Elettricità Futura ritiene che lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, unitamente all’evoluzione tecnologica, alla dismissione degli impianti termoelettrici più inquinanti ed allo switch dal carbone a gas naturale, consentiranno una radicale decarbonizzazione del settore energetico italiano, garantendo al contempo sicurezza degli approvvigionamenti e competitività.
Lo scenario al 2030 sarà determinato dall’effetto simultaneo di diversi fattori che delineeranno un processo di transizione in grado di valorizzare i punti di forza del nostro settore elettrico.
Il processo di decarbonizzazione sul territorio europeo è imprescindibile dalle regolamentazioni relative al sistema ETS (Emission Trading Scheme), il cui obiettivo principale è incentivare la riconversione degli impianti industriali dell’eurozona verso fonti energetiche a minore intensità di carbonio. In estrema sintesi, questo sistema cap-and-trade fissa un tetto massimo alle emissioni annuali consentite e, qualora un determinato impianto inquini più di quanto gli venga concesso, dovrà compensare questo squilibrio investendo nella produzione pulita degli impianti più virtuosi (concretamente acquistandone i permessi di emissione di questi ultimi, che ne avranno in eccedenza, avendo emesso meno di quanto per loro stabilito).
La ricerca scientifica sul clima fatica a trovare spazio sui media destinati al grande pubblico. In questo quadro, quale è stato il ruolo svolto dall’IPCC?
Sappiamo che i media faticano a dare spazio al tema dei cambiamenti climatici, che deve necessariamente fare i conti con la concorrenza di notizie ritenute più attraenti e sensazionali, in grado di suscitare maggior interesse dei lettori e degli utenti. Si rischia quindi di parlare di clima in poche occasioni, spesso collegate ad eventi contingenti: nel caso di eventi climatici estremi da una parte e di grandi eventi internazionali sul tema dall’altro.
La bozza di Strategia Energetica Nazionale (SEN) recentemente presentata dal MiSE e dal MATTM, come era prevedibile, è fortemente raccordata con gli obiettivi che l’Europa si è data al 2030 con il Piano Clima Energia nell’ambito dell’Unione per l’Energia, in termini di riduzione di CO2, percentuale di impiego di fonti rinnovabili e riduzione del consumo grazie a misure di efficienza energetica.
In particolare, per quanto riguarda la riduzione di CO2, il Piano fissa uno specifico obiettivo sia sulle emissioni dei settori ETS (-43% rispetto al 2005) sia sulle emissioni del non-ETS (-30%).
L’Emissions Trading Schemes europeo è il più grande mercato dei gas serra attualmente esistente, ma non è l’unico: attualmente altri 17 sono in funzione nel mondo. Prima di introdurre i vari sistemi, si delineerà un breve excursus sul funzionamento dei mercati delle emissioni.
Un sistema di Emissions Trading (ETS) è un mercato artificiale in cui vengono scambiati “titoli di emissione”, con lo scopo di limitare le emissioni totali di alcune sostanze o gas. A definire il tetto massimo (o cap), considerato accettabile, è un organismo governativo o un’organizzazione riconosciuta dallo Stato, sulla base di decisioni politiche e generalmente seguendo un trend di decrescita negli anni.
Che giudizio dare dello sforzo in atto per riformare l’Emissions Trading? Indubbiamente le proposte approvate a maggioranza dai Ministri dell’Ambiente il 28 febbraio rappresentano un miglioramento. Va rilevato peraltro che, come è già accaduto negli ultimi anni, l’Italia ha votato contro, allineandosi con la Polonia piuttosto che con i paesi più virtuosi.
Per capire se questo strumento potrà essere risollevato dallo stato comatoso in cui versa occorrerà però vedere come andrà la trattativa con la Commissione e il Parlamento europeo. Tra le misure approvate va segnalato il raddoppio dal 12% al 24% del tasso con cui la Market Stability Reserve (MSR), la riserva stabilizzatrice del mercato di carbonio, assorbirà le eccedenze contribuendo a ridurre sul medio periodo l’eccesso di quote, che ha raggiunto l’incredibile valore di 3 miliardi di tonnellate.
Le tre principali istituzioni europee, Commissione, Parlamento e Consiglio, nei prossimi mesi saranno impegnate a trovare un difficile accordo sulla riforma del sistema ETS, compiendo scelte che avranno ripercussioni estremamente rilevanti sui settori industriali coinvolti, per il decennio 2021-2030 e oltre.
Il negoziato si gioca sulla ricerca di un delicato equilibrio tra due principali esigenze, entrambe riconosciute come essenziali tenendo conto dell’obiettivo condiviso del contrasto al cambiamento climatico a livello globale: il rafforzamento del sistema di scambio delle quote quale pilastro della ambiziosa politica climatica della UE e la tutela della competitività internazionale dei settori industriali più esposti al rischio della rilocalizzazione delle emissioni (cd. “carbon leakage”).
La principale misura adottata dall’Unione Europea per adempiere agli impegni presi a seguito della ratifica del protocollo di Kyoto è la Direttiva 2003/87/CE sull’Emissions Trading Scheme (ETS), che istituisce a livello comunitario un sistema per lo scambio di quote di emissione di CO2, denominate EUA (EU Allowances). Il primo periodo di applicazione della Direttiva ha compreso il triennio 2005-2007 (fase pilota). Il secondo, coincidente con il periodo di applicazione del Protocollo di Kyoto, ha coperto il quinquennio 2008-2012. Dal 2013, ha avuto poi inizio la Fase III dello schema EU ETS (2013-2020), che prevede, come principale novità, la riduzione graduale del cap di quote/anno, oltre all’inclusione di nuovi settori.
2005: l’Unione Europea introduce l’ETS. 2017: l’Unione Europea riforma l’ETS. Tra le due date intercorrono 12 anni di modifiche, proposte, revisioni, ricorsi alla Corte di Giustizia europea, dibattiti, pareri di esperti, consultazioni delle parti, riforme, decisioni della stessa Corte. In ultimo, il sistema non funziona come dovrebbe. I prezzi delle quote di CO2 sono troppo bassi - circa 5 €/ton - e dunque non stimolano quel processo di switch dalle fonti più inquinanti a quelle più pulite - ad esempio dal carbone al gas - che rappresenta il fine intermedio dell’ETS, funzionale a quello ultimo, la riduzione delle emissioni. Di qui la proposta di direttiva approvata dal Parlamento europeo circa un mese fa che prevede: