Il mondo sta vivendo una seria crisi energetica complicata dall’intrecciarsi di quattro importanti elementi di natura essenzialmente geopolitica: 1) sanzioni contro la Russia; 2) fluttuazioni molto violente dei consumi di energia a causa di una congiuntura internazionale che è salita su un ottovolante; questi movimenti della domanda sono esasperati dagli acquisti preventivi che consumatori e Stati realizzano per garantirsi un flusso regolare; 3) rallentamento dell’economia cinese (strutturale o solamente tecnico, con la strategia dello zero-covid ?); 4) rivoluzione strutturale dell’energy mix mondiale con la volontà di limitare/abbandonare progressivamente il consumo dell’energia fossile (energia nera) a vantaggio dell’energia rinnovabile (energia verde).
Il 5 dicembre sono partite le sanzioni europee sul petrolio russo, con una formula davvero originale, suggerita da non si sa quali fantasiosi consulenti. A febbraio dovrebbero partire anche le sanzioni alle importazioni dei prodotti petroliferi dalla Russia. Come funzionerà il tutto? Le navi di petrolio provenienti dalla Russia non possono essere comprate e quindi scaricate ai terminali di arrivo delle raffinerie europee.
Dai massimi di marzo scorso, quando lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina spinse il Brent ben oltre quota 100, nei mesi successivi - con qualche piroetta - il prezzo del petrolio è sceso intorno agli 80 dollari al barile, un livello da molti operatori considerato accettabile sia per i paesi produttori che per i paesi consumatori.
I modi per limitare la rendita petrolifera russa sono oggetto di dibattito, in Europa e negli Stati Uniti, sin dai giorni immediatamente successivi all’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio. L’assunto di fondo è che Mosca utilizzi larga parte dei ricavi delle esportazioni energetiche per finanziare il suo sforzo militare e che la riduzione di questi ricavi possa contribuire ad accelerare la fine delle ostilità. Il taglio delle importazioni si inserisce, quindi, nel quadro della strategia di pressione economica che ha portato all’adozione e al rafforzamento delle sanzioni cui la Russia è oggi sottoposta.
Dal 5 dicembre è attivo l’embargo al petrolio russo importato via mare da parte dell’Unione Europea, unito al tetto massimo (price cap) al prezzo del greggio, quest’ultimo pensato per evitare una reazione negativa dei mercati. Le sanzioni europee ed americane, attivate successivamente all’invasione russa dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio, hanno suscitato dubbi e un acceso dibattito tra gli analisti sugli effetti concreti di queste iniziative economiche sulla politica domestica russa.
Il 5 dicembre sono partite le sanzioni europee sul petrolio russo e a febbraio dovrebbero partire quelle sui prodotti. Il mondo accademico e non solo non è concorde sull’effettiva efficacia che questi strumenti avranno o hanno già avuto, nel caso di quelli già in vigore, per l’economia russa. Di questo argomento ne abbiamo parlato con Andrei Belyi Professore di Energy law and Policy all’University of Eastern Finland e consulente alla Balesene OU che ci ha esposto il suo punto di vista.
La crisi in Ucraina ha determinato un crescente interesse per il commercio delle materie energetiche, dal petrolio al carbone passando per il gas naturale. Mentre il commercio intra europeo di petrolio e gas avviene, per lo più, tramite condotte, la maggioranza delle importazioni extra-europee avvengono via nave, così come la quasi totalità dell’import di carbone. Per tale motivo è importante determinarne il funzionamento e le principali criticità di mercato.
Il legame tra le navi e il traffico di materiale energetico è strettissimo, giacché per mare viaggia una quantità impressionante di questo genere di cargo. È molto il gas naturale quotidianamente imbarcato sulle cosiddette LNG carriers, sebbene i metri cubi che finiscono a bordo di queste navi siano una frazione contenuta del metano, propano, ecc. internazionalmente commerciato, trattandosi d’idrocarburi principalmente trasferiti via condotta. Come pure è moltissimo il carbon fossile spedito via mare. Siamo, infatti, in questo caso di fronte a un bene fondamentale per il funzionamento tanto del settore siderurgico, quanto degli impianti alimentati a vapore. E quest’ultimi sono tuttora parecchio diffusi. Particolarmente, in Asia, la quale è un’area largamente dipendente dalla lignite, dalla litantrace, ecc. recuperabile in Australia, in Sud Africa e in Russia.
Il 26 maggio scorso, su richiesta degli Stati Uniti, le autorità greche hanno disposto il sequestro di una nave russa contenente oltre 100.000 tonnellate di greggio iraniano. Ormeggiata in acque territoriali greche, la nave era stata originalmente bloccata il 15 aprile perché sospettata di violare le sanzioni sulla Russia. L’equipaggio contava 19 russi e la nave era di proprietà della Promsvyazbank, sottoposta a sanzioni Ue, ma dal marzo scorso passata ad una seconda compagnia russa, la Transmorflot, non colpita dalle sanzioni. Dapprima battente bandiera russa, quest’ultima, il 1 maggio, è stata sostituita con quella iraniana, portando quindi all’intervento Usa, che ha disposto il nuovo sequestro per via delle sanzioni che gravano sull’Iran.
Trasportare energia via mare, che sia gas naturale liquefatto (GNL), carbone o petrolio, ha degli oneri: fra questi vi rientrano i costi di noli. Di cosa si tratta? Per capirlo partiamo dalla disciplina giuridica di noleggio di nave, la quale trova fondamento negli artt. da 384 a 395 del Codice della Navigazione del 1942. Secondo la nozione legislativa, il noleggio di nave è un contratto con il quale un soggetto (noleggiante), il quale riveste il ruolo di armatore, in corrispettivo del nolo pattuito, si obbliga a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti, oppure, entro un periodo di tempo convenuto, i viaggi ordinati dal noleggiatore alle condizioni stabilite dal contratto.