Nel 2020, a fronte di una caduta del consumo di energia del 5%, la domanda di petrolio ha registrato un crollo senza precedenti di circa l’8%, dai 98 milioni di barili al giorno (mb/g) del 2019 ai 90 mb/g di quest’anno. La domanda di gas naturale ha mostrato maggiore resilienza, con una contrazione del 3%.
Secondo l’AIE le diverse reazioni alla crisi delle fonti energetiche dipende dal loro impiego in diversi settori dell’economia.
Per aver contezza dei problemi da superare per conseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi o del Green Deal europeo penso che il criterio cui attenersi debba essere quello di dire le cose come stanno. Anche se possono dispiacere. Le cose stanno che ‘transizione energetica’ e ‘decarbonizzazione’ non si sono ad oggi materializzati. Nei trascorsi venti anni, il passaggio al dopo-fossili non ha fatto un alcun passo in avanti: col loro peso nei consumi primari di energia aumentato dall’80% all’81% e nella generazione elettrica diminuito di appena 2 punti dal 65% al 63% (dati AIE). Idem per quanto riguarda la decarbonizzazione con l’intensità carbonica (CO2/tep) rimasta stabile nei consumi primari e addirittura aumentata nell’elettricità.
Ci si interroga di frequente su quel che sarà dell’energia dopo il virus; e sembra prevalere l’ipotesi per cui il virus favorirà, e anzi accelererà, la decarbonizzazione. Il tema viene di regola interpretato in due tonalità. La prima è che il virus dimostra l’insostenibilità del nostro “sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura del creato” (la citazione è di Papa Francesco), e che perciò ci impone quasi normativamente un abbandono del nostro modo di addomesticare energia fossile. La tonalità alternativa declina invece più laicamente il modo in cui il lockdown ha cambiato comportamenti ed abitudini; e ne deriva che il dopo virus non sarà un ritorno alla normalità del passato, ma il graduale affermarsi e consolidarsi di una “nuova normalità” meno fossile e oggi ancora in divenire.
A quattro mesi dalla fine dell’anno, si può cominciare a trarre un primo bilancio dell’impatto che la diffusione del Covid-19 ha avuto a livello globale e delle conseguenze disastrose sul piano economico e dell’occupazione che ne sono derivate. Una crisi anomala anche per l’industria energetica che, forse per la prima volta da quando l’energia è diventata fattore cruciale dello sviluppo, non ha avuto alcuna responsabilità e che anzi è stata annoverata tra le principali vittime.
L’Italia ha una lunga tradizione nella raffinazione e per molti anni è stata considerata il “raffinatore d’Europa”. Nell’immediato dopoguerra molti nuovi attori si affacciarono sul mercato grazie ad una restituita libertà di azione che, in primo luogo, interessò proprio l’industria della lavorazione e trasformazione del petrolio, sia attraverso interventi di potenziamento dell’esistente che con nuove realizzazioni (Augusta, Genova, Ravenna). Nel 1950 erano già in attività 22 impianti rispetto ai 10 del 1938, per una capacità di lavorazione di 7 milioni di tonnellate, a fronte di consumi intorno ai 4 milioni di tonnellate.
Guardando al passato, lo sviluppo tecnologico dell’industria della raffinazione è stato graduale e costante. Quando si sono presentate sfide, la capacità di riposizionamento è stata determinata soprattutto dalla disponibilità di risorse finanziare e dalla capacita di giustificare investimenti.
Ora va profilandosi una nuova importante sfida ed è quella della decarbonizzazione, vista anche come una sfida tra sviluppi tecnologici, alcuni dei quali porterebbero alla produzione di forme di energia che bypassano completamente il sistema della raffinazione.
Negli ultimi mesi due grandi fattori hanno condizionato le strategie future del mondo della raffinazione: la guerra dei prezzi all'interno dell’“Opec plus” ed il calo drastico dei consumi per effetto della pandemia.
Nel primo caso, come è noto, l'altalena sui prezzi, le influenze geopolitiche, la poca chiarezza e trasparenza sulle posizioni statunitensi e russe, hanno pesantemente condizionato le quotazioni ed i conseguenti margini di raffinazione.
Il settore della raffinazione, una filiera strategica dal punto di vista economico e occupazionale, vive da alcuni anni una profonda crisi, imputabile a diversi fattori e aggravata dalla diffusione del COVID-19. Questo comparto, così come gli altri settori industriali, è chiamato a rispondere ad un’ulteriore sfida, che è quella della decarbornizzazione dell’economia e lo sta facendo con senso di responsabilità. Come si conciliano rispetto dell’ambiente e produttività? Lo abbiamo chiesto all’Ing. Rosario Pistorio Amministratore Delegato Sonatrach Raffineria Italiana.
L’incertezza sul ruolo futuro delle Energy Company ricorre a ogni crisi economica mondiale, sia essa originata da una guerra sia essa nata da una pandemia, come quella in atto. Probabilmente proprio perché rappresentano il perno su cui l’economia occidentale si fonda. Ma questa è una crisi particolare, perché si innesta su un processo di profonda trasformazione, che le major stanno intraprendendo già da molto tempo prima che il Covid-19 si manifestasse in tutta la sua irruenza:
L’emergenza Covid-19 sta avendo chiare ripercussioni a livello globale su tutti i settori produttivi e il settore energetico non è sicuramente escluso. Al contrario, sta registrando una contrazione dei consumi che i principali produttori energetici non possono trascurare. Il calo preoccupa tanto i producers di greggio quanto quelli del gas, sia nella sua forma piped che il GNL. Per quest’ultimo, in particolare, il calo della domanda si tradurrà non solo in annullamenti di contratti di fornitura a lungo termine, ma anche in rimodulazioni e differimenti delle decisioni sugli investimenti finanziari da parte dei principali paesi esportatori.