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Tradizionalmente il costo del pieno viene indicato come uno dei grandi vantaggi per il consumatore della transizione verso la mobilità elettrica. Oggettivamente, alla luce dei dati, la rivendicazione può sembrare fondata. Tuttavia, quando affrontiamo questo argomento troppo spesso commettiamo due errori.
Da una parte, ci dimentichiamo che quando facciamo il pieno all’auto elettrica oltre all’energia paghiamo anche la tecnologia. La tecnologia della colonnina ma anche la tecnologia della rete elettrica che la alimenta. Dall’altra, non ci rendiamo conto che la transizione verso la mobilità elettrica è agli albori e la sua evoluzione inciderà in maniera sostanziale sui costi di ricarica.
La più appropriata chiave di lettura del PNRR si trova nella parte del documento dedicata all’attuazione e al monitoraggio del Piano: «La Cabina di Regìa, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha il compito di verificare l’avanzamento del Piano e i progressi compiuti nella sua attuazione; di monitorare l’efficacia delle iniziative di potenziamento della capacità amministrativa; di assicurare la cooperazione con il partenariato economico, sociale e territoriale; di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità; di proporre l’attivazione dei poteri sostitutivi, nonché le modifiche normative necessarie per la più efficace implementazione delle misure del Piano». Ma subito dopo si precisa che struttura, composizione e modalità di funzionamento saranno definite da un provvedimento legislativo.
Tra i temi più discussi e criticati del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza di recente approvazione vi sono la mobilità e i trasporti. Secondo i detrattori, vi è troppa timidezza nella visione del PNRR circa la mobilità elettrica e i trasporti urbani. Mentre gli investimenti previsti per l’Alta Velocità sono spropositati rispetto ai risultati in termini di emissioni. Si tratta davvero di un’occasione persa? O siamo di fronte a una svolta storica per un settore i cui mancati investimenti ne hanno ritardato un serio ripensamento in chiave di sostenibilità ed elasticità? Ne abbiamo discusso con il professor Ennio Cascetta, professore ordinario di Pianificazione dei Sistemi di Trasporto presso l'Università Federico II di Napoli e tra i massimi esperti di sistemi di mobilità in Italia e in Europa.
In una famosa presentazione del 2015, intitolata “Confessions of a Capital Junkie” il manager, laureato in filosofia, Sergio Marchionne definì l’industria dell’automotive un “drogato di capitale”, e lo fece da par suo senza fare sconti a nessuno.
Qualche anno dopo la rivista Automotive News, la più autorevole per gli addetti ai lavori del settore, definì quella presentazione di stringente attualità, proprio alla luce delle grandi sfide che le tendenze dell’elettrificazione, della guida autonoma e della connettività portavano in termini di investimenti richiesti ai produttori di vetture e della componentistica.
Cosa succede quando 11 aziende selezionate provenienti da Italia, Norvegia, Germania, Stati Uniti, Ucraina e Regno Unito ricevono 120.000 dollari ciascuna e lavorano per tredici settimane spalla a spalla con 120 mentori? Cosa avviene quando le Officine Grandi Riparazioni di Torino si trasformano in un crocevia di imprenditori, esperti e accademici che si occupano di “mobilità intelligente” con un programma focalizzato sulle infrastrutture e le città?
Le istituzioni stanno lavorando da tempo sul tema della mobilità sostenibile, spingendo anche in direzione di una transizione verso combustibili alternativi e, per l’appunto, più sostenibili. Per farlo, la politica si sta avvalendo di tre grandi leve: quella dell’infrastrutturazione, quella della regolamentazione e, infine, quella dell’incentivazione.
Le risorse europee in arrivo attraverso il Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza (PNRR), pari a circa 209 miliardi (tra prestiti e fondo perduto), rappresentano una seria opportunità per investire in innovazione e mettere la sostenibilità al centro delle scelte per il futuro dell’Italia. Per quanto riguarda mobilità e infrastrutture dobbiamo recuperare ritardi cronici, a partire dagli spostamenti in città, in linea con i piani europei di riduzione dei gas serra al 2030 (-55%), di decarbonizzazione e puntando ad emissioni zero al 2050. Una sfida complessa che richiede intelligenza e risorse, unitamente a scelte politiche coerenti e coraggiose.
La micromobilità elettrica è un nuovo modello di mobilità tipicamente urbana che prevede l’uso di dispositivi a propulsione prevalentemente elettrica, utili per coprire distanze di pochi chilometri e che possono rappresentare una nuova soluzione per limitare l’uso dell’automobile con conseguente miglioramento dei livelli d’inquinamento e della riduzione del rischio congestione stradale. Benefici a cui però fa da contraltare un maggior impatto in termini di sicurezza stradale visto il potenziale incremento degli utilizzatori di tali dispositivi e quindi degli utenti vulnerabili.
È evidente che le misure di confinamento per l’emergenza Covid-19 abbiano avuto ricadute rilevanti sull’uso di tutti i servizi di mobilità condivisa. Alcuni analisti sono arrivati addirittura a concludere che ci troviamo ad un punto di svolta e che la mobilità individuale, in particolare l’auto di proprietà, sia l’unica soluzione a disposizione all’epoca del distanziamento sociale. In questo contesto, l’Osservatorio Sharing Mobility ha realizzato due diverse analisi in rapida successione.
Il Decreto Rilancio è quindi giunto al passaggio Parlamentare. Si prevede che venga aumentato l’Ecobonus: non solo per le auto elettriche, ma anche per le Euro 6 con motore “termico”. Modifiche approvate dalla Commissione Bilancio della Camera e che vanno a migliorare il provvedimento datato metà maggio (deve essere approvato, per legge, entro il 18 Luglio). Visti i tempi ristretti, si prevede che il Governo ponga la fiducia, prima di affrontare il giudizio del Senato.