Che la questione climatica sia un problema maledettamente complesso dovrebbe essere chiaro ai più. Che sia un problema evidentemente globale dovrebbe essere lampante per il più neofita dei governanti. Che non possa risolversi semplicemente ex lege dovrebbe essere almeno materia di discussione. Eppure, si affastellano le anticipazioni di possibili, prossime messe al bando delle autovetture endotermiche, che per muoversi hanno bisogno di carburanti più o meno derivati da fonti fossili.
In vista dell'incontro del G7, l'attenzione degli osservatori si è concentrata in particolare su ciò che il vertice dei leader mondiali avrebbe deciso sul carbone, il principale nemico delle politiche climatiche sia a livello locale che globale. Il Giappone annuncerà un cambio di politica sulle sue centrali? Il comunicato finale stabilirà una data di scadenza per la generazione elettrica da carbone? Si troverà un accordo per porre fine ai finanziamenti che ancora sostengono l’industria carbonifera? Le diverse domande che precedevano il meeting sono rimaste in parte senza risposta e in parte vi sono stati esiti contrastanti.
Il cambiamento climatico è diventato una delle maggiori minacce di questo secolo, come sottolineato dall'IPCC nel suo "Rapporto speciale sul riscaldamento globale di 1,5ºC". Nel periodo dal 2014 al 2019, le emissioni di anidride carbonica (CO2) legate all'energia sono aumentate in media dell'1,3% all'anno e nonostante il 2020 sia stato un caso eccezionale a causa della pandemia (le emissioni sono diminuite del 7%), un rimbalzo sembra molto probabile non appena le attività economiche riprenderanno i livelli pre-Covid. Per traguardare l'obiettivo climatico di Parigi è quindi essenziale una profonda trasformazione del panorama energetico globale.
Quando nel 2019, insieme al team di change.org, abbiamo condotto un sondaggio tra gli allora nostri 10 milioni di utenti italiani per immaginare un “green deal” socialmente inclusivo, non ci aspettavamo di ricevere oltre 10.000 risposte argomentate, appassionate, precise. Questa indagine dettagliata seguiva un sondaggio più generale che ha indicato che il 75% degli utenti di Change.org sono a favore di una transizione ecologica in grado di creare nuovi posti di lavoro.
La democrazia è indispensabile per la transizione ecologica? Prima di rispondere scontatamente “sì” - sulla base del fatto che l’interesse generale dovrebbe prevalere sugli interessi particolari di inquinatori - vale la pena prestare attenzione a un tallone d’Achille dei sistemi democratici in cui siamo abituati a convivere. Il che non significa disconoscere le virtù della democrazia, bensì riconoscerne le debolezze per rafforzarla.
I cambiamenti climatici sono strettamente connessi con la storia geologica e biologica del nostro pianeta. Avvengono da miliardi di anni e sono stati almeno la con-causa di diverse estinzioni di massa che hanno costellato l’evoluzione della vita sulla terra. Dalla fine dell’ultima glaciazione, circa 11.000 anni fa, la stabilità del clima è stata forse la causa primaria che ha permesso lo sviluppo delle società umane, la loro diffusione nel pianeta, la nascita dell’agricoltura e con essa l’emergere degli insediamenti umani e delle grandi civiltà.
Il fenomeno del riscaldamento globale è ormai inequivocabile, come confermato dagli ultimi rapporti dell’IPCC (IPCC, 2014; 2018), con cambiamenti in atto che non hanno precedenti su una scala multi-decennale, centenaria o addirittura ultra-millenaria. La temperatura media globale osservata è oggi di circa 1,1°C superiore rispetto ai livelli dell’era preindustriale e questo sta già determinando importanti effetti, tra cui (solo per citarne alcuni) l’aumento di fenomeni meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, forti piogge), l’innalzamento del livello del mare, la diminuzione del ghiaccio Artico, l’incremento di incendi boschivi, la perdita di biodiversità, il calo di produttività delle coltivazioni.
Lo scorso 23 marzo, il “consorzio” di associazioni che prende il nome di Rinascimento Green ha presentato alla Camera dei Deputati il proprio “Progetto di lustro”, un dossier che contiene cinque priorità di azione e progetti immediatamente cantierabili, per decarbonizzare alcuni settori industriali, favorire l’inclusione e giustizia sociale, costruire un Paese resiliente. A distanza di una settimana, la coalizione di cui fanno parte, tra gli altri, Legambiente, Slow Food e ARCI, lancia le prime due assemblee per il clima su scala regionale, in Emilia-Romagna e Calabria. Ne abbiamo parlato con Annalisa Corrado, portavoce di Rinascimento Green e dell’associazione Green Italia.
The incoming Biden Administration has an opportunity to craft a “grand bargain” – a robust bipartisan climate policy. With fossil fuel companies embracing Environmental, Social and Governance (ESG) agendas and seeking regulatory constancy, Republicans are moving off the sidelines. Congress and the incoming president should seize the opportunity: under a best case scenario, a roster of complimentary efforts could morph into comprehensive legislation on the scale of the Clean Air Act, centered upon a carbon price and border adjustment tariff.
Il “grand bargain” è ciò che in Italia chiameremmo compromesso storico, ossia un accordo di portata storica che mette insieme i due poli politici opposti in virtù di una o più tematiche di interesse strettamente generale. Destra e sinistra in Italia, repubblicani e democratici negli USA. L’opportunità di un grand bargain sul clima è quella che la nuova amministrazione Biden potrebbe cogliere dopo pochi giorni dal suo insediamento. Vediamo perchè.