Le tutele di prezzo sono finalmente cessate, almeno per i clienti non vulnerabili, dopo un periodo transitorio durato dal 2007 per l’energia elettrica e dal 2003 per il gas: diciotto e ventuno anni, rispettivamente. Qual è lo stato di salute dei mercati finali della vendita dell’energia?
Come in ogni campo dell'esperienza umana nel quale qualche anno di applicazione concreta sul campo è alle spalle, è tempo di farsi delle domande e di utilizzare le corrispondenti risposte, unitamente alle evidenze empiriche, per elaborare una nuova visione di futuro. Così è anche per quanto riguarda il percorso compiuto in questi anni dal permitting statale italiano sulle FER.
Rinnovabili, reti ed accumuli è un trinomio oramai ben noto agli addetti del settore elettrico: un loro sviluppo coordinato nel tempo è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), garantendo al contempo una gestione del sistema elettrico in sicurezza ed efficienza.
“Nessun vento è favorevole al marinaio che non sa in qualche porto vuole andare”. Questa citazione di Seneca è una delle mie preferite e penso rappresenti bene la situazione delle rinnovabili nel nostro Paese e possa perciò esserci di aiuto in questa breve riflessione.
La Commissione Europea ha posto progressivi obiettivi di riduzione delle emissioni rispetto al 1990: del 55% al 2030, del 90% al 2040 e il net zero al 2050, prevedendo al 2030 una quota di energia da FER del 40,5% rispetto i consumi finali lordi di energia. In Italia, nel 2022, la quota di produzione da FER registrata sui consumi finali di energia è risultata del 19%: 21,5 punti percentuali al disotto del nuovo target per il 2030.
Tra gli ingredienti base del Green Tonic della transizione energetica rientrano certamente le reti elettriche, l’elettricità rinnovabile e i sistemi di accumulo, tre abilitatori chiave di cocktail da oltre 300 miliardi: sono gli investimenti delle imprese per raggiungere il target del Piano elettrico 2030 di Elettricità Futura, un traguardo che permetterà di creare più di mezzo milione di nuovi posti di lavoro in Italia.
Chi è convinto che la lotta ai cambiamenti climatici dovrebbe essere una priorità e osserva l’andamento crescente delle emissioni di CO2 (il principale gas serra con emissioni di origine antropica), non dovrebbe avere dubbi sul fatto che tutti mezzi per ridurre tali emissioni dovrebbero essere visti con favore.
L'introduzione di politiche di decarbonizzazione integrate con le strategie industriali è una necessità per sostenere la competitività delle filiere produttive, in primis quelle hard to abate, nel contesto italiano ed europeo. I rischi e gli impatti derivanti dal cambiamento climatico sono infatti ormai evidenti e l'aumento del costo delle emissioni, dovuto alla revisione dell'Emission Trading System (ETS) europeo, metterà ulteriormente sotto pressione le dinamiche di sviluppo delle industrie nazionali.
Il processo tecnologico della CCS (Carbon, Catpure and Storage) è uno dei più rilevanti strumenti per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione, in particolare per il settore industriale. Si tratta di una soluzione matura, sicura e competitiva. L’unica, ad oggi, percorribile per ridurre le emissioni delle industrie definite hard to abate, ovvero quelle che, sia per gli alti consumi di energia sia per le caratteristiche dei loro cicli produttivi, allo stato attuale non hanno alternative tecnologiche di decarbonizzazione altrettanto efficaci ed efficienti (ad esempio la siderurgia, i cementifici, le cartiere e la chimica).
Pur con i limiti e le perplessità sul raggiungimento degli scopi, il nuovo regolamento europeo n. 2024/1252 del 11 aprile 2024 (Critical Raw Materials Act) delinea in modo chiaro ed inequivocabile la strategia che l’Unione europea deve perseguire per cercare di mitigare la propria dipendenza dalle forniture estere di materie prime essenziali per il proprio apparato industriale.