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Nel corso delle ultime settimane si è infuocato il dibattito, non solo a livello politico, sulla potenziale misura di ‘price cap’, ovvero di definizione di un tetto massimo al prezzo di una materia prima. Prima di addentrarci nelle peculiarità tecniche delle proposte che il Consiglio chiede di fare alla Commissione, è opportuno partire da alcuni elementi puramente teorici. Il price cap ha 3 principali effetti nel medio termine:
Sono ormai mesi che i sistemi energetici europei sono costretti ad adattarsi il più rapidamente possibile a quello che è diventato il “new normal” del dopo invasione dell’Ucraina: la necessità di fare progressivamente a meno del gas russo. Mosca, che ancora nel 2021 rappresentava oltre il 40% della domanda di importazioni europea, sta chiudendo i rubinetti. A partire dalla seconda metà del 2021, è iniziata un’oculata (e geniale) operazione che ha prosciugato le vendite sui mercati spot, così da moltiplicare le pressioni che sul prezzo del gas già andavano accumulandosi per altre vie.
Nel novembre 2021, alla COP26 di Glasgow, l’Unione Europa si indignava di fronte alla proposta di Cina e India di modificare il testo finale, sostituendo il “phase out” del carbone con un più morbido “phase down”. Frans Timmermans, parlando subito dopo il ministro indiano, sottolineava come l’Unione Europea fosse pronta a spingersi ben oltre per porre fine all’uso del carbone e affermava “We know that coal has no future”, accompagnato da applausi scroscianti.
A partire dal 2016, il numero di operatori europei proprietari di centrali a carbone che hanno chiuso i loro impianti, o hanno annunciato piani di phase out al 2030, è salito a 171. E anche quest’anno, si sono aggiunti nuovi soggetti. A livello nazionale, diciassette paesi europei hanno smesso di bruciare carbone o si sono impegnati a farlo al più tardi entro il 2030 e nessun governo ha rinunciato a questa promessa.
Mentre il prezzo del petrolio viene riportato dai media da qualche decennio, il prezzo del gas, fino a qualche mese fa era conosciuto quasi esclusivamente dagli addetti ai lavori. Il cosiddetto “uomo della strada” oggi probabilmente ha letto o sentito che il prezzo del gas sul mercato di Amsterdam si attesta a 175 €/MWh, ma quasi sicuramente non è consapevole del fatto che quel prezzo equivale a 275 dollari per barile di grezzo, un prezzo che il Brent non ha mai neanche sfiorato.
A voler cercare nella figura qui sotto i record dei prezzi di elettricità e gas che tanto fecero scalpore nell'estate del 2021, quasi si fatica a trovarli. Nell’anno successivo sono stati, infatti, seguiti da una serie di ondate (almeno quattro) di aumenti assai peggiori. L’ultimo sembra aver avuto il suo picco nei giorni scorsi e si prepara ora a scaricare i propri effetti sull’economia.
Le tensioni sul mercato del gas naturale hanno inizio nell’autunno 2021, in ragione di un importante aumento della domanda, in particolare del GNL, non accompagnato da sufficienti disponibilità e, come gli eventi successivi hanno reso evidente, anche in ragione del palesarsi delle prime tensioni geopolitiche. Successivamente all’imprevedibile inizio della guerra russo-ucraina, le tensioni si sono acuite e si sono progressivamente accompagnate ad una crescente consapevolezza del rischio volumi.
L’ormai consolidata crisi del mercato del gas naturale generata dall’incertezza sulla disponibilità delle forniture, ha determinato l’aumento incontrollato ed altissima volatilità dei prezzi e al tempo stesso ha insinuato nelle aspettative delle società di vendita, in particolare nei reseller, il timore (o il terrore) di non riuscire ad approvvigionarsi per il prossimo anno termico.
Il mercato all’ingrosso, infatti, è caratterizzato da una desertificazione delle offerte di vendita; i principali player di mercato stanno lasciando che i propri clienti, anche quelli storici, si “sentano liberi” di trovare un altro fornitore non essendo certi di (voler) garantire le forniture a valle della filiera.
La vulgata o è complottista o non è. E può darsi che Gazprom complotti davvero. L’anno scorso non ha venduto volumi a breve in piattaforma, insomma non ha messo in vendita gas aggiuntivo rispetto a quello che vende con contratti di lungo periodo. E non ha alimentato gli stoccaggi che controllava in Europa. Disse che aveva avuto qualche problema tecnico con la produzione; e che doveva con priorità riempire gli stoccaggi di casa sua. Che magari non è implausibile. Però anche magari era solo per fare esplodere i prezzi, e tenerci al guinzaglio in vista dell’inverno. Tra chi lo pensa c’è anche chi aggiunge che lo faceva in vista e in funzione della guerra prossima ventura; però magari a deciderlo bastava un po’ di genialità nella politica commerciale. E in punto di commercio di gas i russi sono sempre stati bravissimi.
L’Italia e l’Europa si stanno giocando ormai la tenuta delle proprie reti di approvvigionamento, trasporto e distribuzione di energia e gas – con i principali rischi che si addensano sui mesi invernali almeno fino ad aprile 2023. L’uso di parole così nette sarebbe parso allarmistico fino a pochi giorni fa, nonostante la guerra in Ucraina stia infuriando da ormai più di tre mesi; anche oggi non si tratta che di un’evenienza, ma tutt’altro che remota.