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Sarà capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di assaggiare il pesto genovese: e se vi dicessimo che di genovese potrebbe essere rimasto poco più che il vasetto e che il pesto, invece, proviene dalla Tunisia? Ebbene, dal 2009 ad oggi, ovvero da quando sono state aumentate le accise sul gasolio destinato alla coltivazione in serra, in inverno tante delle pregiate foglioline di basilico che hanno reso celebre il prodotto genovese non crescono più sulle alture liguri, ma in Tunisia, da dove intraprendono un lungo viaggio – sicuramente poco eco-friendly – fino alle nostre tavole.
Secondo le Nazioni Unite, nel 2050 circa il 66% della popolazione mondiale vivrà in contesti urbani che già oggi assorbono il 75% dell’energia totale globale e sono responsabili di circa il 70% delle emissioni di biossido di carbonio (CO2), nonostante occupino solamente il 2,6% della superficie terrestre. Alla luce di queste premesse, le smart city possono rappresentare una soluzione reale per superare adeguatamente le sfide portate dall’urbanizzazione, dalla rapida crescita della popolazione, dal deterioramento delle risorse energetiche e dall’inquinamento ambientale.
Oggi sappiamo che la crescita continua delle città e il fortissimo processo di inurbamento in atto - soprattutto in paesi come l’India, la Cina, il Brasile, la Nigeria - porta con sé una serie di elementi che non possiamo non considerare. Il primo è relativo alla povertà, anche in termini di povertà estrema: se immaginassimo di riunire tutto ciò che è città in un’unica parte del pianeta, vedremmo che il 30% della popolazione di questa Pangea Urbana vive di fatto in condizioni di povertà assoluta.
Perché andare avanti con la ricerca? Perché sostenere una costante innovazione? La nostra convinzione di continuare lungo questo percorso trova legittimazione nel fatto che il sistema delle imprese riconosce il nostro ruolo, riconosce in altri termini che anche grazie alla ricerca si può fare la differenza, specie in certi ambiti.
Quando sono arrivato in Enea, quattro anni fa, il clima era molto diverso; nessuno ci attribuiva un ruolo ben definito e, di conseguenza, il nostro contributo non aveva un adeguato riconoscimento. Grazie al ruolo dei ricercatori, questo percezione comune ai più è mutata, con nostra grande soddisfazione.
Il tema dell’economia circolare è entrato nel mainstream delle politiche europee. L’idea di fondo su cui è nato l’ambientalismo moderno (ricordiamo solo il titolo del libro-culto di Barry Commoner, “il cerchio da chiudere” del 1971) è diventata uno dei pilastri delle strategie non solo ambientali, ma anche economiche, dell’Unione Europea.
Occorre però una valutazione sobria del cosiddetto pacchetto dell’economia circolare approvato dall’Unione Europea. Al di là delle premesse e delle indicazioni strategiche, infatti, la sostanza normativa dell’economia circolare è essenzialmente confinata alla revisione – durata poco meno di un decennio – delle direttive sui rifiuti e sugli imballaggi.
Non solo nutrizione, ma anche mezzo di socializzazione, fonte di appagamento, protagonista simbolico di festività e rituali: il cibo è un elemento imprescindibile della vita umana e, come molti altri, si traduce (soprattutto) in economia. Attorno al cibo ruota infatti la più grande industria del mondo, fatta di produzione, distribuzione e smaltimento degli alimenti e responsabile di circa il 10% del PIL mondiale. L’interrogativo, allora, nasce spontaneo: e se la rivoluzione circolare iniziasse proprio dal cibo?
Da una parte gli oli minerali, dall’altra gli oli e i grassi – vegetali o animali – esausti: sono queste le due grandi famiglie in cui è possibile dividere la raccolta e il recupero degli oli usati, che in Italia rappresentano una fetta sempre più importante dell’economia circolare.
Nel caso degli oli minerali – che sono utilizzati principalmente per il funzionamento dei motori a combustione interna, dalle auto ai macchinari industriali – è il consorzio Conou, ovvero il primo Ente ambientale nazionale ad essere nato per la raccolta differenziata di un rifiuto pericoloso,
Nelle società complesse, uno sguardo eco-logico è quello che affronta tutti gli aspetti di un tema e li tiene insieme, cogliendone connessioni e possibili soluzioni. Anche il tema "plastica” è un nodo strategico, occorre affrontarlo in tutta la sua complessità. Perché la plastica non è un materiale banale: salva vite, garantisce l’igiene, consente la conservazione di alimenti e medicinali, permette agli aerei di volare e agli smartphone di essere nelle mani di tutti. E non corre da sola verso il mare. Ce la buttano.
Il comparto delle utility sta vivendo un forte cambiamento, sia nella sua struttura industriale che nel rapporto con i cittadini-clienti e il territorio. I servizi pubblici sono fondamentali per lo sviluppo e la qualità della vita. Sono l’asse portante di un sistema economico e un fattore strategico per la competitività di un Paese. In tutte le nazioni rappresentano, inoltre, una quota significativa della ricchezza prodotta e portano un contributo significativo all’occupazione.
Oggi più che mai la disponibilità di una connessione alla rete ad elevato potenziale tende a qualificare la capacità di un territorio di produrre innovazione. D’altra parte, il dibattito in materia di innovazione si è spostato negli ultimi anni sul concetto di smart city, città intelligenti più vicine ai bisogni dei cittadini, più inclusive e più vivibili. Tuttavia, lo sviluppo di questi modelli urbani passa necessariamente per l’erogazione dei servizi fondamentali attraverso il ricorso al digitale.