimento dei rifiuti e del loro impatto sulla qualità della vita. Globalmente, sono state stimate in circa 216 milioni, le tonnellate di rifiuti che vengono indirizzate a termovalorizzatori, il 15% delle quali garantisce un qualche approvvigionamento energetico. Un terzo circa dei 1.700 impianti al mondo si trovano in Europa. In visione prospettica, però, non sarà nel Vecchio Continente che si attende la crescita maggiore di nuovi termovalorizzatori, ma bensì in Cina, che guida la costruzione di questa tipologia di impianti, seguita a molta distanza dalla stessa Europa e dal Giappone.
Con la scelta di costruire un inceneritore con recupero di energia a Roma, finalmente il sindaco Gualtieri ha osato spezzare il tabù che ha condannato da decenni la città a condizioni penose dal punto di vista del decoro, dell’igiene e dell’ambiente. Da subito, abbiamo deciso di sostenere questa scelta coraggiosa promuovendo, insieme ad altri, Daje! il Comitato pro termovalorizzatore di Roma.
Realizzare un inceneritore a Roma non è una scelta corretta perché, prima ancora di discutere se è ambientalmente sostenibile, si tratta di una scelta anti-moderna e che va in direzione ostinata e contraria rispetto a ciò che ci suggerisce l’Europa.
Insomma, sarebbe un peccato perdere l’occasione di far entrare finalmente la Capitale nell’era moderna dell’economia circolare per inseguire il “mega-forno”, dopo che tutti per decenni si sono crogiolati nell’inanità. Inclusi quelli che, eletti trionfanti al grido “rifiuti zero”, non hanno realizzato nemmeno un impianto di quelli necessari a recuperare i rifiuti, non hanno alzato nemmeno di un punto la già deficitaria (in termini di qualità) raccolta differenziata romana e hanno invece proseguito nel massacro organizzativo dell’azienda (l’AMA) che se ne dovrebbe occupare.
Cosa rappresenta la crisi ucraina per il mondo dell’energia? Uno straordinario, imprevisto e irripetibile test per la transizione energetica. Vediamo meglio perché. La crisi riporta in primo piano, dopo anni di oblio, la questione della sicurezza energetica e ci fa capire meglio un’antica lezione che anni di pace ci avevano fatto dimenticare: l’energia non è assimilabile agli altri beni, essenzialmente per due ragioni: uno, rappresenta il sangue dell’intera struttura economica, la linfa che la irrora e ne rende possibile la vita; due, ha una valenza geopolitica che altri beni non posseggono.
Lo scoppio del conflitto in Ucraina ha posto al centro del dibattito il tema della debolezza strutturale del sistema energetico europeo e, in particolare, italiano. In questo quadro, la necessità di accelerare la transizione energetica verso fonti alternative ai combustibili fossili si è resa ancora più impellente e non più rinviabile.
Riflettere su cosa sia la fiscalità ambientale significa chiedersi se l’ordinamento giuridico tributario italiano conosca norme dedicate all’ambiente (nelle sue diverse declinazioni) ed alla sua tutela quale elemento del presupposto di un tributo. Fino a poco tempo fa (ma il fenomeno è ancora presente) si è sempre ritenuto che l’unico modo per utilizzare la norma tributaria fosse quella di far pagare più imposte (sul reddito, sugli scambi e sulla fabbricazione) agli operatori che svolgessero attività economiche inquinanti seguendo il principio comunitario del “chi inquina paga”…I tempi sono ora maturi per una diversa prospettiva.